“Fino ad ora solo l'1% della gente è venuta dai villaggi. Il giorno in cui mobiliteremo il 50% dei nostri, a Delhi non ci sarà più posto per muoversi”, diceva un contadino dell'Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell'India, durante una delle centinaia di manifestazioni che da novembre paralizzano la capitale e molte altre città del paese. Sebbene da decenni ci sia una continua e massiccia urbanizzazione, il 60% del miliardo e 300 milioni d'indiani continua a vivere nei circa 640mila villaggi agricoli del paese.
Come sosteneva Mohandas K. Gandhi “l'India non è Calcutta o Bombay. L'India reale, la mia India, è nei suoi villaggi”. Il Mahatma aveva predetto la crescita delle metropoli e la grande crisi del mondo contadino, ancor prima che nascesse l'Unione Indiana, nel 1947: “L'urbanizzazione sarà una lenta ma sicura morte dei villaggi e dei contadini”. Le manifestazioni contro le riforme imposte dal governo di Narendra Modi – “lo sciopero organizzato più imponente della storia umana”, dicono gli oppositori del premier – sono l'atto finale e dirompente di un problema mai risolto.
La causa delle manifestazioni, tutte pacifiche tranne quella gigantesca del 26 gennaio a Delhi (diventata violenta per colpa della polizia, non dei contadini), sono tre leggi di riforma decise dal governo e votate ad ottobre dal Parlamento senza un serio dibattito. I “Farmers' Produce Trade and Commerce act”, “Farmers (Empowerment and Protection) Agreement on Price Assistance and Farm Service act” e “Essential Commodities act”, riducono pesantemente i sussidi statali e incoraggiano gli investimenti privati.
Ma l'inefficienza del settore agricolo indiano è secolare. Negli anni '60 c'era stata la “Rivoluzione Verde” di grano e riso; nei '70 la “Rivoluzione Bianca” della produzione di latte; poi la “Rivoluzione Blu” della pesca. Ma dopo qualche anno di crescita e di speranze, dagli anni '80 è diventato un problema sempre più grave: il 60% della popolazione vive di agricoltura ma il settore garantisce solo il 15% del Pil. E una tragedia: il tasso di suicidi fra i contadini è altissimo. Nel 2019 i casi sono stati 10.281.
Di solito le riforme più che un male sono un'opportunità. Nel 1978 la Cina smantellò le comuni agricole. Fino al 1984 il reddito contadino era cresciuto del 7,1% l'anno. Quindi furono liberalizzati i prezzi e il reddito incominciò a crescere del doppio. Questa improvvisa ricchezza in uno dei settori più poveri della Repubblica Popolare, fu uno dei propellenti della crescita nella domanda dei beni di consumo e della rivoluzione industriale cinese degli anni successivi.
In India la riforma dell'agricoltura non è mai stata una priorità dei governi, fossero i socialisti del Congress o i nazionalisti del Bjp. La crescita annua prestabilita del 4% non è mai stata raggiunta. Ogni tentativo di soluzione partiva dal sistema distributivo dello Stato e non era mai fondato sulla constatazione che l'offerta ignorasse i mutamenti della domanda.
Se in Cina l'agricoltura aveva stimolato la crescita del paese, in India quest'ultima svelava l'inadeguatezza del sistema agricolo. L'offerta di grano e riso continuava ad essere massiccia. Ma la società sempre più affluente chiedeva beni più sofisticati, più deperibili e che, più di grano e riso, richiedevano una filiera: un'industria di trasformazione e una catena distributiva. Una rete industriale che il sistema agricolo non aveva i mezzi di creare nemmeno con le sovvenzioni statali ma che l'investimento privato può realizzare.
Il problema dunque non sono tanto le riforme ma quali riforme il governo ha presentato, e come lo ha fatto. Nello stile verticistico di Narendra Modi, aggravato dal plebiscito elettorale del suo secondo mandato, nel 2019, le tre leggi non sono il frutto di un confronto fra le parti; non offrono garanzie ad agricoltori incapaci di reggere la concorrenza delle corporations né al posto di lavoro di milioni di braccianti già mal pagati.
La Corte Suprema ha cercato di favorire un confronto, ritardando di 18 mesi l'entrata in vigore delle leggi. Presentando il Bilancio il primo di febbraio, la ministra delle Finanze Nirmala Sitharaman ha annunciato una loro revisione. Ma dopo il tentativo del governo d'imporre le riforme, il mondo agricolo ha rifiutato: i contadini lasceranno le piazze solo quando il governo avrà ritirato le leggi.
Nel vocabolario culturale e politico di Modi, la resa non è prevista: quando era Chief Minister del Gujarat né da Primo ministro dell'Unione. Più della difficoltà di affrontare le riforme fondamentali del paese, lo scontro fra agricoltori e potere centrale svela infatti la crescente natura illiberale di Modi e del suo modello di nazionalismo indù. Chiuso Internet, denunciati giornali e giornalisti (il caso del magazine Caravan), insofferenza verso ogni legittima critica, brutalità poliziesca. Essendo Territorio della Capitale Nazionale, la polizia di Delhi dipende dal ministro degli Interni Amit Shah, ultra-nazionalista, indù radicale e ideologo di Modi.