L’attivismo indiano nell’ambito del G20 prima e della Cop26 poi può aver generato perplessità nelle opinioni pubbliche dei paesi occidentali come in quelle di determinati paesi orientali ma la postura di Narendra Modi persegue con molta probabilità una strategia dettata dalle alte sfere del suo partito. La strategia del Bharatiya Janata Party (BJP), ormai al potere dal 2014, non è immediatamente decifrabile nella sua complessità ma sui palcoscenici internazionali prevede l’accurata proposizione di un’immagine risoluta e decisa. A Glasgow, ad esempio, al di là del messaggio, l’atteggiamento è stato quello di un interlocutore forte erettosi di fronte all’Occidente in difesa dei paesi economicamente più deboli. Un interlocutore che ha usato espressioni come: “L'India si aspetta...” e “La giustizia esigerebbe...”, per ergersi, in un certo qual modo e in assenza dei massimi leader cinesi (la Cina ha inviato il delegato Xie Zhenhua per motivi contingenti anche legati al contemporaneo svolgimento dei lavori del sesto plenum del 19° Comitato Centrale del PCC), a difensore degli interessi dei paesi emergenti sia in senso di possibilità di sviluppo economico, sia in senso di “giustizia climatica”.
Tuttavia il messaggio lanciato da Modi è tanto chiaro quanto discordante dalla politica interna indiana da un lato e dal reale comportamento della diplomazia di Nuova Delhi dall’altro: proprio alla Cop26 gli indiani sono riusciti a ottenere un accordo sulla riduzione dell’utilizzo del carbone più “morbido” di quanto ci si aspettasse, essenzialmente per ragioni di sviluppo interno. L’India cioè ha dimostrato di essere ben più votata all’interesse economico nazionale di quanto dichiarato in apertura della conferenza di Glasgow. Come sostenuto da Albert Hirschman, nella sua teorizzazione dello sviluppo economico dei paesi, un soggetto, nel suo percorso verso un convincente sviluppo economico, attraversa una serie di trasformazioni che lo conducono ad uno stravolgimento della propria struttura e, durante le varie fasi di questo percorso, si approccia in modo differente alla gestione del proprio interesse economico anche attraverso fasi di mutamento e cambiamento della propria postura. L’India, con le sue problematiche economiche di sviluppo industriale, la profonda differenza nella distribuzione della ricchezza e la diffusa povertà, è sostanzialmente ancora una realtà alla ricerca di una strada stabile verso la propria realizzazione economica. Non deve quindi lasciare meravigliati né il comportamento spesso sbilanciato verso l’”opportunismo economico” del paese nei consessi internazionali né l’anelito a rappresentare determinate istanze internazionali anche se incoerenti con la prima posizione.
Sul versante della politica interna: un’eterogeneità dei fini
Non è una novità la posizione fortemente nazionalista del BJP e i legami del partito del Primo ministro con l’organismo Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), movimento di destra d’ispirazione culturale e religiosa. L’appoggio alla politica internazionale dei paesi emergenti in genere, di fronte al legame con le organizzazioni nazionaliste e al sostegno dell’elettorato conservatore, è giustificata attraverso una narrazione che intende presentare l’immagine di un paese sempre forte a livello internazionale. A partire dall’annosa vicenda dei marò italiani, fino al discorso alle Nazioni Unite del settembre 2021, in numerose occasioni la posizione del BJP è stata sempre propositiva, anche in situazioni tendenzialmente non congeniali al discorso nazionalista del Primo ministro. Il governo di Narendra Modi, secondo analisti come Ameya Pratap Singh, sembra proprio continuare a coltivare una certa immagine di attivismo nonostante tutto, che non si sposerebbe perfettamente con gli ideali nazionalisti ma che nel medio termine mostra una spiccata tendenza a cercarsi un posto di rilievo in politica internazionale per mantenere un’immagine solida in politica interna (denotando un notevole realismo). Stando così le cose resta un interrogativo molto pesante per il panorama interno: riuscirà il governo di Modi a convincere integralmente il proprio elettorato della bontà della politica estera anche quando si toccano tematiche e contingenze ben lontane dall’ideologia nazionalista dell’Hindutva? Tale concetto infatti è tutt’oggi alla base del programma del BJP per l’establishment indiano, ed è definibile come “indianità” legata all’espressione della religione e della cultura induista, ritenute superiori e degne di pervadere l’intera sfera pubblica nazionale e internazionale. L’integrale applicazione dell’Hindutva anche in politica estera prevedrebbe un ben più aspro nazionalismo ed una spiccata fiducia solo nei mezzi e nelle cause nazionali e non certo l’attivismo mostrato da Narendra Modi e dai suoi diplomatici nelle varie occasioni.
Il peso internazionale che l’India tende a mostrare potrebbe però risultare accettabile e sostenibile in se stesso come politica di potenza (al di là delle posizioni idealiste che abbraccia) dai supporter del BJP e dell’RSS. Senza dubbio Narendra Modi avrà bisogno di coltivare tale accettazione e tale sostegno dato il ridimensionamento della sua caratura politica a causa della seconda, disastrosa, ondata di Covid-19, abbattutasi sul paese.
Uno sguardo agli equilibri regionali
In un Subcontinente caratterizzato dal confronto permanente dell’India con il vicino Pakistan (fedelissimo alleato di Pechino) e da una crescente interazione con realtà dinamiche come quella del Bangladesh di Sheikh Hasina, la politica estera indiana deve intraprendere una strada non facile. La crescente pressione esterna rappresentata dall’ascesa della potenza cinese non ha peraltro fermato l’attività diplomatica internazionale nell’area esercitata da Nuova Delhi. Secondo alcuni qualificati studiosi del Subcontinente come Šumit Ganguly e Ian Hall l’intenso dibattito scatenato dalla politica estera indiana attuale è paragonabile solo a quello sollevato da Jawaharlal Nehru nell’epoca immediatamente post-coloniale.
Modi ha introdotto una serie di concetti molto ambiziosi fra i quali quello del Look East (concentrazione delle risorse diplomatiche su una politica estera che guardi attivamente verso l’Oriente immediato e l’ASEAN), Neighbouring first (accordi preferenziali che difendano i rapporti con i paesi più prossimi) e Security and Growth for All in the Region (SAGAR, un’iniziativa che cura una sicurezza sempre più inclusiva nell’area). La grande attività diplomatica nell’area conferma la postura generale nelle relazioni internazionali che il BJP tende ad assumere ma, di nuovo, è armonizzabile con il nazionalismo interno solo se vista come una manovra pienamente realista in cerca di una rappresentazione di potenza. Questo a meno che non si voglia pensare che Modi stia, per inerzia e per empatia verso le alte sfere dell’amministrazione pubblica, traghettando il programma di politica internazionale ereditato dalla precedente amministrazione (ipotesi quanto mai irreale).