Da diversi mesi gli agricoltori indiani protestano contro il governo. Le mobilitazioni sono iniziate dopo che, a settembre 2020, il parlamento ha approvato una riforma costituita da tre leggi - Empowerment and Protection Bill, Promotion and Facilitation Bill, Essential Commodities Bill - che liberalizza il mercato agricolo per incentivare lo sviluppo del settore. Secondo il Primo Ministro Narendra Modi, la riforma dovrebbe liberare gli agricoltori da retaggi oppressivi.
In termini generali, le leggi consentono la vendita dei prodotti al di fuori dei mandi (Agricultural Produce Mandi Committees), i mercati agricoli regolamentati dai singoli stati dell’Unione. Nonostante il sistema sia da tempo criticato per la sua inefficienza e di fatto affiancato da altri mercati più o meno formali, esso consente comunque ai piccoli e medi agricoltori di vendere i loro prodotti all’ingrosso a un regime di prezzi concordato e di contenere così la concorrenza al ribasso delle grandi industrie agricole.
Se le proteste riguardano nello specifico la riforma del settore agricolo, esse offrono un punto di partenza per inquadrare più a fondo il modus operandi del governo Modi alla luce delle modalità con cui, in questi anni, il dissenso si è manifestato nello spazio pubblico.
Il contesto della riforma
La regolamentazione dei mercati agricoli è da sempre un ambito di competenza dei singoli stati dell’Unione, tra i quali esistono differenze sostanziali per quanto riguarda la capacità e il tipo di produzione nonché le condizioni strutturali da cui dipendono gli scambi tra i diversi attori economici. Esistono contesti a vocazione agricola come il Punjab e l’Haryana dove, attraverso il sistema dei mandi, il governo acquista quasi il 45% del surplus di grano e riso a prezzo concordato, e altri come il Bihar, dove l’arretratezza dei sistemi di produzione e la corruzione diffusa pesano in maniera evidente sulla condizione dei lavoratori e dei piccoli imprenditori agricoli, sul funzionamento dei mercati nonché sull’efficienza del settore in generale.
Una delle questioni centrali sollevate dai critici di queste leggi è che propongono una soluzione universale a problemi che richiederebbero invece interventi specifici. Inoltre, per il modo in cui sono state concepite e promulgate, le leggi sono un chiaro segnale della tendenza alla centralizzazione che sta caratterizzando anche il secondo mandato di Modi al governo. L’approccio one-size-fits-all ha quindi finito per scontentare sia ampie porzioni delle categorie toccate dalla riforma, sia alcune forze politiche che percepiscono l’azione del governo come un attacco ai fondamenti del federalismo e della democrazia.
Gli agricoltori in protesta
Le proteste riguardano quindi questioni sia di contenuto che di forma.
Nel merito, gli agricoltori temono che la riduzione del controllo pubblico esponga i mercati agricoli al monopsonio di poche grandi industrie agro-alimentari. Sostanzialmente, i critici mettono in guardia contro il rischio che le liberalizzazioni vadano a beneficio di pochi grandi gruppi con la capacità di comprare grandi quantità a prezzi molto bassi.
Dal punto di vista politico invece, le proteste riportano il dibattito su una questione spinosa, che riguarda lo svuotamento dei processi democratici e la riduzione degli spazi di critica e opposizione. Le leggi, infatti, sono state approvate in modo poco trasparente e precedentemente discusse senza interpellare i rappresentanti degli agricoltori che rappresentano circa il 60% della forza lavoro del Paese e che hanno storicamente un potere di contrattazione molto forte. Uno dei motivi per cui il movimento ha finito per diffondersi e ottenere il sostegno di varie categorie riguarda proprio l’estromissione dei rappresentanti degli agricoltori dalle consultazioni.
Se da un lato questo approccio accentratore e decisionista - che ha contraddistinto altri momenti salienti dell’era Modi - annulla il confronto con l’opposizione e le parti sociali, dall’altro contribuisce a rendere proteste e manifestazioni i contesti effettivi in cui si esprime il dissenso all’azione di governo e in cui quest’ultimo finisce per mostrare il suo lato autoritario.
Come si è comportato il governo
Inizialmente, Modi ha preferito ignorare o sminuire la portata delle proteste che stavano prendendo corpo nello stato del Punjab, già prima dell’approvazione delle leggi a Settembre 2020. Nel mese di novembre, forti di un sostegno crescente tra vari gruppi sociali in diversi stati dell’Unione, i rappresentanti degli agricoltori hanno lanciato una marcia collettiva verso New Delhi a cui le autorità hanno risposto attraverso un dispiegamento massiccio di forze dell’ordine e l'uso di metodi violenti.
Di fronte al dilagare delle proteste e alle critiche da parte dei partiti dell’opposizione, il 12 gennaio, la Corte Suprema ha congelato le leggi e istituito un comitato che discutesse della loro legittimità. Pochi giorni dopo, il governo Modi ha proposto di sospendere la riforma per un periodo di 18 mesi, continuando tuttavia a dipingere il movimento come violento e sovversivo. Gli agricoltori hanno da subito rifiutato di fermare le proteste che mirano alla revoca definitiva delle leggi.
La situazione si è fatta particolarmente drammatica il 26 gennaio - giorno della Repubblica - quando alcuni manifestanti hanno occupato il Red Fort, monumento di grande valore simbolico e si sono scontrati in modo violento con le forze dell’ordine.
Per limitare la capacità organizzativa del movimento, il governo ha sospeso internet e i servizi telefonici nei luoghi delle proteste, oltre a minacciare i giornalisti che utilizzavano twitter per diffondere notizie in tempo reale sulla situazione.
Nel frattempo, la cosiddetta BJP IT Cell (disinformatori, troll e odiatori online, che sostengono il governo e attaccano gli oppositori) si è messa al lavoro per delegittimare il movimento come espressione degli interessi di ricchi intermediari (musulmani travestiti da Sikh) invece che degli agricoltori (poveri) o del terrorismo secessionista Sikh. Tali messaggi hanno destato particolare preoccupazione in una città in cui nel 1984 si consumò uno dei peggiori pogrom contro questa comunità.
I manifestanti si sono comunque guadagnati il sostegno di diversi osservatori e personaggi noti anche al di fuori dei confini nazionali, mostrando creatività, determinazione e capacità organizzativa. Nel giro di pochi giorni, hanno costruito accampamenti semi-permanenti lungo le tre arterie stradali principali di Delhi, con tanto di cucine comuni, alloggi, scuole, biblioteche, centri massaggi, una palestra, mostrando nei fatti l’intenzione di non desistere fino alla revoca definitiva delle leggi.
L’orizzonte politico delle proteste
Le manifestazioni degli agricoltori hanno finito per coinvolgere gruppi sociali accomunati da una crescente preoccupazione per la politica economica del governo, considerata allineata agli interessi del big-business. Le azioni di protesta si sono così allargate ai grandi gruppi industriali vicini al governo Modi, oltre a quelli del settore agro-alimentare. Secondo esponenti dell’opposizione, l’economia indiana è caratterizzata da poche grandi industrie il cui dominio si concentra contemporaneamente su vari settori. Inoltre, il capitalismo indiano è legato da una relazione stretta e spesso poco trasparente tra stato e poche grandi famiglie industriali. In questo senso, diversi osservatori hanno notato come la politica economica dei governi Modi abbia accelerato questa tendenza, finendo per promuovere ciò che Harish Damodaran chiama “conglomerate capitalism”. Secondo il politologo Neelanjan Sircar, le proteste degli agricoltori mostrano come questa concentrazione di potere economico e politico stia di fatto cancellando gli spazi per la contestazione all’interno del contesto istituzionale e del processo democratico.
Inoltre, come su altri punti dell'azione di governo, anche in questo caso, il confronto tra parlamento e governo e tra centro e stati sembra avere rilevanza pressoché nulla per Modi, che persegue nella strada della centralizzazione del potere decisionale e delle azioni unilaterali. Per questi motivi, il governo si trova di fronte a un’opposizione che prende forma in modo dirompente dal basso. Le proteste degli agricoltori hanno messo in luce la necessità di uno spazio - per il momento inesistente - per sostenere gli sforzi di riforma nel lungo periodo che si fondi su un coordinamento tra centro e stati e sul coinvolgimento diretto delle parti sociali interessate. Un orizzonte che non sembra tuttavia compatibile con l’agenda politico-economica del governo Modi.