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Nuovo leader del Congress

India: l’opposizione che non spaventa Modi

Ugo Tramballi
19 ottobre 2022

Dopo 24 anni ininterrotti sotto la guida di un Nehru-Gandhi, la presidenza del Congress, il partito nato nel 1885 che ha creato l'India contemporanea, esce dal controllo familiare. Forse. Non è improbabile che il risultato del voto fra i 9,900 delegati del partito sia solo una forma asiatica del gattopardismo mediterraneo: cambiare tutto per non cambiare niente.

Il nuovo presidente del Congress è Mallikarjun Kharge – 80 anni – dello stato meridionale del Karnataka, membro del partito dal 1969, ministro delle Ferrovie nei governi di Manmohan Singh, fedele sostenitore della “Famiglia”. Subito dopo la vittoria Kharge ha chiarito che non consulterà Sonia Gandhi né suo figlio Rahul su ogni decisione da prendere ma continuerà a cercare la loro “guida” e i loro “consigli”.

Kharge ha sconfitto l’unico altro concorrente, Shashi Tharoor dal marcato carattere che non lo ha mai reso universalmente apprezzato, a dispetto delle sue qualità: 66 anni, nato in un altro stato meridionale, il Kerala, diplomatico di carriera, sotto-segretario delle Nazioni Unite sotto la guida di Kofi Annan; sconfitto da Ban Ki Moon e soprattutto dal veto americano per il posto di segretario generale: “Non vogliamo all'Onu un segretario generale forte” aveva fatto sapere il dipartimento di Stato.

Già durante la campagna elettorale interna Tharoor aveva affermato di voler rappresentare una rottura rispetto ai Nehru-Gandhi. In questi due decenni il partito era stato guidato da Sonia, 75 anni; dal figlio Rahul, 52 e di nuovo da Sonia, ad interim dal 2019, dopo che Rahul era stato pesantemente sconfitto per la seconda volta alle elezioni nazionali. In un Parlamento di 545 seggi, il Congress era riuscito a conquistarne solo 53 contro i 303 dei nazional-religiosi del Bjp del premier Narendra Modi.

L’eredità che “La Famiglia” ha lasciato al socialismo indiano e al Congress è molto più antica. Motilal Nehru fu tra i fondatori, suo figlio Jawaharlal ne diventò la guida fino e oltre l'indipendenza del 1947; la figlia Indira Gandhi lo seguì (non c'è grado di parentela con il Mahatma: Indira aveva sposato un attivista del partito, Feroze Gandhi). Dopo di lei leader del Congress e premier della nazione divenne il figlio Rajiv, marito di Sonia e padre di Rahul.

Dopo l'ultima premiership di Manmohan Singh, dal 2014 il Congress è passato da una sconfitta all'altra sia a livello nazionale che negli stati dell'Unione indiana e nelle assemblee locali, in un declino apparentemente senza fine. Nel 2012 controllava 12 dei 28 stati, il Bjp solo cinque. Dieci anni più tardi il partito diventato di centro-sinistra governa, spesso in coalizione con altre forze, in due soli stati. Il Bjp in16.

Nonostante l'evidenza di quanto il fascino della Famiglia fosse perduto, Sonia ha continuato a guidare il partito anche dopo le dimissioni del figlio. Nella politica indiana il nepotismo è estremamente diffuso in ogni forza politica. Alla Lok Sabah, il Parlamento, come nelle assemblee statali e locali, seggi e cariche passano di padre in figlio anche nel Bjp. Ma Narendra Modi, figlio di un venditore di tè in una piccola stazione ferroviaria del Gujarat, lui stesso chaiwala quando usciva da scuola, ha sempre sottolineato con enfasi la differenza fra le sue origini e quelle dei Nehru-Gandhi.

L'unica cosa che Mallikarjun Kharge può legittimamente contendere a Modi è l’appartenenza a una casta più bassa: il premier viene da una di quelle definite dalla burocrazia indiana “Other Backward Classes”: talmente bassa da essere fuori dall'antico sistema castale. Kharge viene da una realtà ancora più povera: è un Dalit, un senza casta, gli intoccabili, i paria della Terra che il Mahatma Gandhi chiamava Harijan, i figli di Dio.

Ma è difficile che, sia pure con queste credenziali sociali, un leader di 80 anni molto legato alla Famiglia possa guidare il Congress alla rivincita elettorale nel 2024. Durante la campagna interna, Shashi Tharoor aveva presentato un programma di dieci punti per “ridare vita ed energia al partito, dando potere ai lavoratori, decentralizzarne l'autorità ed essere a contatto con la gente”. Kharge non ha offerto nessun manifesto, nessun programma.

Dopo l'uccisione del marito Rajiv nel 1991, Sonia Gandhi aveva fatto di tutto per non farsi coinvolgere nella caotica politica indiana. Alla fine degli anni Novanta decise invece di farlo per proteggere l'eredità della suocera Indira, di Jawaharlal Nehru, del Mahatma: cioè di un paese laico dalle mille differenze religiose ed etniche, costruito con l’“Unità nella diversità” minacciata dal crescente nazionalismo del Bjp. Oggi, esattamente per le stesse ragioni, Sonia dovrebbe distaccarsi realmente e definitivamente dal partito.

Il Bjp sta lentamente modificando i connotati della più grande democrazia al mondo, affermando il primato della maggioranza hindu. Il suo messaggio non è vincente ovunque. Sono molti gli stati i cui elettori scelgono altri partiti locali. Quello che manca da alcuni anni per mantenere salda la democrazia indiana, è un'opposizione nazionale. Narendra Modi governa da due legislature e probabilmente ne vincerà una terza grazie alla sua oratoria e alla fenomenale crescita economica che sta garantendo al paese. Ma anche perché manca quell'opposizione “All India”: una forza politica che sia in grado di proporsi con qualche speranza di successo, come alternativa al partito di governo. Per il Congress potrebbe essere ormai troppo tardi: dopo 137 anni di vita, anche i partiti invecchiano inesorabilmente.

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