India: Non allineata, ma non per molto | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
RUSSIA-UCRAINA

India: Non allineata, ma non per molto

Ugo Tramballi
23 marzo 2022

“È inaccettabile, ritiratevi!” intimò il premier Charan Singh all'ambasciatore a Delhi, Yuli Vorontsov. Era la fine del 1979, le truppe sovietiche avevano appena invaso l'Afghanistan nel tentativo di salvare il regime comunista di Kabul, attaccato dai mujaheddin islamisti. L'intervento militare nel Paese vicino sembrò la fine di una solida amicizia con l'URSS, nata nel 1947, immediatamente dopo la proclamazione dell'indipendenza indiana.

Leader del partito conservatore Janata, Singh era diventato primo ministro da qualche mese e lo sarebbe rimasto ancora per poco: circa quindici giorni più tardi Indira Gandhi e i socialisti del Congress tornarono trionfalmente al potere. E quasi subito la postura indiana riguardo all'invasione del vicino Afghanistan, si mitigò. Nessuna condanna esplicita o implicita. E qualche mese più tardi fu definita e resa nota la posizione ufficiale: fedele al suo non-allineamento (nel 1961 Jawaharlal Nehru era stato tra i fondatori a Bandung, in Indonesia, del Movimento dei paesi non allineati), l'India “non sostiene né condanna” nessuno.

In realtà Indira era stata molto esplicita con i suoi amici di Mosca. Fino a che non fu uccisa da una delle sue guardie del corpo nell'ottobre del 1984, la premier indiana continuò a chiedere il ritiro sovietico e a sollecitare una soluzione negoziata. Ma in privato. Davanti al resto del mondo preferì essere considerata una sostenitrice dell'URSS piuttosto che creare un serio imbarazzo a un paese amico.

Quattro decenni più tardi – dopo la Guerra Fredda, la globalizzazione, l'11 Settembre, il terrorismo globale e la crescita delle ambizioni cinesi – Vladimir Putin era sceso a Delhi sempre in nome di quella solida amicizia. Era il 6 dicembre 2021, il presidente russo aveva già incominciato ad ammassare truppe e mezzi corazzati alla frontiera con l'Ucraina. Ma a Delhi era venuto per partecipare al XXI vertice bilaterale da quando l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era tornata ad essere Russia. Non un'alleanza (non lo è mai stata) ma un “legame speciale”. La BBC lo aveva definito una “all-weather partnership”, una collaborazione resistente a tutte le stagioni politiche. Questa dell'aggressione russa all'Ucraina, è tuttavia una stagione che l'India non poteva prevedere e che sperava di non dover affrontare.

 

L’astensione di Delhi all’ONU

“È un peccato che il cammino della diplomazia sia stato abbandonato: dobbiamo ritornarvi”, è stato il banale commento dell'ambasciatore all'ONU T.S.Tirumurti, anticipando l'astensione indiana del 2 marzo all'Assemblea Generale. In un certo senso Narendra Modi, il primo ministro e leader del Bjp, il partito nazional-induista al potere dal 2014, si sta comportando come la socialista Indira Gandhi (nonna del suo avversario Raoul Gandhi che, diversamente da Indira, è incapace di vincere elezioni): l'amico russo non si abbandona neanche quando sbaglia.

Andandosene nel 1947, gli inglesi avevano lasciato come eredità al Subcontinente la democrazia ma poco altro fra le cose materiali, necessarie per un Paese povero che vuole avviare il suo sviluppo. Fu l'Unione Sovietica che quasi a fondo perduto costruì l'industria pesante indiana: acciaierie, settore della difesa, centrali idroelettriche, strade, porti. 

Negli ultimi trent'anni molte di queste gigantesche infrastrutture sono diventate dei dinosauri industriali,  burocratici e politici impossibili da riformare. Tuttavia senza l'intensa collaborazione passata con Mosca, l'India non sarebbe ciò che è oggi: una potenza in fieri. È per questo che Narendra Modi, come Indira Gandhi dopo l'invasione dell'Afghanistan, non può condannare esplicitamente l'aggressione all'Ucraina, come forse vorrebbe. Anche la Cina si è astenuta, ma con una importante differenza: a Pechino fanno piacere le nuove difficoltà degli Stati Uniti, costretti ad affrontare un conflitto nel cuore dell'Europa; a Delhi l'America invece serve nel nuovo contesto geopolitico dell’Asia.

 

Una cooperazione ridimensionata

Paragonati alla collaborazione passata, i progetti realizzati e gli scambi commerciali dell'ultimo trentennio sono poca cosa rispetto al passato. Nel vertice all'inizio di dicembre, russi e indiani si erano ripromessi entro il 2025 di aumentare fino a 30 miliardi di dollari gli attuali scambi commerciali di poco superiori ai 7 miliardi: un obiettivo piuttosto irraggiungibile anche prima della guerra in Ucraina. Il primo partner commerciale di New Delhi sono gli Stati Uniti e della Russia la Cina. Prima dello scoppio della pandemia anche l'acquisto di armi russe, un tempo le sole disponibili per la difesa delle frontiere col Pakistan e la Cina, era crollato del 50%.

Oltre a garantire una crescita industriale, l'Unione Sovietica ha sempre aiutato l'India a contenere la Cina: nel trentennio successivo agli anni '50, fino al riavvicinamento fra Deng Xiaoping e Mikhail Gorbaciov, i rapporti fra i due giganti comunisti erano pessimi. Nel 1969 ci fu anche una breve guerra di frontiera sul fiume Ussuri. Quel ruolo di contenimento della Cina, sempre essenziale per la sicurezza indiana, ora lo svolge l'amministrazione Biden.

 

Il problema di Delhi

Questo oggi è il problema dell'India: il mondo che cambia e che, dopo l'invasione dell’Ucraina, sarà ancora più diverso fino a dover costringere alla rinuncia di un amico antico.

Nel 2018 l'India aveva firmato con la Russia un accordo da 5,43 miliardi di dollari per l'acquisto del sistema missilistico anti-aereo S-400 (lo stesso acquistato dai turchi). Per gli americani il contratto rientrava fra quelli che potevano essere sanzionati. Ma non invocarono il CAASTA, il Countering America's Adversaries Through Sanctions Act. Era stato un gesto di amicizia che in qualche modo sottintendeva l'incompatibilità con l'affinità russa, che prima o poi sarebbe stata non più sostenibile.

Che fosse governata dal Congress di centro-sinistra o dal Bjp, il Bharatiya Janata Party di destra, l'India era sempre stata orgogliosamente lontana da ogni alleanza formale. Nemmeno la riconoscente amicizia con l'URSS e le tendenze politiche di Indira Gandhi l'avevano spinta ad aderire al fronte asiatico del Patto di Varsavia. Le nuove dinamiche della geopolitica dell'Indo-Pacifico la stanno costringendo a rivedere molti assunti: sicuramente a renderli meno stringenti.

La svolta è soprattutto avvenuta nell'estate del 2020 dopo lo scontro fra soldati indiani e cinesi lungo la valle di Galwan, nel Ladak himalayano. Quella breve battaglia ha mutato radicalmente la postura indiana lungo il suo confine, i rapporti con la Cina e, di conseguenza, la direzione delle sue amicizie. Il QUAD con Stati Uniti, Australia e Giappone era nato come una specie di protezione civile regionale contro gli tsunami. Ora è sempre più un fronte politico e militare per contenere l'espansionismo cinese.

Riguardo alla guerra in Ucraina l'Australia ha reagito promettendo aiuti “letali”, cioè armi, al Paese invaso; il Giappone no ma ha aderito totalmente alle pesanti sanzioni promosse dagli Stati Uniti.  L'India è rimasta in silenzio. “Immorale”, era stata la reazione generale al comportamento indiano. Solo Joe Biden non aveva commentato, dimostrando di comprendere le ragioni di quella scelta. Ma per quanto tempo? “È venuto il momento di prendere le distanze dalla Russia” diceva un comunicato diffuso dal Dipartimento di Stato di Washington negli ultimi giorni di febbraio. L'India non ha ancora installato gli S-400 i missili anti-aerei comprati dalla Russia. È probabile che ora, se lo facesse, incorrerebbe nel CAASTA.

Nel settore della difesa i rapporti fra India e Russia hanno pochi paragoni. Nessuno al mondo presta a tempo indeterminato un sommergibile nucleare a un altro Paese: la Russia lo ha fatto con l'India. I vertici quasi annuali fra i due Paesi sono straordinariamente seguiti dai “2+2 Ministerial Meetings”: un confronto approfondito fra i ministri di Esteri e di Difesa dei due Paesi. Un dialogo a questo livello l'India lo ha solo con Stati Uniti, Giappone e Canada.

Oltre ai missili S-400, recentemente l'India ha anche comprato in Russia i caccia Sukhoi Su-30 e gli elicotteri M-17 che possono essere sia da trasporto che da combattimento. Anche se negli ultimi decenni l'acquisto di materiale russo per la Difesa era calato pesantemente, e Delhi aveva guardato agli arsenali americani, israeliani e francesi, il 60% dell'armamento indiano è ancora di fabbricazione russa. Le linee di rifornimento per le parti di ricambio, sono ancora essenziale per la Difesa indiana. Ma se la minaccia principale e l'obiettivo sono l'espansionismo cinese e il suo contenimento, il QUAD e le altre associazioni multilaterali emergenti in Asia per contrastare Pechino, hanno un'importanza maggiore.

La guerra in Ucraina, lontana dalle frontiere indiane, è per molti versi una premonizione di ciò che potrebbe presto accadere in Asia dove gli interessi strategici indiani sono invece fondamentali. Kiev e Taiwan, la provocazione russa in Europa e il crescente confronto con la Cina, le frontiere ucraine e quelle himalayane rappresentano una continuità geopolitica che l'India non può ignorare. “Come l'India è un partner cruciale nei piani americani di contenimento della crescita cinese nell’Indo-Pacifico - sostiene Vivek Moshra di Observer Research Foundation, il principale think-tank di Delhi - una sfida fondamentale per l'India potrebbe essere l'intenzione politica dell'amministrazione Biden di collegare la visione euro-atlantica all'Indo-Pacifico”. In sintesi, per l'India è venuto il momento di scegliere.

Ti potrebbero interessare anche:

New Delhi on the Ukraine War: Between Eurasia and the Indo-Pacific Region
Jagannath Panda
Institute for Security and Development Policy
,
Eerishika Pankaj
Organisation for Research on China and Asia
Great Power Competition and National Interests Inform Asian Perspectives On Ukraine
Giulia Sciorati
ISPI and University of Trento
,
Filippo Fasulo
ISPI
National Interests and Nationalism Dictate India’s “Shaky” Stance on Russia's Invasion of Ukraine
Diego Maiorano
University of Naples "L'Orientale"
Speciale Ucraina: lo stallo
Riarmo nucleare all'ombra dell'Ucraina
Ugo Tramballi
ISPI Senior Advisor
Sistema futuro a geometria variabile
Simone Urbani Grecchi
Analista geopolitico

Tags

India Crisi Russia Ucraina
Versione stampabile

AUTORI

Ugo Tramballi
Senior Advisor ISPI

Image Credits: Office of the Prime Minister of India

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157