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Focus

India-Pakistan: dove nasce la tensione

Nicola Missaglia
28 febbraio 2019

Le tensioni tra India e Pakistan tornano sotto i riflettori della comunità internazionale. Martedì mattina, l’aviazione indiana ha bombardato in territorio pakistano un campo di addestramento del gruppo terroristico Jaish-e-Mohammad, accusato dell’attentato in cui il 14 febbraio scorso hanno perso la vita 46 militari indiani in Kashmir, la regione storicamente contesa tra i due paesi. New Delhi accusa il Pakistan di offrire protezione al gruppo estremista, ma Islamabad ha negato il proprio coinvolgimento, annunciando l’abbattimento di due jet indiani, la cattura di uno dei piloti e, poche ore dopo, anche il rilascio del militare. A poche settimane dall’attesissimo appuntamento delle elezioni per il rinnovo del Parlamento indiano, nei cieli dell’Himalaya si addensano le nubi di uno scontro aperto tra potenze nucleari. Come si è arrivati a questo punto? Perché proprio in Kashmir? Quali sono i precedenti? C’è il rischio di un’ulteriore escalation?

 

Come si è arrivati allo scontro?

Lo scorso 14 febbraio un violento attentato  ha colpito un convoglio dell’esercito indiano a Pulwama, nel territorio del Kashmir amministrato dall’India, uccidendo 46 membri della polizia paramilitare indiana. A rivendicare l’attentato è stato il gruppo fondamentalista islamico Jaish-e-Mohammad (Esercito di Maometto), che opera a cavallo del confine tra India e Pakistan in Kashmir, una regione storicamente contesa tra i due stati. New Delhi accusa Islamabad di essere il principale sponsor del gruppo, che sarebbe colluso con i servizi segreti del Paese, e di offrire ai terroristi ospitalità e protezione in Pakistan, benché questi si siano resi colpevoli in più occasioni di violente incursioni e attentati in territorio indiano.

Preceduta nelle scorse settimane dalla promessa di una dura ritorsione, la risposta indiana all’attentato del 14 febbraio è arrivata martedì mattina, quando alcuni jet militari Mirage 2000 dell’aviazione indiana hanno bombardato un campo di addestramento di Jaish-e-Mohammad a Balakot, nel nord ovest del Pakistan.

Il raid aereo indiano è stato il primo sferrato da New Delhi oltre la cosiddetta “linea di controllo” (Line of Control), ovvero il confine di fatto che sin dalla terza guerra indo-pakistana del 1971 separa la parte di Kashmir amministrata dall’India da quella amministrata dal Pakistan, e che da allora non era stata superata dall'aviazione dei due paesi. L’India, per bocca del segretario agli esteri Vijay Gokhale, ha affermato di aver neutralizzato nel raid numerosi militanti del gruppo terroristico, difendendo l’operazione oltreconfine come un’azione preventiva necessaria a fermare gli attacchi di Jaish-e-Mohammad.

Il Pakistan, che nega ogni legame con il gruppo, ha condannato lo sconfinamento indiano – che secondo Islamabad non avrebbe però fatto vittime – derubricando l’atteggiamento dell’India come un’ostilità gonfiata dal governo di New Delhi a fini elettorali in vista del voto di aprile per il rinnovo del Parlamento indiano. Da un meeting d’urgenza del Comitato di Sicurezza Nazionale pakistano, al quale ha preso parte anche il Primo Ministro del Paese Imran Khan, è emersa la dichiarazione che Islamabad “risponderà nel momento e nel luogo che riterrà più opportuni”. La risposta non ha tardato ad arrivare, con l’annuncio mercoledì da parte di Islamabad dell’abbattimento di due jet indiani che sorvolavano il territorio pakistano e l’arresto di uno dei piloti, il comandante Abhinandan Varatham. Il pilota è stato rilasciato venerdì 1 marzo.

India e Pakistan: una rivalità storica
che passa dal Kashmir

Le tensioni tra India e Pakistan non sono una novità. Anche se nel 2003 i due paesi hanno formalmente firmato un accordo di cessate il fuoco dopo una escalation di violenze negli anni Novanta, per comprendere gli eventi di questi giorni è importante ripercorrere le tappe di un rapporto difficile. In settant’anni di storia, le due nazioni “separate alla nascita” nel 1947, hanno già combattuto tre vere e proprie guerre, oltre a conflitti di più breve durata e incidenti di confine che hanno visto i rispettivi eserciti opporsi in schermaglie e scontri a fuoco.

Teatro e oggetto degli scontri è stato il più delle volte proprio il Kashmir, la regione a maggioranza musulmana (l’unica a maggioranza musulmana nel Subcontinente indiano) a cavallo tra India e Pakistan contesa dai due paesi sin dalla raggiunta indipendenza dall’impero britannico nell’agosto del 1947. Il “piano di partizione” presentato all’epoca nell’Indian Independence Act prevedeva infatti che il Kashmir, allora uno stato principesco, potesse scegliere se aderire all’India, in cui i musulmani avrebbero rappresentato una minoranza (per quanto imponente, ca. 200 milioni di persone) della popolazione, o al Pakistan, una nazione di fatto quasi completamente musulmana. Il maharaja del Kashmir - regione di provenienza, importante sottolinearlo, della famiglia del padre della patria indiano Jawaharlal Nehru - scelse di aderire all’India: fu così che nacque lo stato indiano del Jammu & Kashmir e fu così che scoppiò la prima guerra con il Pakistan, un conflitto durato due anni che fece migliaia di vittime. Sempre in Kashmir, seguì una seconda, più breve guerra nel 1965, vinta dall'India e conclusasi con un cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite. Nel 1971, l’India sostenne le rivendicazioni di indipendenza del Pakistan orientale, e lo fece anche militarmente con incursioni e bombardamenti in territorio pakistano: la guerra terminò con la creazione del Bangladesh. L’ultimo conflitto propriamente militare tra i due paesi è avvenuto nel 1999 (quando entrambi si erano già da tempo dotati della bomba atomica), nelle montagne del Kargil in Kashmir, quando alcuni soldati pakistani occuparono delle postazioni dell’esercito indiano scatenando la reazione militare di New Delhi. Nell’ottobre 2001, un devastante attentato colpì l’Assemblea legislativa (il parlamento locale) dello stato indiano del Jammu & Kashmir nella capitale Srinagar: persero la vita 38 persone. Solo due mesi dopo, un altro attentato colpì il Parlamento di New Delhi: le vittime furono 14. Di entrambi gli attentati venne accusato proprio il gruppo Jaish-e-Mohammed, che (benché neghi il proprio coinvolgimento) avrebbe organizzato l’attentato al Parlamento indiano insieme Lashkar-e-Taiba, un’altra organizzazione terroristica con base in Pakistan. Proprio Lashkar-e-Taiba è additata da New Delhi per la più sanguinosa serie di attentati che ha colpito l’India negli ultimi decenni: a Mumbai nel novembre 2008, infatti, in diversi attacchi coordinati alla stazione ferroviaria, ad alcuni alberghi e al centro culturale ebraico, persero la vita ben 166 persone.

Le tensioni sono ritornate in Kashmir a partire dal gennaio 2016 (dunque dopo più di un anno dall’elezione di Narendra Modi a Primo Ministro), quando in un attacco alla base aeronautica indiana a Pathankot sono morti sette soldati indiani e sei militanti di Jaish-e-Mohammad. Gli scontri sono durati tutto l’anno e, dopo un altro attentato contro una postazione dell’esercito indiano a Uri (sempre in Kashmir) in cui sono morti 19 soldati, le forze armate indiane hanno dato inizio a una serie di strike “chirurgici” oltre il confine con il Pakistan, anche se Islamabad nega che siano mai avvenuti.

Nel corso degli ultimi anni, la crescente diffidenza di New Delhi per le pressioni separatiste nella regione a maggioranza musulmana hanno spinto il governo centrale a imporre stringenti misure di sicurezza – tra cui coprifuoco, arresti mirati di militanti e attivisti, interruzioni dell’energia elettrica e censura di internet – che continuano ancora oggi ad alimentare le frustrazioni della popolazione locale, tra le più povere del Subcontinente. Le proteste più violente contro il governo Modi sono esplose soprattutto a seguito dell’uccisione da parte delle forze di sicurezza indiane del 22enne Burhan Wani, un giovane attivista del Kashmir particolarmente amato dalla dagli abitanti della regione. A causa delle violenze che si sono protratte sino ad oggi, nel solo 2018 sono morte in Kashmir oltre 500 persone, inclusi civili, forze di sicurezza e militanti: è il tasso più alto in oltre un decennio. Nel tempo, l'insicurezza e l'instabilità del Kashmir indiano hanno rappresentato indubbiamente un terreno fertile per il proliferare delle spinte centrifughe sempre più diffuse regione, spinte su cui non hanno mancato di far leva in questi i movimenti di insorgenza separatisti e, in taluni casi, anche quelli islamisti.

 

Chi sono i Jaish-e-Mohammad?

Jaish-e-Mohammad è un gruppo classificato come organizzazione terroristica dall’ONU, fondato nel 1999 dal leader religioso islamista pachistano Masood Azhar. Persegue l’obiettivo dichiarato di innescare la secessione del Kashmir dall’India al fine di includerlo all’interno dei confini pachistani. Masood Azhar, nato nel 1968 e originario del Punjab pakistano, era uno dei tre prigionieri rilasciati dall’India in cambio della liberazione dell’equipaggio e dei passeggeri del volo di linea Indian Airlines IC-814 del dicembre 1999 che, nella rotta da Kathmandu a New Delhi, fu – secondo le accuse in collaborazione con l’ISI, il servizio segreto del Pakistan – dirottato verso Kandahar, nell’Afghanistan allora governato dai Talebani. I dirottatori appartenevano al gruppo fondamentalista con base in Pakistan Harakat-ul-Mujahideen.

Sin dalla fondazione, avvenuta proprio nell’anno della liberazione di Azhar da parte delle autorità indiane, il gruppo si è macchiato di numerosi attentati in Kashmir e in India, ma non solo: malgrado le accuse di New Delhi di essere al soldo dei servizi segreti pakistani, Jaish-e-Mohammad ha negli anni rivendicato anche diversi attacchi anche contro obiettivi militari in Pakistan, incluso un tentativo di attentato nel 2003 contro l’ex Presidente Pervez Musharraf. Il Pakistan non ha tuttavia mai concesso all’India l’estradizione di Azhar, benché New Delhi ne abbia fatto richiesta in più occasioni. Curiosamente, a bloccare il l’istanza indiana (sostenuta anche da altri Stati tra cui USA, Uk e Francia) di un riconoscimento ufficiale di Azhar come “terrorista globale” da parte del Consiglio di Sicurezza ONU (che però ha già riconosciuto come terroristica l’organizzazione da lui fondata) sarebbe la Cina, alleata del governo di Islamabad e con crescenti interessi economici nel paese riconducibili soprattutto agli investimenti infrastrutturali della “Belt and Road Initiative”. Ufficialmente, il Pakistan ha dichiarato illegale Jaish-e-Mohammad poco dopo l’attentato al Parlamento indiano del 2001: tuttavia, come anche i recenti eventi hanno dimostrato, l’organizzazione continua ad operare, talvolta con nomi di copertura tra cui Al-Murabitoon, Tehreek-al-Furqan e Afzal Guru Squad. Tra i colpi più duri inferti al gruppo da parte indiana vi è stata, nel dicembre 2017, l’uccisione del comandante Noor Tantray, tra i responsabili l’anno precedente dell’attacco alla base aerea indiana di Pathankot, uno degli eventi che ha scatenato l’escalation di violenze e tensioni in Kashmir in questi anni.

Infine, per una comprensione più completa del perché in questi anni – malgrado i colpi subiti – Jaish-e-Mohammad sia tornata a operare con più assiduità e violenza nella ragione del Kashmir, può essere utile guardare anche a un’altra crisi regionale in evoluzione: quella dell’Afghanistan. Come spiega Giuliano Battiston in questo commentary, “la postura di Jaish-e-Mohammad in Kashmir si è fatta più aggressiva a partire dal 2014, l’anno in cui le truppe della missione Isaf della Nato hanno cominciato a ritirarsi dall’Afghanistan”. Se fino ad allora il gruppo aveva impiegato molte delle sue risorse, energie, uomini per colpire le forze americane e della Nato, con il progressivo disimpegno militare della Nato, è tornato ad operare nel suo terreno d’azione originario: non più l’Afghanistan, ma di nuovo il Kashmir.

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AUTORI

Nicola Missaglia
ISPI Research Fellow

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