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USA

Inflazione, clima, salute: il piano Biden è legge

17 Agosto 2022

Martedì il presidente USA ha firmato l’Inflation reduction act, ovvero un pacchetto di norme cardine del suo programma politico che porterà 300 miliardi di investimenti per il clima. Ma che è molto meno ambizioso dei suoi piani iniziali


Dopo un contorto e sofferto percorso prima al Senato e poi alla Camera, il piano cardine dell’amministrazione di Joe Biden su clima, salute e inflazione è legge. Il presidente ha infatti firmato ieri il pacchetto di leggi che porterà a investimenti energetici, limiterà i prezzi dei farmaci prescritti e imporrà una nuova tassa minima alle grandi multinazionali. “Con questa legge, i cittadini americani hanno vinto, mentre gli interessi particolari hanno perso”, ha dichiarato Biden. Un traguardo sofferto, dato che questo pezzo di legislazione era rimasto in sospeso per oltre un anno, e la cui approvazione era arrivata al Senato solo due settimane fa con il solo supporto dei democratici. Se non fosse stato per il voto a favore della vicepresidente Kamala Harris, non sarebbe stato possibile rompere l’impasse. Ma anche il coronamento di due anni di lavoro legislativo: dopo aver dunque approvato norme sulle infrastrutture, la sicurezza delle armi, la produzione di microchip e il welfare per i veterani, Biden può rivendicare di aver portato a casa anche il pezzo più importante del suo programma. Una vittoria che sventaglierà in vista delle elezioni di midterm del prossimo novembre, quando i democratici si scontreranno con un partito repubblicano sempre più stretto attorno all’ex presidente Donald Trump. Liz Cheney, la più importante repubblicana sua oppositrice e vicepresidente del commissione del Congresso che sta conducendo l’inchiesta sull’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill, ha perso ieri le primarie nel Wyoming, e non sarà quindi ricandidata.

 

 

 

 

La legge energetica più ambiziosa degli Stati Uniti?

L’Inflation Act contiene alcuni dei più significativi incentivi per combattere in cambiamento climatico mai approvati dagli Stati Uniti, con 369 miliardi di dollari destinati a programmi per la produzione di energia pulita. Alcune delle misure contenuto nel testo includono sanzioni di 900 dollari per ogni tonnellata di emissioni di metano che eccedono i limiti federali (che aumenteranno a 1500 dollari nel 2026), detrazioni fiscali di 85 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata e immagazzinata, 30 miliardi di finanziamenti per pannelli solari, turbine a vento, batterie, impianti geotermici e reattori nucleari avanzati, 27 miliardi per le “banche verdi” che supporteranno progetti di energia pulita, 20 miliardi per tagliare le emissioni del settore agricolo, 9 miliardi per gli americani che renderanno energeticamente efficienti le proprie case, 60 miliardi per aiutare le comunità di basso reddito e di colore nella transizione energetica e una esenzione fiscale fino a 7.500 dollari per coloro che acquisteranno nuovi veicoli elettrici. Secondo una analisi del Rhodium Group, il pacchetto rimette gli Stati Uniti in corsa per raggiungere l’obiettivo di una riduzione delle proprie emissioni di gas serra dal 31 al 44% entro il 2030. Oltre alle misure climatiche e ambientali, l’Inflation Act permetterà al governo di negoziare per abbassare i prezzi dei farmaci dietro prescrizione medica, e stabilisce una tassa minima del 15% per le grandi multinazionali a una nuova tassa dell’1% sul riacquisto di azioni proprie.

 

Un piano storico ma austero?

Se è vero che il pacchetto firmato da Biden include riforme molto importanti, va però ricordato che molte delle ambizioni originali dei democratici sono cadute nel vuoto. Rispetto alla proposta originaria, il cosiddetto Build Back Better passato dalla sola Camera l’anno scorso, manca per esempio un intero comparto di politiche per le famiglie che doveva includere esenzioni fiscali per i figli e permessi pagati. Stesso discorso per alcune politiche sanitarie, come una ulteriore espansione del bacino di utenza di Medicaid. Perfino le proposte originali di finanziamento per combattere il cambiamento del clima erano molto più ambiziose. Inoltre, i democratici hanno dovuto accettare anche diverse concessioni all’industria dei combustibili fossili dietro richiesta del senatore Joe Manchin III del West Virginia, il cui supporto è stato necessario per approvare la legislazione al senato. Il New York Times ha stimato che dal punto di vista fiscale si tratta quindi di un disegno di legge più modesto: l’Inflation Reduction Act prevede una spesa di 490 miliardi, a fronte di nuove entrate per 764, mentre Build Back Better comportava uscite per 2,15mila miliardi e nuove entrate per 2mila miliardi. Di conseguenza, l’attuale pacchetto dovrebbe ridurre il deficit americano di circa 275 miliardi nei prossimi dieci anni, mentre il piano originario avrebbe aggiunto altri 160 miliardi di debiti. La posizione pubblica dei democratici è che la riduzione del deficit, insieme alle misure volte ad abbassare il costo dell’energia e dei farmaci, dovrebbero aiutare a contenere una inflazione che a luglio si attestava all’8,5% su base annuale. Purtroppo, diversi economisti, incluso alcuni favorevoli alla misura, hanno stimato che, mentre il piano attenuerà l’immediata scalata dei prezzi, l’effetto nel lungo termine rischia di essere modesto.

 

Un partito personale?

Se i democratici mettono in tasca un asso da giocare alle prossime elezioni, i repubblicani fanno quadrato attorno a Donald Trump. Liz Cheney, un tempo figura cardine dei Repubblicani, ha perso le primarie per rappresentare il partito nella contesa per l’unico seggio a disposizione dello stato del Wyoming. Alle prossime elezioni si presenterà al suo posto Harriet Hageman, una avvocata che il New York Timesdescrive “con ben poco seguito politico prima di godere dell’approvazione di Trump”. Cheney era la rappresentante più in vista di un piccolo gruppo di Repubblicani che l’anno passato hanno deciso di votare a favore dell’impeachment di Trump e che verosimilmente non troveranno più rappresentanza nel Congresso. Il Washington Postha calcolato che dei dieci senatori, quattro si sono ritirati, mentre sei si sono ripresentati alle primarie per la scelta dei prossimi parlamentari. Al momento, quattro di loro hanno già perso. Il risultato delle primarie in Wyoming mostra dunque quanto l’influenza di Trump sia ancora onnipresente sugli elettori repubblicani, che in svariate competizioni nell’ultimo anno hanno appoggiato quei rappresentanti che hanno sostenuto la narrativa dell’ex presidente sulle “elezioni rubate”. Oltretutto, la sconfitta di una repubblicana come Cheney, proveniente da una delle famiglie un tempo più influenti del partito – suo padre Dick Cheney fu vicepresidente sotto George W. Bush dal 2001 al 2009 – sottolinea quanto questo sia profondamente mutato negli ultimi vent’anni. Eppure, Cheney non sembra aver ancora intenzione di issare bandiera bianca. In un messaggio dato in esclusiva mercoledì mattina a Politico, ha annunciato che formerà “un nuovo gruppo per unificare gli sforzi per opporsi a una campagna per la presidenza di Donald Trump”. Sforzi che non escludono una sua candidatura diretta alle primarie del partito per scegliere il candidato presidente del 2024.

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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