Investimenti esteri: Crollo record, ma Cina batte USA | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • G20 & T20

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • G20 & T20
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary
Investimenti esteri: Crollo record, ma Cina batte USA
Alessandro Gili
|
Davide Tentori
05 febbraio 2021

Uno tsunami si è abbattuto sugli investimenti diretti esteri (IDE) nel corso del 2020 a causa della pandemia. I dati che riporta l’ultimo Investment Trend Monitor dell’UNCTAD segnalano infatti una situazione profondamente deteriorata nell’anno passato. Se già la recessione mondiale del 4,9% e il crollo del commercio del 9% sembravano aver infranto ogni record, nel 2020 i flussi mondiali di IDE si sono ridotti del 42% par a un valore di 859 miliardi di dollari, contro i 1.500 miliardi del 2019. Registrano l’impatto maggiore le economie avanzate, che hanno subito circa l’80% della riduzione complessiva. Numeri pesanti in particolar modo per Regno Unito e Italia con cali dei flussi superiori al 100% - soprattutto a causa di disinvestimenti – ma anche la Russia (-96%) e la Germania (-50%). L’UE, nel suo complesso, ha registrato un calo del 71% da 373 miliardi a 110 miliardi di dollari. Alcuni miglioramenti, tuttavia, potrebbero derivare dagli investimenti internazionali in infrastrutture, parte dei più complessivi piani di stimolo per la ripresa economica.

 

Regioni e settori a confronto

Le economie in via di sviluppo, seppur registrando una riduzione dei flussi, sono riuscite a contenere la contrazione (-12%), nonostante una diversificazione molto netta degli impatti tra le diverse regioni. L’America Latina ha registrato cali del 37%, l’Africa del 18% e l’Asia emergente del 4%. Il maggiore elemento di preoccupazione deriva tuttavia dagli annunci di nuovi investimenti greenfield, in caduta del 46% (con punte di -63% in Africa, -51% in America Latina e -38% in Asia).

Situazione interessante risulta quella del Sud-Est asiatico dove i flussi sono diminuiti del 31%, nonostante questi Paesi siano stati colpiti in modo meno netto dalle diverse ondate della pandemia. Il calo della regione è da imputare, in particolare, alla riduzione dei flussi verso Singapore (-37%), Indonesia (-24%), Vietnam (-10%), Malaysia (-68%) e Thailandia (-50%). Tuttavia, la forza attrattiva del Sud-Est asiatico come motore dei flussi di investimento a livello mondiale rimane evidente: gli annunci di investimenti greenfield si sono ridotti in modo inferiore rispetto ad altre regioni (-14%) e, soprattutto, l’entrata in vigore dell’accordo RCEP  (Regional Comprehensive Economic Partnership) determinerà un effetto moltiplicativo degli investimenti nell’area. A questi numeri fanno da contraltare i dati provenienti dalla maggiore economia dell’Asia meridionale, l’India, che ha registrato un incremento dei flussi del 13% rispetto all’anno precedente.

A livello internazionale, il crollo generale si riflette sui singoli settori. I nuovi progetti greenfield annunciati nel settore primario e secondario hanno subito un crollo rispettivamente del 45% e del 44%, con un calo meno vistoso per i servizi che hanno subito una caduta degli investimenti programmati del 26%. Tra i singoli settori molto male gli investimenti in campo petrolifero (-70%), l’automotive (-59%) e le costruzioni (-46%). Meglio, anche a causa delle necessità derivanti dalla pandemia, le telecomunicazioni, che hanno registrato un +18% rispetto al 2019.

 

La Cina supera gli Stati Uniti

L’elemento di maggiore interesse è la svolta nel ranking dei Paesi che attraggono i maggiori flussi di investimento al mondo. Per la prima volta la Cina ha superato gli Stati Uniti, ricevendo 163 miliardi di dollari (+4% rispetto al 2019) contro i 134 degli Stati Uniti (-49%). Numeri che ricalcano le diverse traiettorie economiche dei due Paesi, con gli Stati Uniti in recessione del 3,4% mentre la Cina è cresciuta, unico Paese del G20, del 2,3%. Ciò dimostra che, nonostante la retorica a tratti critica del modello occidentale da parte dell’establishment di Pechino, la Cina è sempre più al centro dei flussi degli investimento globale e ancora fortemente integrata nelle catene globali del valore. La stessa idea del decoupling fortemente sostenuta dall’Amministrazione Trump non sembra aver trovato una realizzazione concreta nei numeri. I dati di Rhodium Group segnalano che alla fine del 2020 le aziende americane detenevano partecipazioni in imprese cinesi per un valore pari a circa 1.100 miliardi di dollari, un vale cinque volte maggiore rispetto ai 211 miliardi dei dati ufficiali USA. Questo soprattutto perché molte aziende cinesi hanno la propria sede sociale in paradisi fiscali off-shore. Nel 2020 i nuovi acquisti di quote in società cinesi da parte di investitori americani, nonostante i numerosi ostacoli posti da Trump agli investimenti da/verso la Cina e sull’export tecnologico, hanno registrato un importante valore di 19 miliardi di dollari, cifra superata solo nel 2014, anno dell’IPO di Alibaba alla Borsa di New York. Pechino sembra quindi avere obiettivi coerenti con una forte integrazione nell’economia globale ed è perciò coerentemente molto interessata a definire i principi della nuova globalizzazione che emergeranno nel post-pandemia. A dimostrazione dell’interesse cinese ai flussi di investimenti internazionale nella propria economia sono emblematici i recenti Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) nel Sud-Est asiatico e il Comprehensive Agreement on Investment (CAI) tra Unione europea e Repubblica Popolare cinese.

 

Come riattivare gli IDE?

Nel complesso, nel 2021 il probabile rimbalzo degli investimenti non è atteso compensare le perdite registrate nel 2020. I flussi di investimento normalmente reagiscono con un ritardo temporale ai fenomeni di recessione. Tuttavia, la crisi del Covid-19 è stata differente, essendo il risultato di lockdown e misure di contenimento che hanno determinato ostacoli fisici e regolamentari ai flussi degli investimenti. La ripresa, invece, potrà essere fisiologica a partire probabilmente dal 2022, quando l’incertezza degli investitori per ulteriori ondate pandemiche dovrebbe essere terminata, ristabilendo un clima di fiducia sulle prospettive dell’economia globale.

Gli investimenti sono una leva fondamentale per la crescita economica dal momento che, se effettuati in maniera mirata sia dal punto di vista dei settori che della leva finanziaria, possono generare rendimenti di lungo periodo con effetti positivi non solo per i fornitori di capitali ma per l’economia reale nel complesso. Ecco perché le politiche economiche alla base della ripresa post-Covid, per poter essere efficaci, dovrebbe necessariamente prendere in considerazione l’importanza di generare investimenti (a livello domestico) o di attrarre capitali stranieri su progetti che abbiano un orizzonte temporale significativo. I principali attori globali si stanno muovendo in questa direzione, anche se per il momento in ordine sparso.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, il rilancio degli investimenti è alla base di Next Generation EU (NGEU): infatti, i 672,5 miliardi di euro che saranno messi a disposizione dalla Recovery and Resilience Facility serviranno anche in buona parte per sostenere progetti in settori importanti quali digitalizzazione, tecnologie green, formazione e upskilling dei lavoratori. Inoltre, il fondo europeo InvestEU è stato potenziato con altri 5,6 miliardi di euro che serviranno per sostenere ulteriormente gli obiettivi di NGEU. Il recente accordo CAI stipulato tra Unione Europea e Cina dovrebbe fornire un altro importante stimolo ai flussi bilaterali di IDE, portando auspicabilmente alla progressiva rimozione di barriere di accesso al mercato. Resterà però da vedere se e come questo accordo si concilierà con il meccanismo di screening europeo degli IDE, mirato a proteggere i settori industriali “strategici” da azioni potenzialmente ostili e predatorie di potenze straniere.

Anche gli USA di Joe Biden intendono stimolare gli investimenti, sebbene uno dei primi Executive Orders firmati dal nuovo Presidente vada nella direzione di confermare i principi “Buy American” cominciati con Obama e proseguiti durante il mandato di Trump. Insomma, l’unico vero denominatore comune al momento sembra quello di politiche monetarie espansive che dovrebbero garantire la liquidità sufficiente per rilanciare gli investimenti.

La ripresa degli IDE dopo il crollo verificatosi nel 2020 non sembra dunque dipendere da una carenza di capitali, quanto piuttosto dai contrasti geopolitici tra le principali potenze e dal perdurante clima di incertezza dettato dalla difficile situazione sanitaria. Servirebbe un quadro multilaterale più omogeneo per mitigare questi due problemi: in questo senso, il G20 (in particolare attraverso il Trade and Investment Working Group) potrebbe rappresentare quest’anno il forum ideale per riavviare un confronto costruttivo e concreto su questi temi. 

Contenuti correlati: 
Global Watch Coronavirus: Speciale Geoeconomia n.42

Ti potrebbero interessare anche:

Montenegro: l’insostenibile leggerezza del debito
Giorgio Fruscione
ISPI Research Fellow
Global Watch Coronavirus: Speciale Geoeconomia n.52
Cina: il ‘grande balzo’ del Pil
Cina, crescita del PIL su base trimestrale
Semiconduttori: competizione "microscopica" a tre
Alberto Guidi
ISPI
Lombardia: Termometro del contagio economico n.12
Valeria Negri
Centro Studi Assolombarda
,
Stefania Saini
Centro Studi Assolombarda

Tags

Geoeconomia Cina USA
Versione stampabile

AUTORI

Alessandro Gili
ISPI
Davide Tentori
Research Fellow, ISPI

Image credits (CC0 1.0)

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157