Mentre il negoziato sul nucleare iraniano sta affrontando una nuova fase di stallo, nonostante i progressi fatti nella definizione e risoluzione di alcuni aspetti tecnici, il governo del presidente Ebrahim Raisi deve fare i conti con il malcontento proveniente da diversi gruppi sociali e politici, i quali lo accusano di inefficienza e di non aver portato a compimento le promesse elettorali. In primo piano, c’è anche il conflitto in Ucraina. La Repubblica Islamica ha ufficialmente giustificato le operazioni militari russe soprattutto alla luce del consolidato legame strategico e militare tra Mosca e Teheran, anche se il governo in carica deve calibrare con attenzione la sua posizione per non alienare la controparte occidentale seduta al tavolo del negoziato.
Quadro interno
Già da inizio anno, e soprattutto nel mese di aprile, si sono intensificate le proteste di diverse categorie di lavoratori che hanno manifestato in più centri urbani del paese, tra cui Yazd, Arak, Kermanshah, Sanandaj, Hamedan, Ahvaz e la stessa capitale. A guidare queste manifestazioni sono insegnanti, infermieri e personale sanitario che rivendicano unitamente stipendi più alti e adeguati al costo della vita, contratti e condizioni di lavoro più sicuri[1]. Gli insegnanti, che storicamente hanno caratterizzato i movimenti di protesta nel paese anche durante le presidenze riformiste, hanno chiesto anche il rilascio dei loro colleghi in carcere, arrestati nel corso delle precedenti manifestazioni. Accanto a loro i pensionati che hanno invece chiesto l’adeguamento delle loro entrate rispetto al carovita. Gli slogan non sono rimasti confinati in una dimensione meramente economica, di miglioramento del salario e delle condizioni di lavoro, ma hanno coinvolto anche la sfera politica, con accuse nei confronti del governo in carica per non aver rispettato le promesse fatte in fase di campagna elettorale, soprattutto in termini di riduzione della povertà[2]. Nel mese di marzo il governo ha quindi annunciato un aumento di circa il 57% del salario minimo mensile dei lavoratori. Questo indicatore, tuttavia, si pone in contraddizione con i suoi obiettivi, poiché provocherebbe un significativo aumento dei costi e porterebbe le aziende a ridurre il numero dei contratti oppure a optare per relazioni di lavoro informali (quindi prive di base contrattuale) come forma di compensazione per i costi aggiuntivi.
In termini macroeconomici, ci sono stati alcuni miglioramenti, come la riduzione del tasso di disoccupazione nel primo trimestre dell’anno, stimato all’8,9% (lo scorso dicembre si attestava intorno al 9,6%)[3], e la lieve riduzione del tasso di inflazione dal 35,4% al 34,7%[4]. È tuttavia estremamente difficile monitorare con esattezza questi dati. Nonostante la riduzione dell’inflazione, la povertà rimane diffusa tra diversi gruppi sociali e si attesterebbe ancora intorno al 33% secondo quanto pubblicato da un rapporto ufficiale del ministero delle Cooperative, del Lavoro e del Welfare[5]. Questi dati contraddicono le enunciate politiche del governo in carica volte a combattere la povertà e gli slogan pauperistici che da anni caratterizzano la retorica politica dei vertici iraniani. Il carovita è senza dubbio uno dei problemi più stringenti, se si considera l’aumento del 60% dei prezzi sui generi alimentari di prima necessità come frutta, verdura, riso, carne e latticini. Diverse accuse si sono sollevate dall’arena politica verso il presidente Raisi, che aveva puntato proprio su questi temi in fase di campagna elettorale, e le scarse performance in campo economico del suo governo. Mentre Raisi continua ad accusare il suo predecessore, Hassan Rouhani, per le difficoltà economiche in cui versa il paese, i cosiddetti riformisti, ma anche alcune voci provenienti dal blocco conservatore si sono mosse contro il governo, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi. Il rincaro sul prezzo del cibo è dovuto sia alle difficoltà della catena di approvvigionamento globale, sia alla guerra in Ucraina[6]. In questo contesto, la decisione del governo di Raisi di tagliare i sussidi sui beni importati ha innescato diverse proteste nelle province sudoccidentali del paese.
Dall’8 al 18 maggio Alena Douhan, relatore speciale delle Nazioni Unite sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani, ha fatto visita all’Iran, per monitorare l’impatto delle sanzioni unilaterali sui diritti umani degli iraniani, ma anche sul loro accesso a medicinali e prodotti farmaceutici. Questa visita assume un significato importante, avvenendo esattamente quattro anni dopo la reintroduzione delle sanzioni statunitensi, seguite dalla nota campagna di “massima pressione” portata avanti dall’amministrazione Trump. Mentre Donald Trump e il segretario di stato Mike Pompeo rassicuravano il popolo iraniano di essere dalla loro parte (un artificio di poco valore, considerando la coincidenza di queste dichiarazioni con le pressioni politiche ed economiche imposte al paese mediorientale), obiettivo della missione della Douhan era invece quello di osservare proprio i gruppi sociali maggiormente colpiti dalle sanzioni e di esaminare come queste ultime avessero limitato gli aiuti umanitari e la fornitura di beni e servizi.
Relazioni esterne
L’impasse del negoziato sul programma nucleare di Teheran rivela nuovamente le difficoltà dell’amministrazione Biden e del governo Raisi di raggiungere un compromesso. Seppur molte questioni tecniche siano state risolte e il rilancio dell’accordo sembrasse ormai prossimo, l’invasione russa dell’Ucraina ha imposto un’ulteriore battuta di arresto al processo negoziale. La nuova fase di stallo è iniziata lo scorso marzo, dopo che la Repubblica Islamica ha chiesto a Washington di rimuovere dalla lista dei gruppi terroristici internazionali le Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc) come prerequisito per rilanciare l’accordo sul nucleare. Il presidente Biden si è mostrato subito riluttante nell’accettare la richiesta di Teheran, soprattutto in assenza di garanzie da parte della Repubblica Islamica di non attuare ritorsioni sugli Stati Uniti per l’uccisione del generale Qassem Soleimani avvenuta nel gennaio del 2020. Diverse forze politiche interne, infatti, continuano a chiedere vendetta per l’assassinio di Soleimani. Tra questi anche il comandante delle forze navali delle Irgc, Alireza Tangsiri, che ha infatti sottolineato che si tratta di una questione dirimente cui l’Iran non rinuncerà neanche in cambio della sospensione di alcune sanzioni[7].
La difficoltà di Biden di rimuovere le Irgc dalla lista dei gruppi terroristici deriva soprattutto dalle voci contrarie interne, come quella del segretario di stato Antony Blinken, che ha più volte ribadito la natura terroristica delle Guardie rivoluzionarie iraniane, oltre che dallo scontento che tale mossa provocherebbe negli alleati statunitensi della regione[8]. La revoca della designazione di gruppo terroristico interazionale avrebbe però un significato maggiormente simbolico, dato che le Irgc continuerebbero a essere colpite da altre sanzioni statunitensi. Mentre il governo Raisi spinge per questa modifica, alcune voci interne, come quella della figlia dell’ex presidente Ali Rafsanjani, sembrerebbero contestare questa richiesta per non essere “di interesse nazionale”. Faezeh Hashemi sostiene che le attività delle Irgc si sono ormai estese a macchia d’olio nel tessuto economico e politico del paese, anche grazie alle restrizioni imposte all’Iran[9]. Questo aspetto rivela le diverse posizioni politiche interne alla Repubblica Islamica, un dato affatto trascurabile quando si valuta le politica estera del paese.
In questa fase, in cui i diversi aspetti tecnici dell’accordo sembrano aver trovato una soluzione, mentre restano irrisolte le questioni politiche, alcuni esperti accademici statunitensi ed europei, ex diplomatici e funzionari del Bulletin of the Atomic Sciences, dell’Arms Control Association, dell’Union of Concerned Scientists e del Ploughshares Fund hanno esortato Biden a concludere il negoziato con l’Iran per scongiurare il raggiungimento di un ordigno atomico. La Repubblica Islamica avrebbe raggiunto la capacità tecnica per produrre in due settimane sufficiente uranio arricchito (Heu) per un ordigno atomico, capacità che era stata limitata a circa un anno dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) originario[10].
È poi necessario considerare l’attuale guerra in Ucraina, sia per il peso specifico della Russia nel processo negoziale, sia nell’ambito delle relazioni tra Mosca e Teheran. La reazione ufficiale della Repubblica Islamica all’invasione russa dell’Ucraina è stata quella di sostegno. I canali mediatici governativi hanno riproposto la narrativa propagandistica di Mosca, parlando di “operazione speciale” intrapresa per contrastare l’azione destabilizzatrice della Nato nei suoi confini orientali. Questa posizione deve essere compresa all’interno della collaudata alleanza tra Mosca e Teheran, le quali lo scorso gennaio hanno pattuito un accordo di mutua cooperazione militare di lunga durata. Per ora l’accordo suddetto prevedrebbe cooperazione in ambito di counter-terrorism e scambio di personale militare, ma garantirebbe implicitamente il sostegno all’Iran della Russia all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel processo negoziale del Jcpoa. Allo stesso tempo, però, il governo Raisi non può permettersi di alienarsi coloro che in Occidente sono favorevoli all’accordo, né l’opinione pubblica nazionale, e pertanto ha cercato di alleggerire il sostegno a Mosca dichiarando di essere “contrario alle dominazioni straniere e favorevole all’autodeterminazione dei popoli”[11], una posizione che vuole sottolineare la necessità dello sforzo diplomatico per scongiurare ulteriori escalation militari e preservare l’integrità dei territori. Il protrarsi del conflitto potrebbe infatti non giovare alla causa dell’accordo sul nucleare, inserendo altre priorità nell’agenda di Stati Uniti e paesi europei coinvolti nel negoziato.
Secondo l’ex ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, la Russia potrebbe beneficiare dello stallo sul negoziato per impedire il riavvicinamento di Teheran all’Occidente, ma anche l’esportazione di petrolio iraniano nel mercato globale. La Russia, tuttavia, avrebbe solo vantaggi dal rilancio dell’accordo, sia in chiave economico-commerciale, perché potrebbe espandere il volume di interscambio con Teheran, sia in chiave di sicurezza regionale, riducendo i rischi di proliferazione nucleare e l’insorgenza di nuovi contesti di crisi in Medio Oriente. L’urgenza di concludere il negoziato con l’Iran deriva anche dalla pressione sull’alto costo energetico. Consentire all’Iran di esportare il suo petrolio porterebbe benefici al paese, ma anche ai destinatari del greggio iraniano. Si stima che in assenza di sanzioni l’Iran potrebbe immettere circa 1-1,5 milioni di barili al giorno nel mercato globale, anche se questo scenario non si presta a una facile e immediata realizzazione.
Nel contesto attuale, la Russia ha chiesto garanzie sul fatto che le sanzioni imposte a causa del conflitto in Ucraina non intacchino lo scambio commerciale con l’Iran. Una condizione rifiutata dai paesi europei. Anche questo aspetto ha contribuito alla fase di stallo attuale e, pertanto, non è stata ancora prevista una data per nuovi colloqui. Nonostante questa diatriba in corso, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha dichiarato di “non essere lontani da un accordo buono e duraturo”[12], lasciando intendere un cauto ottimismo. Mentre la sua controparte russa, il ministro Sergej Lavrov, ha dichiarato che il conflitto in Ucraina non ostacolerà l’accordo sul nucleare iraniano[13], mentre le sanzioni imposte alla Russia potrebbero avere effetti negativi sullo scambio commerciale tra Mosca e Teheran. In definitiva, l’impegno russo nel contesto del negoziato sul nucleare iraniano non sembra intenzionato a diminuire.
Accanto al dibattito sul Jcpoa, è altresì importante guardare al tentativo della Repubblica Islamica di diversificare i partner economici per alleggerire la pressione delle sanzioni. Questa ambizione prosegue con le visite del presidente Raisi all’estero, in particolare paesi africani e centroasiatici. Se è vero che la cosiddetta “look to the East policy”, ovvero lo sguardo a Oriente e a partner commerciali e di sicurezza come Russia, Cina e repubbliche centroasiatiche sia una strategia ormai collaudata e decennale, il governo iraniano vuole rafforzare la sua presenza in Africa puntando sulla narrativa anti-imperialista e anti-coloniale. La condanna dello sfruttamento delle risorse naturali e manodopera africane da parte dell’Occidente è strumentale nel promuovere l’Iran come partner responsabile dei paesi africani. Nel mese di febbraio, Raisi ha incontrato il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, per “espandere la cooperazione con i paesi del continente [africano]”[14]. Raisi ha anche incontrato i rappresentanti politici di Togo e Guinea-Bissau. Si tratta di paesi con i quali l’Iran possiede uno scambio commerciale davvero modesto, ma con cui ha storicamente mantenuto buone relazioni diplomatiche e commerciali. L’attenzione all’Africa nasce anche dall’esigenza di diversificare i partner economici iraniani in modo antitetico rispetto a quanto messo in atto dall’ex presidente Rouhani che, invece, aveva avuto come priorità quella di ristabilire i rapporti con l’Occidente e con i paesi europei.
SOURCES:
[1] “Manifestazione di protesta degli insegnanti in alcune province” (in persiano), Fars News, 23 febbraio 2022.
[2] “Raduno dei pensionati in Iran: i manifestanti hanno cantato slogan contro l’oppressione” (in persiano), BBC Persian, 27 febbraio 2022.
[3] “Iran Unemployment Rate”, Trading economics.
[4] “Iran Inflation Rate”, Trading economics.
[5] “Un primo piano sulla soglia di povertà”, Donya-e Eqtesad, 22 agosto 2021.
[6] “Iran arrests dozens protesting sudden price hike in food staples”, France24, 13 maggio 2022.
[7] “IRGC: L'Iran ha respinto una proposta di revoca delle sanzioni in cambio della mancata vendetta su Soleimani” (in persiano), BBC Persian, 21 aprile 2022.
[8] F. Fontemaggi, “Biden reluctant to remove Iran’s Revolutionary Guards from terror list”, Al-Monitor, 20 aprile 2022.
[9] “Faezeh hashemi: l’unico modo per riportare l’Irgc in caserma è rimanere nella lista delle sanzioni” (in persiano), Radio Farda.
[10] K. Deyoung, “Experts urge return to Iran nuclear deal as prospects dim”, The Washington Post, 21 aprile 2022.
[11] Iran ready to play the diplomatic role to help bring peace back in Ukraine, Government of the Islamic Republic of Iran.
[12] “Iran nuclear deal awaits final decisions after talks stalled”, Xinhua Agency, 23 aprile 2022.
[13] P. Hafezi, S. Lewis, H. Pamuk, “Russia says it has written guarantees on Iran nuclear deal”, Reuters, 15 marzo 2022.
[14] “Ayatollah Ra’isi: Verranno attivate seriamente le capacità di cooperazione con il continente africano” (in persiano), IRNA, 6 agosto 2022.