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Commentary

Iran e il nucleare: un riposizionamento strategico di Teheran o il mantenimento dello status quo?

21 novembre 2014

Alla vigilia dell’ultimo round di colloqui tra l’amministrazione iraniana e il gruppo 5+1 a Vienna sul caso nucleare, l’intero mondo internazionale è in attesa di conoscere quale sarà il risultato definitivo. Si raggiungerà, dopo oltre 11 anni di trattative, un accordo definitivo? Vi sarà un nuovo rinnovo del termine delle trattative? Oppure ci sarà un fallimento del confronto diplomatico?

Le probabilità di raggiungere un accordo definitivo, considerando il contesto politico interno iraniano e l’equilibrio di potenza internazionale, pare molto difficile. Si potrebbe ipotizzare un possibile rinnovo del termine delle trattative, magari con il raggiungimento di un parziale accordo su uno dei pochi punti comuni, accettati da entrambe le parti. Tuttavia l’esito della trattativa nucleare lancerà un segnale importante su quale sarà l’orientamento di politica estera della Repubblica Islamica almeno nei prossimi 5 anni.

Tanto ruota attorno all’importanza della questione energetica e in particolare alla salienza del gas per l’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale. A certe condizioni, infatti, l’Iran potrebbe diventare un fornitore alternativo di gas per quest’ultima. Questa svolta è legata appunto alla questione del nucleare iraniano e al tema della distensione eventuale tra Stati Uniti e Iran. Il fallimento o il parziale successo dell’accordo nucleare corrisponderebbe sostanzialmente al mantenimento dell’equilibrio tuttora esistente. In caso, invece, di un successo nell’esito della trattativa, si potrebbe realizzare un nuovo equilibrio che potrebbe segnare un cambiamento della linea di politica estera persiana.

A partire dalla fine della Guerra fredda, la Repubblica Islamica si è posizionata, insieme alla Russia e alla Cina, contro il fronte occidentale. L'appoggio offerto da Mosca e da Pechino a Teheran si è intensificato soprattutto negli ultimi dieci anni a seguito delle sempre crescenti pressioni dell'Occidente sull’Iran relative alla spinosa questione nucleare.

Se dovesse fallire la trattativa nucleare, persisterebbe lo status quo, la Russia e la Cina sarebbero entrambe soddisfatte. Mosca manterrebbe la propria posizione di forza nel settore energetico nei confronti dell’Europa e la Cina continuerebbe ad avvantaggiarsi, quasi in modo monopolistico, dall’energia iraniana. Il fronte occidentale, viceversa, sia nella sua anima europea sia in quella statunitense, continuerebbe a subire gli svantaggi, sia sul piano geopolitico sia economico, legati al perdurare di questo equilibrio. Il mantenimento di questo equilibrio precluderebbe all’Iran un pieno riconoscimento nella veste di potenza nucleare, perdendo i benefici di prestigio, di sicurezza ed economici connessi a tale ruolo. Un altro costo economico riguarda il mancato ingresso nel Wto. Infatti, il mantenimento di questi partner economici (Cina e Russia) fa perdere l’opportunità di entrare nei mercati ricchi ed estesi dell’Occidente. Inoltre, continuerebbe a mancare l’aiuto potenziale di importanti istituzioni economiche internazionali, soprattutto finanziarie, quali il Fmi e la Banca Mondiale. Infine c’è un costo in termini di opportunità geopolitiche. In altre parole, il ruolo di potenza regionale dell’Iran è in qualche modo sminuito per il fatto che una parte degli attori regionali dell’area, quali l’Arabia Saudita, Turchia e Pakistan, è alleata degli Stati Uniti. Quindi il peso regionale dell’Iran si esprime prevalentemente come potere di ricatto e di veto e non in positivo come potere d'influenza capace d'innescare dinamiche cooperative.

Sul versante opposto, le ricadute negative, continuerebbero a colpire l’Occidente e i suoi alleati. In primo luogo, si manterrebbe l’alto grado di tensione internazionale nel Medio Oriente in zone strategiche quali il Golfo Persico e il Mar Caspio, precludendo anche la possibilità di risolvere i conflitti che affliggono l’area mediorientale quali il caso Isis e la guerra fredda regionale tra forze sciite e sunnite. Dal punto di vista economico, invece, continuerebbe a mancare un’opportunità di abbondanti riserve energetiche alternative quali quelle garantite dal petrolio e dal gas iraniano. Così come si perderebbero opportunità di scambi commerciali e finanziari altamente remunerativi.

Se invece si raggiungesse l’accordo, potrebbe aprirsi una via verso un potenziale nuovo equilibrio. Il nuovo equilibrio si configurerebbe in questi termini. Un’eventuale distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Iran in relazione alla soluzione della questione nucleare avrebbe ricadute anche sui rapporti economici e commerciali con, in primo piano, la fornitura di risorse energetiche ai paesi occidentali, in particolare europei. In questo caso, l’Iran potrebbe diventare uno dei principali fornitori di gas per l’Europa in alternativa o, parziale sostituzione, di quelle provenienti dalla Russia e da altri paesi.

Cominciando dalle opportunità se ne possono elencare alcune importanti. Innanzitutto, in qualità di secondo produttore di gas naturale dopo la Russia, l’Iran potrebbe diventare un attore politico ancor più importante all’interno dello scacchiere internazionale.

Un disgelo con gli Stati Uniti potrebbe assicurare all’Iran il ruolo di potenza nucleare con tutti i benefici connessi in termini d'immagine e di potere. Più in generale, potremmo assistere a una ricomposizione del sistema di alleanze, sancendo quasi un ritorno alla situazione pre-rivoluzionaria. Sul piano economico le ricadute sarebbero altrettanto significative. Innanzitutto, l’Iran, come già accennato, potrebbe diventare un fornitore di risorse energetiche alternativo a quelli esistenti verso l’Europa e non solo con evidenti benefici sul piano della bilancia commerciale e del benessere complessivo della sua popolazione. Ciò varrebbe in primo luogo per quel che riguarda il gas naturale. Infatti le riserve provate persiane sono stimate al momento in circa 33.200 Gmc, pari al 17% del totale mondiale.

L’arrivo del gas iraniano offrirebbe agli Stati membri dell’Unione Europea una maggiore emancipazione rispetto al gas russo, e li renderebbe più indipendenti per quel che riguarda la politica da adottare nei confronti di Mosca. In altre parole, paradossalmente la crisi ucraina potrebbe accelerare non solo lo scongelamento tra Teheran e l’Europa, ma potrebbe costituire il viatico per raggiungere un maggior grado di sicurezza energetica.

Le conseguenze negative di questo secondo scenario potrebbero però essere significative sia per l’Iran sia per i paesi occidentali. In primo luogo ci sarebbe il rischio del possibile inasprimento dei rapporti tra l’Iran e le potenze regionali vicine quali la Turchia, l’Arabia Saudita, il Pakistan e l’Azerbaigian. Ciò, a sua volta, avrebbe ripercussioni negative per gli Stati Uniti e i suoi alleati in quanto queste stesse potenze sono, nella maggior parte dei casi, alleate del fronte occidentale. Quindi, a una distensione dei rapporti con un acerrimo rivale farebbe da contraltare un inasprimento del clima politico con gli alleati tradizionali.

Un altro problema potrebbe derivare dalle reazioni russe e cinesi. La Russia, perdendo influenza sul piano energetico, potrebbe, a mo’ di ritorsione, far pressione a livello economico dove messa a confronto con l'Occidente. Per esempio, un primo territorio in cui la lunga mano russa sarebbe in grado di muoversi con più incisività è la Siria. Una seconda conseguenza di un riavvicinamento di Teheran all’Occidente potrebbe essere rappresentata dalla reazione cinese. Pechino, infatti, sarebbe uno degli attori più avvantaggiati, sul piano economico, dall’allontanamento di Teheran dall’Occidente e dalle sanzioni isolanti contro l’Iran. Sul piano politico, il risultato sarebbe una minore collaborazione cinese nella gestione della tensione regionale mediorientale.

Pejman Abdolmohammadi insegna Storia e Istituzioni dei Paesi del Medio Oriente presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova ed è Lecturer in Middle Eastern Studies presso la John Cabot University a Roma.

 

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