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Commentary
Iran e Russia: un matrimonio di interesse (con incognite)
26 febbraio 2016

Il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) stilato e poi annunciato il 14 luglio 2015 a Vienna e il successivo via libera del 21 gennaio 2016 alla rimozione progressiva delle sanzioni all’Iran, dato dall’Iaea (International Atomic Energy Agency), colloca sicuramente Teheran in una nuova, rafforzata posizione, in grado, potenzialmente nel medio periodo, di modificare gli equilibri dell’area del Golfo Persico e della regione del Medio e Vicino Oriente. Tutto questo alla vigilia delle votazioni del 26 febbraio 2016, che vedono per la prima volta contestuali l’elezione dei 290 membri del Parlamento iraniano (Majles) e gli 88 appartenenti all’Assemblea degli Esperti, gli unici organi elettivi – oltre alla figura del presidente – del complicato sistema politico e istituzionale della Repubblica Islamica.

In questo contesto, dal mero punto di vista economico, commerciale e finanziario, il rapporto tra Repubblica Islamica dell’Iran e Federazione Russa si snoda attraverso vari canali di collaborazione e in svariati dossier, a partire proprio dal delicato settore dell’energia nucleare. Mosca ha garantito il suo impegno per la conversione dell’impianto d’arricchimento dell’uranio di Fordow in centro tecnologico nucleare con implicazioni nel campo della medicina, ad esempio, ed è noto il contributo russo per la costruzione della centrale nucleare di Bushehr.

Analizzando individualmente ogni singolo settore produttivo e i possibili intrecci commerciali tra Mosca e Teheran, senza inquadrarli in una cornice di riferimento più allargata, che comprenda anche gli equilibri d’area e i rapporti incrociati tra i principali attori regionali (Iran, Arabia Saudita, Turchia, Israele), i punti d’intesa tra Iran e Russia appaiono molto convincenti.

L’apertura dell’Iran al commercio e ai mercati internazionali può determinare sicuramente ripercussioni positive anche nel e per il mercato russo, soprattutto nel comparto turistico (dalla Russia all’Iran) e alimentare (dall’Iran alla Russia).  Ma è soprattutto nel settore della Difesa e dei materiali militari che si dispiega il reale asse d’intesa tra i due paesi, un rapporto consolidato ben prima dell’eliminazione progressiva delle sanzioni, anche se con alterne fortune (ci si riferisce qui all’accordo per la vendita di sistemi di difesa aerea russi S-300, poi annullata nel 2010, ripristinata nel 2015 e ancora in attesa del pagamento persiano).

La collaborazione più intensa, anche perché sostenuta da colossi russi, quali Rosoboronexport (esportazione di armi), Atomstroyexport (esportazione di equipaggiamento e materiali atomici) e finanche, seppur con maggiori reticenze, Gazprom, si è consolidata ulteriormente con la visita del 21 febbraio del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, in Iran, per colloqui prioritari con il suo omologo persiano Hossein Dehgan. La volontà comune è quella di sfruttare la sinergia nel settore: da un lato l’Iran ambisce a ridurre il proprio gap tecnologico militare con i rivali della regione (soprattutto Israele e Arabia Saudita), dall’altro, attratta dalla necessità iraniana, la Russia punta a consolidare la sua supremazia nella vendita di armamenti all’Iran, in particolare in quei settori, come la tecnologia missilistica terra/aria e gli air fighters in cui dispone di un sensibile vantaggio competitivo nei confronti dell’altro principale provider militare, la Cina.

Le intese militari bilaterali esistenti (ad esempio i fighter jets Sukhoi SU-30SM) nelle parole di entrambi i ministri “volte al mutuo interesse per la stabilizzazione del quadro regionale” prevedono inoltre la possibile vendita di elicotteri, batterie di difesa costiera, missili antinave, sommergibili e altro materiale per un totale di oltre 8 miliardi di dollari. Spicca, in particolare, l’acquisto probabile da parte di Teheran di tank T-90, a patto che la Russia si impegni, nel contempo, a fornire parte della tecnologia di produzione degli stessi agli iraniani, che puntano a divenire, nel medio periodo, produttori in proprio.

Il comune impegno a sostegno del regime di Assad in Siria, nello scontro civile in atto dal 2011, con la complicazione della presenza dello Stato Islamico, ha certamente saldato i rapporti militari tra Iran e Russia, proprio perché sia i Sukhoi Su-30SM sia i T-90 sono impiegati, a vario titolo, sul territorio siriano.

Proprio l’arco di crisi rappresentato dal conflitto siriano, con vari attori regionali in competizione o scontro (Iran-Arabia Saudita) contribuisce tuttavia a evidenziare alcune divergenze di prospettiva che separano Mosca e Teheran, se si introduce il legame Russia/Iran nel più ampio quadro dei rapporti di forza e degli equilibri dell’area che va dal Libano all’Afghanistan.  E proprio nel quadro della Difesa, Mosca ha importanti accordi in merito con Israele e non ha nessuna volontà di ridurre tale intesa (ad alto contenuto di valore tecnologico) per compiacere l’Iran, né aspira a inimicarsi l’Arabia Saudita, come si comprende dalla nota di critica diramata dal Cremlino per gli attacchi all’Ambasciata saudita a Teheran e al consolato a Mashad. Di contro Mosca non ha sollevato alcuna eccezione per l’esecuzione in Arabia Saudita del predicatore sciita Nimr al-Nimr il 2 gennaio 2016 (fatto che aveva scatenato la reazione violenta iraniana).

Principale preoccupazione russa in tema di ascesa internazionale dell’Iran è la questione del petrolio: nel medio periodo, gli accordi di Vienna permetteranno all’Iran di tornare a essere un adeguato provider di energia, potendo minare alcune posizioni di preminenza maturate nel tempo dal Cremlino, quanto meno per quanto concerne l’Europa. Le frizioni in chiave Opec tra Russia e Arabia Saudita, pronti a congelare parte della produzione petrolifera per contrastare il ribasso delle quotazioni, e l’opposizione iraniana in tal senso, danno ulteriore dimostrazione delle divergenti necessità dei due paesi.

Contestualmente, Teheran non accetta la contrapposizione creatasi negli ultimi mesi tra Russia e Turchia e teme che un presidente Erdogan stretto all’angolo possa essere estremamente pericoloso per la situazione siriana, ma non solo. Inoltre, la rafforzata proiezione dell’Iran, che coinvolge inevitabilmente anche l’India e soprattutto la Cina (Xi Jinping è stato il primo capo di Stato a recarsi in Iran, dopo la notizia dell’eliminazione graduale delle sanzioni, il 23 gennaio 2016), è potenzialmente in grado di ridurre l’influenza russa sulla regione dell’Asia Centrale. A partire proprio dall’Afghanistan, una delle principali preoccupazioni, in termini di sicurezza (terrorismo, droga), per Teheran.  Per non parlare dei naturali e tradizionali punti di frizione tra i due paesi nel Caucaso meridionale e per la questione della demarcazione delle acque territoriali del Mar Caspio.

L’alleanza di comodo, o il matrimonio d’interesse, che sembra essersi ravvivato dopo l’accordo per la cessazione delle ostilità in Siria, raggiunto l’11 febbraio scorso, non mette al riparo Russia e Iran dai diversi orizzonti e obiettivi che li contraddistinguono nella comune difesa dello status quo di Assad in Siria. Per l’Iran la permanenza al governo di Assad è fondamentale per la tenuta del paese (e contestualmente per il mantenimento dell’influenza iraniana in Siria); per la Russia, a cui preme soprattutto l’area costiera da Latakia a Tartous, dove dispone dell’importante base navale del Mediterraneo, i destini della Siria futura e di al-Assad non sono indissolubilmente intrecciati, e ciò potrebbe portare Mosca a favorire eventuali situazioni e intese di compromesso non accettabili da Teheran.

Stefano Lupo, IFI Advisory e OPI

 

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Iran Russia sanzioni Elezioni Jcpoa Teheran conflitto siriano
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