Iran e USA verso la crisi e non solo sul nucleare | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary

Iran e USA verso la crisi e non solo sul nucleare

Roberto Toscano
27 Dicembre 2016

Bisognerebbe essere molto ottimisti per pensare che il 2017 metterà fine alle crisi che hanno caratterizzato l’inizio del XXI secolo: i conflitti mediorientali che (dall’Iraq alla Siria allo Yemen) sembrano condannati a non chiudersi mai, ma si sommano e si intrecciano; l’annessione russa della Crimea e quella, non dichiarata, del Donbass; i massicci spostamenti di masse umane, sia rifugiati che migranti.

Il fatto è che, dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, degno coronamento di un anno veramente horribilis, c’è da temere che si possa aprire un nuovo fronte di crisi, quello fra Stati Uniti e Iran. 

L’accordo sulla questione nucleare iraniana, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), aveva fatto sperare non certo che si potesse immaginare un rapido superamento della storica ostilità fra Washington e l’Iran della rivoluzione islamica, ma quanto meno che si potesse ormai escludere un’escalation in direzione di uno scontro militare. Nel frattempo la formula del riformismo centrista del Presidente Rouhani trovava nell’accordo nucleare, e nella promessa di benefici economici legata al graduale tramonto delle sanzioni, un’essenziale fonte di consenso, indispensabile per garantire la sua rielezione il prossimo anno.

La vittoria elettorale di Trump solleva ora gravissimi dubbi sulla possibilità che questa prospettiva possa davvero realizzarsi. Ancora prima del suo insediamento risulta infatti evidente quanto la conclusione favorevole del lungo negoziato nucleare dipendesse – in parallelo con il ruolo di Rouhani e del suo Ministro degli esteri Zarif – dall’impegno personale di Obama e dei suoi più diretti collaboratori, in primo luogo il Segretario di Stato Kerry. Qualcuno, immaginando quale potrà essere la politica estera di Trump, sembra oggi sperare in quella bizzarra forma di pragmatismo che deriva dall’evidente ignoranza sui dossier internazionali e da un clamoroso opportunismo che lo porta a cambiare rotta a seconda del momento e dell’interlocutore che si trova di fronte. Ma è la scelta dei personaggi che faranno parte della sua squadra di governo a fornire segnali non equivoci di una svolta che potrebbe rapidamente riportare la situazione non solo ai tempi in cui “tutte le opzioni” (compresa quella della guerra) erano “sul tavolo”, ma anche ad andare oltre quella soglia per passare allo scontro aperto.

È vero che sembra difficile immaginare una denuncia formale dell’accordo nucleare da parte americana, tanto più che non si tratta di un’intesa bilaterale USA-Iran, ma del risultato di un negoziato al quale hanno partecipato i “5+1” (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania). Ma basta scorrere l’elenco della “squadra Trump” per presagire che i rapporti fra Washington e Teheran siano destinati a volgere rapidamente al peggio. Dal Consigliere per la sicurezza nazionale Generale Flynn al Capo della CIA Pompeo al Segretario della Difesa Mattis, senza parlare del probabile Vice Segretario di Stato Bolton, si tratta di personaggi che da tempi non sospetti fanno dell’ostilità all’Iran una componente costitutiva della loro visione della politica estera americana. 

Anche se la denuncia dell’accordo nucleare è poco probabile - e comunque sarebbe solo limitatamente incisiva, dato che l’Europa questa volta non si allineerebbe con gli Stati Uniti – lo scenario dei prossimi mesi rimane preoccupante, anzi minaccioso. Entreranno infatti alla Casa Bianca le voci di chi fin dal momento della conclusione dell’accordo esigevano di spostare il discorso dal tema della non-proliferazione nucleare a questioni come il ruolo regionale dell’Iran dalla Siria allo Yemen, e come la stessa legittimità del regime iraniano, con il passaggio a una politica di regime change al posto della scommessa di Obama, quella di puntare su un graduale change in the regime. Che si tratti di una svolta radicale risulta del tutto evidente, se si pensa a quanti dei personaggi che entreranno a far parte dell’amministrazione Trump si sono espressi a favore del sinistro gruppo islamo-marxista, i Mujaheddin Khalq - MKO (fino al 2012 incluso nell’elenco delle organizzazioni terroriste del Dipartimento di stato) in qualche caso partecipando, dietro pagamento, a raduni dell’organizzazione.

Non sarà facile che il prevedibile inasprimento delle tensioni fra Washington e Teheran possa mantenersi sul terreno di una “guerra fredda” e di operazioni ostili sul terreno della diplomazia e dell’intelligence. Sarà invece bene tenere un occhio sulla situazione nel Golfo Persico, dove già si segnalano episodi che fanno pensare alla possibilità di incidenti fra flotta americana e imbarcazioni militari iraniane, alcune delle quali appartenenti al Corpo dei guardiani della rivoluzione. I Pasdaran, quel potente esercito parallelo di pretoriani del regime che costituisce un contropotere rispetto al Presidente e che è ostile alla prospettiva su cui si è finora basata la proposta politica di Rouhani: quella che una riduzione della tensione con gli Stati Uniti potesse aprire la strada a un’evoluzione dell’Iran verso maggiore benessere, maggiore integrazione nella regione e nel mondo, un miglioramento sul terreno dei diritti e delle libertà dei cittadini.

L’uscita di scena di Obama potrebbe innescare il tramonto di Rouhani e l’apertura di un’ennesima, pericolosa crisi in Medio Oriente.

 

 

Roberto Toscano, già Ambasciatore d'Italia in Iran (2003-2008) e in India (2008-2010)

 

VAI AL DOSSIER

Versione stampabile
Download PDF

Autore

Roberto Toscano
ex Ambasciatore d'Italia in Iran e in India

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157