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Le proteste

Iran, repressione capitale

30 Dicembre 2022

Sono almeno 100 le persone che rischiano la pena di morte per aver protestato contro le autorità in Iran. La scacchista che aveva gareggiato senza velo ripara in Spagna e Teheran convoca l’ambasciatore italiano: “Basta ingerenze”.

Un attore, un radiologo, un karateka, un impiegato e un ingegnere. Sono tutti accusati dello stesso omicidio, anche se non si conoscono e si sospetta che la loro confessione sia stata estorta con la violenza. Il Guardian ha riportato le loro storie: è solo una goccia nell’oceano della repressione della repubblica islamica, ma ben dimostra cosa sta succedendo ai giovani che manifestano in Iran.
Secondo l’ong Iran Human Rights, sono almeno 100 i cittadini iraniani che rischiano la pena capitale per reati che sarebbero stati commessi nel corso delle proteste iniziate a settembre dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne morta durante un fermo di polizia per via del velo indossato male. E in questi oltre 100 giorni di protesta, la repressione della teocrazia iraniana ha ucciso almeno 472 persone, tra cui 64 bambini e 34 donne. La protesta è iniziata proprio dalle donne, che dopo la morte di Amini hanno sfidato il regime contro l’obbligo del velo, ma si è presto estesa a tutte le fasce sociali nonché regioni dell’Iran, contro il conservatorismo delle autorità della repubblica islamica. E secondo quanto riporta El Pais, la scacchista Sara Khadem, nota per aver gareggiato a un torneo in Kazakistan senza il velo obbligatorio, si trasferirà in Spagna e probabilmente non giocherà più in rappresentanza del suo paese.

 

 

 

 

100 condannati a morte?

Secondo un rapporto dell’organizzazione basata in Norvegia Iran Human Rights (IHR), sono almeno 100 le persone che rischiano l’esecuzione: qui l’elenco di tutti i casi. Si tratterebbe, però, di un numero inferiore a quello reale. L’ong sostiene infatti che molte famiglie siano state minacciate di non rivelare sentenze o accuse di cui devono rispondere loro parenti. A tutti i 100 condannati o accusati non è stato garantito il diritto a un avvocato e a un giusto processo. Il rapporto sottolinea che nei casi in cui ci sia stato un contatto con gli accusati questi abbiano tutti dichiarato di esser stati sottoposti a tortura fisica o psicologica per estorcere false confessioni. Alcuni dei capi di accusa più comuni sono “inimicizia contro Dio” e “corruzione sulla Terra”. Secondo il direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, “con le sentenze di condanna a morte, e con alcune loro esecuzioni, le autorità intendono mandare a casa le persone […] in generale abbiamo visto ancora più rabbia contro le autorità e questa strategia dell’intimorire attraverso le esecuzioni è fallita”.

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Repressione contro celebrità?

La repressione del regime iraniano non risparmia nessuno, nemmeno gli atleti nazionali. Il caso più attuale è quello della scacchista Sara Khadem, che aveva gareggiato a un torneo ad Almaty, in Kazakistan, senza indossare il velo obbligatorio. Secondo alcune fonti sentite dal quotidiano spagnolo El Pais, Khadem ora avrebbe deciso di trasferirsi in Spagna con la famiglia, dove la scacchista possiede una casa. Pochi giorni fa, invece, la leggenda del calcio nazionale, Ali Daei, che da settembre sostiene le proteste, ha raccontato che l’aereo che stava trasportando sua moglie e sua figlia è stato fatto atterrare su un’isola per farle scendere, impendendo che queste raggiungessero l’ex calciatore per le vacanze a Dubai. A novembre, l’arciere donna Parmida Ghasemi aveva lasciato cadere l’hijab durante una cerimonia. E ancora, lo scorso ottobre l’arrampicatrice Elnaz Rekabi, che in una competizione in Corea del Sud si era arrampicata senza velo – ricevendo per questo un caloroso omaggio al suo rientro a Teheran –, sarebbe stata messa agli arresti domiciliari. Sia Ghasemi che Rekabi avrebbero successivamente addotto motivazioni contingenti: secondo molti perché obbligate dalle autorità intenzionate a far scemare l’entusiasmo provocato dai loro gesti eclatanti. Infine, nel mondo dello sport aveva destato scalpore il caso della nazionale maschile ai mondiali di calcio in Qatar, le cui famiglie sarebbero state minacciate dopo la scena muta durante l’inno prima della partita d’esordio.

 

Ingerenza italiana?

Ieri, l’ambasciatore italiano a Teheran, Giuseppe Perrone, è stato convocato dal ministero degli Affari Esteri iraniano in protesta contro “le dichiarazioni le azioni interventiste di alcuni funzionari italiani negli affari interni dell’Iran”. Lo riferisce l’agenzia di stampa filo-governativa ISNA. L’accusa di ingerenza si riferisce alla convocazione da parte del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, dell’ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri, a cui il capo della Farnesina aveva chiesto di fermare le esecuzioni, le condanne e la repressione contro i manifestanti. Un appello a cui si sono poi aggiunte le parole di condanna della premier Giorgia Meloni, che aveva detto che l’Italia non avrebbe tollerato ulteriormente la repressione: “Noi siamo stati sempre un paese dialogante ma se le repressioni non dovessero cessare, l’atteggiamento dell’Italia dovrà cambiare completamente” passando da un’“interlocuzione a livello di alleati per capire come rendere più incisiva la nostra azione”.

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