Teheran accusa Israele di aver sabotato il sito nucleare di Natanz. Ma la vera posta in gioco è a Vienna, dove l’incidente potrebbe far deragliare i colloqui in corso per il rinnovo dell’accordo sul nucleare con gli USA.
C’è stato un sabotaggio dietro il blackout dell’impianto nucleare di Natanz, in Iran, dove sabato erano state inaugurate due centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. A denunciarlo è Ali Akbar Salehi, responsabile dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica, che invita l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) a indagare quello che ha definito un atto di “terrorismo nucleare”. Senza rivolgere accuse precise, Salehi ha detto che Teheran “si riserva il diritto di agire contro gli autori”. Il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, invece, punta dritto il dito contro Israele: “I sionisti vogliono vendicarsi per i nostri progressi sulla strada della revoca delle sanzioni, e hanno già detto pubblicamente che non lo permetteranno. Ma ci prenderemo la nostra vendetta”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in difficoltà con la formazione di un nuovo governo e che domenica ha incontrato il segretario Usa alla Difesa Lloyd Austin, ha promesso di fare tutto ciò che è in suo potere per fermare l'accordo sul nucleare iraniano. L’incidente, infatti, avviene mentre a Vienna sono in corso colloqui indiretti tra Iran e il gruppo 5+1 (Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti), nel tentativo di salvare l’intesa del Jcpoa dopo il ritiro unilaterale di Washington nel 2018 e il seguente disimpegno di Teheran dai suoi obblighi.
L’ombra del Mossad?
Il governo israeliano non ha smentito né confermato il proprio coinvolgimento nell’operazione, ma negli ultimi giorni sia il primo ministro Benjamin Netanyahu sia le autorità militari avevano suonato i campanelli d’allarme riguardo la possibile minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano. A seconda del livello di arricchimento, infatti, l’uranio può essere usato per la produzione di energia nucleare a uso civile o per la produzione di armi. Ma se non ci sono dichiarazioni ufficiali in merito, fonti di intelligence americane e israeliane hanno confermato al New York Times il coinvolgimento di Tel Aviv nell’incidente. Secondo le ricostruzioni fornite dal quotidiano, un’esplosione avrebbe fortemente danneggiato il sistema che alimenta le centrifughe sotterranee, assestando un duro colpo al sito, che avrebbe bisogno di almeno nove mesi per ripristinare la capacità di produzione. Non sarebbe la prima volta che Israele prende di mira il programma nucleare iraniano, con attacchi informatici e omicidi mirati. Sono in molti a ritenere che il Mossad sia anche il responsabile delle uccisioni di diversi scienziati iraniani, come Mohsen Fakhrizadeh, tra i vertici del programma nucleare iraniano, ucciso con un ordigno a distanza a Teheran a fine novembre.
Un conflitto costante?
Da oltre un decennio – osserva il Guardian – quello tra Israele e Iran è un conflitto costante ma di cui si ha percezione solo in occasione di ‘incidenti’ e azioni mirate che, a seconda dell’intensità e della cadenza, riflettono il livello di tensione tra i due paesi. Gli scontri hanno più recentemente incluso attacchi aerei e contro la navigazione: cinque giorni fa una mina ha centrato una nave cargo iraniana nel Mar Rosso, mentre a fine marzo una portacontainer israeliana era stata colpita da un missile nel Golfo Persico. Secondo funzionari locali, persino una misteriosa fuoriuscita di petrolio verificatasi un mese fa al largo delle coste israeliane potrebbe essere frutto di sabotaggio ambientale. Ad aumentare la pressione, in questo momento, sarebbe proprio la ripresa dei negoziati sul nucleare, in corso nella capitale austriaca. “Condanniamo ogni tentativo di rallentare o far deragliare i colloqui in corso” si è affrettato perciò a precisare il portavoce europeo Peter Stano, aggiungendo che, finora, lo spirito degli incontri è stato “molto costruttivo e orientato al raggiungimento di risultati”. Che significa che ci sono motivi per essere ottimisti.
Se il governo iraniano chiede la fine delle sanzioni in cambio del suo ritorno ad un pieno rispetto degli impegni sul nucleare, la sua Agenzia per l’energia atomica ha fatto sapere oggi che in tre mesi è riuscita a produrre 55 chili di uranio arricchito al 20%: ben oltre il limite del 3,67% previsto dall’accordo.
Una strada in salita?
Domani a Vienna, dopo una pausa di qualche giorno, riprenderanno gli incontri tra gli esponenti dei paesi firmatari del Jcpoa. L’obiettivo è rilanciare un accordo che possa sostituire quello deragliato dopo il ritiro statunitense nel 2018. La squadra di negoziatori statunitensi, inoltre, ha già detto che cercherà di trovare un accordo che vada anche oltre il nucleare, includendo temi come il programma missilistico iraniano e l’appoggio di Teheran a gruppi armati di altri paesi del Medio Oriente. Pur con gli occhi puntati su Vienna, gli americani, come gli iraniani, devono tenere conto delle dinamiche interne: se l’insediamento di Joe Biden alla casa Bianca ha aperto una finestra di opportunità nelle relazioni con l’Iran e sancito la fine della strategia di massima pressione imposta da Trump, i democratici vogliono evitare di chiudere un deal lasciando aperti dossier su cui i repubblicani chiedono garanzie. In una lettera aperta, 43 senatori hanno chiesto a Biden di mantenere le sanzioni all’Iran fino a quando non sarà sottoscritto un nuovo accordo sul nucleare. Allo stesso modo, a Teheran, il governo di Hassan Rouhani si trova in una posizione di debolezza nei confronti degli ultraconservatori e, in vista del voto per le presidenziali a giugno, il negoziato rischia di diventare un’arma di propaganda in una campagna che si preannuncia particolarmente agguerrita. Soprattutto perché, con il favore delle urne, i conservatori potrebbero puntare all’idea di negoziare l’accordo da soli.
Il commento
Di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow e coordinatrice scientifica Rome MED Dialogues
“Con il sabotaggio dell'impianto di Natanz Israele vuole ottenere due risultati. Il primo è il sabotaggio degli stessi colloqui in corso a Vienna, che potrebbero risultare in un sollevamento delle sanzioni verso Teheran e dunque nella fine dell'isolamento iraniano. Il secondo è la riduzione del leverage accumulato da Teheran in questo ultimo anno: se Natanz è fuori uso, le concessioni che l'Iran può estrarre a Vienna saranno inferiori, secondo il calcolo israeliano. E se da una parte è necessario che gli Usa diano ascolto ai punti di vista dei propri alleati regionali, come Israele e paesi del Golfo, dall'altra è importante che anche con essi vengano messe in chiaro anche le linee rosse: la posta in gioco del negoziato è troppo alta perché potenziali spoiler facciano naufragare la diplomazia.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)