Iran: una crisi profonda | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary
Iran: una crisi profonda
11 febbraio 2010

In questi giorni l’Iran ricorda il trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica. All’atto di scrivere questa nota le commemorazioni sono ancora in corso e non si può fare un’analisi circostanziata degli eventi. Probabilmente essi confermeranno che il movimento nato dopo i brogli elettorali del giugno 2009 non è vinto. D’altro lato, le dimostrazioni di strada difficilmente chiariranno se l’opposizione stia guadagnando terreno o meno. Come in altre occasioni recenti, nell’assenza di qualche colpo di scena le previsioni rimarranno molto speculative.   

Governo e opposizione continuano a vivere alla giornata. L’opposizione soffre di debolezze che rischiano di diventare croniche. In primo luogo, manca una leadership incontaminata e carismatica. 

In secondo luogo, a parte il rifiuto del presidente Ahmadinejad, non esiste una visione politica comune. Indicativo a questo riguardo è il profondo divario tra chi vuole la caduta del regime e coloro – per il momento la maggioranza – che cercano la democratizzazione del governo islamico.   

Le debolezze del Movimento Verde nulla tolgono alla gravità della crisi che ha colpito il leader supremo Khamenei e il governo di Ahmadinejad. Le sue radici risalgono all’atto di nascita del regime, la costituzione che l’ayatollah Khomeini portò da Parigi atterrando trionfalmente a Tehran nel febbraio 1979. Nel corso degli anni è diventata evidente l’impossibilità di riconciliare le due anime di questa costituzione, una teocratica e assolutista e l’altra repubblicana e rappresentativa. Quanto successo nel giugno scorso e ciò che lo ha preceduto e seguito costituiscono l’ultima e categorica conferma del problema; la repubblica islamica trema nelle sue fondamenta ideologiche e istituzionali. 

Non è immaginabile che il regime nella sua composizione attuale, pur avendo il sostegno di importanti ceti popolari, riesca a far rientrare la crisi. Un profondo cambiamento è inevitabile. Come e quando tale cambiamento avverrà è però ancora difficile a dirsi. Molto dipenderà dalle scelte di un governo che vacilla goffamente tra compromesso e uso della forza. La più recente tendenza verso una repressione dura potrebbe risultare in qualche azione particolarmente violenta o provocatoria, precipitando la situazione fuori dal controllo di entrambe le parti. In quanto all’opposizione, nell’assenza di una struttura adeguata dovrà soprattutto lottare per sopravvivere; nel breve termine, la sua arma migliore continuerà a essere l’inettitudine del governo.  

Nel seguire questi eventi è fondamentale interpretarli alla luce della complessa realtà iraniana e non alla luce delle attese occidentali. 

Bisogna anche distinguere tra politica interna e altri temi d’interesse internazionale quale il nucleare. Sciaguratamente, l’escalation sulla vera o presunta minaccia nucleare iraniana conviene sia ad Ahmadinejad che ai suoi oppositori stranieri. Si rischia di passare dalle parole ai fatti a rimorchio di una retorica allarmista e incoerente. Ciò avrebbe gravi conseguenze anche sul processo in corso a Tehran. L’Occidente e i suoi alleati non devono dimenticare le lezioni dell’Iraq e di altri vecchi e recenti interventi in Iran e nella regione. 

Versione stampabile
Download PDF

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157