Nessuno sconto all’Iran ma siamo pronti per la pace: il presidente americano Donald Trump apre uno spiraglio nella crisi con Teheran. Dopo l’uccisione di Qassem Soleiman e i raid iraniani che nella notte hanno colpito due basi americane in Iraq, il rischio di un’escalation sembra per il momento scongiurato.
Lavorare insieme per un futuro di pace: le parole del presidente americano Donald Trump sembrano allontanare l’ipotesi di un’ulteriore escalation militare con l’Iran. In conferenza stampa dalla Casa Bianca, Trump ha annunciato nuove sanzioni contro Teheran e rivendicato l’uccisione venerdì scorso a Baghdad di Qassem Soleimani “un pericoloso terrorista che ha destabilizzato la regione mediorientale per anni”. La rappresaglia iraniana per la morte del generalissimo - comandante delle brigate al Quds delle Guardie della Rivoluzione Islamica – era scattata ieri poco dopo la mezzanotte italiana. L’aeronautica di Teheran ha lanciato 22 tra cruise e missili a corto raggio contro due basi militari in Iraq, che ospitano soldati americani: a Ain al Asad, nella regione occidentale di al Anbar, e a Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. L’operazione ‘Martire Soleimani’ avrebbe provocato 80 morti tra i militari secondo la tv di Stato iraniana. Informazioni smentite da Trump che ha ribadito: “abbiamo le forze armate più potenti del pianeta e i nostri sistemi di difesa sono i migliori”. Mai, dal 1979, Iran e Stati Uniti erano sembrati così vicini allo scontro militare diretto come in questi giorni. Il discorso di Trump e le cautele di Teheran porteranno davvero ad un allentamento della tensione?
Risposta simbolica?
Guerra asimmetrica, incursioni mirate o cyberattacchi? Poche ore dopo il raid statunitense di venerdì scorso contro Qassem Soleimani, comandante delle brigate al Quds delle Guardie della Rivoluzione Islamica, il mondo si interrogava su come avrebbe risposto la Repubblica Islamica. Teheran aveva ammonito che, in caso di nuove azioni militari della Casa Bianca, sarebbe stata pronta ad allargare il conflitto, colpendo Israele e Paesi del Golfo alleati degli Usa. A poche ore dal raid contro le basi americane in Iraq, il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha riferito in un tweet di “misure proporzionate di legittima difesa, nel rispetto dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” sottolineando che l'Iran “non vuole la guerra né l'escalation” ma “si difenderà da ogni aggressione”. Confermando che l’obiettivo finale di Teheran resta l’espulsione delle truppe Usa dalla regione.
Cosa ha detto Trump?
In ritardo di 30 minuti sull’orario previsto, Trump ha esordito annunciando che l'Iran "non avrà mai la bomba atomica". Sembra che “abbiano indietreggiato", ha detto un Trump soddisfatto, "nessuno dei nostri soldati è stato colpito, e i danni alle nostre basi sono stati minimi. Il presidente ha poi elencato le ragioni che hanno portato all'uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, “che avrebbe dovuto essere messa a segno già da tempo”, definendolo “un terrorista” e spiegando che progettava “nuovi attacchi contro gli interessi americani”. Quindi il presidente ha annunciato nuove sanzioni al governo iraniano e invitato Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna a uscire “dall’infausto accordo sul nucleare iraniano” firmato nel 2015 (JCPOA) dalla precedente amministrazione “grazie al quale i nostri nemici hanno potuto dotarsi dei missili con cui ieri ci hanno bombardato”. "Dobbiamo raggiungere un accordo che permetta all'Iran di crescere e prosperare". Gli Usa sono pronti ad abbracciare la pace" con Teheran ha detto ancora Trump rivolgendosi "al popolo e ai leader iraniani".
Spiragli di distensione?
L’assassinio di Soleimani - che da oltre vent’anni proteggeva la Repubblica Islamica attraverso la strategia della “difesa avanzata” - non poteva restare impunito. Come evidenziato in questa analisi di Marco Carnelos, nel calcolo strategico iraniano non era però mancata la consapevolezza che una risposta eccessiva avrebbe rischiato di provocare un’ulteriore azione statunitense. Per questo, all’apice della crisi, sembra finalmente schiudersi una finestra per la de-escalation. L’assenza di vittime nelle basi irachene colpite dai missili iraniani ha offerto a entrambi i contendenti la possibilità di uscirne: Teheran potrà dire di aver messo a segno la sua vendetta, e Trump sostenere di essere il vero vincitore del confronto muscolare con il gli ayatollah. Nonostante le brusche virate, a cui spesso ci ha abituato, soprattutto in politica estera, il presidente americano sembra infatti aver colto l'opportunità di abbassare i toni. Se l’ipotesi di un conflitto militare sembra allontanarsi, meno chiare appaiono le prospettive di lungo termine: resta da vedere se l’Iran non serbi al presidente-anatra zoppa, che punta alla rielezione per un nuovo mandato a novembre, una vendetta più in là nel tempo, da servire fredda.
Il commento
di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow – Iran Desk
Il discorso di Trump apre uno spiraglio per la de-escalation. Senza rimozione delle sanzioni, però, è difficile che la situazione si sblocchi significativamente. È più probabile che assisteremo ad un periodo di incertezza e instabilità strisciante, almeno fino alle elezioni Usa 2020.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)