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Commentary

Iraq: nell'urna un paese in cerca di identità

11 gennaio 2014

Se non altro si conosce la data delle future elezioni e vi è ora una nuova legge elettorale, dato che la precedente era stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema. Di questi tempi, per l’Iraq non è poca cosa.

Superando lunghe settimane di stallo, lo scorso novembre, il Consiglio dei Rappresentanti (CoRs, il parlamento di Baghdad) ha infine approvato un nuovo sistema elettorale, scegliendo nel contempo il 30 aprile quale data per eleggere il nuovo parlamento. In una società frammentata e polarizzata come l’Iraq, la scelta del meccanismo per la selezione dei parlamentari, lungi da essere solo una questione per “tecnici”, ha profonde conseguenze politiche: a seconda del meccanismo prescelto, i seggi attribuiti possono variare notevolmente. Ad esempio, l’insistenza dei Curdi sul ritorno al sistema della “circoscrizione elettorale unica” del 2005 - che ha lungamente paralizzato il dibattito parlamentare – si spiega con i vantaggi che questa minoranza etnica avrebbe ottenuto: dato che la loro affluenza al voto è superiore a quella degli arabi, con un’unica circoscrizione essi avrebbero avuto un maggior numero di candidati eletti, rispetto a un sistema più parcellizzato.

La scelta finale è caduta su un modello proporzionale con una ripartizione dei seggi residuali tramite il cosiddetto “Metodo Sainte-Laguë”, che privilegia i partiti minori, allargando la rappresentanza parlamentare a un maggior numero di soggetti. Una scelta che sembra indebolire le coalizioni elettorali maggiori, in particolare il primo ministro al-Maliki, e che rischia di accentuare la frammentazione e il localismo della rappresentanza parlamentare, seguendo un trend già evidente nelle elezioni provinciali del 2013.

Quanto al resto, ossia programmi, alleanze e leader politici, vi è ancora molta confusione che – come in una spirale perversa – alimenta e viene alimentata dalle violenze settarie riesplose nel paese. E’ difficile fare previsioni in uno scenario di profonda instabilità e con il peggiorare delle relazioni etno-religiose, in particolare fra la maggioranza arabo-sciita e la minoranza arabo-sunnita; tuttavia, alcuni elementi sembrano evidenti. Il primo ministro al-Maliki è ormai percepito come un leader settario e marcatamente ostile ai sunniti, non senza qualche ragione. Le sue tendenze autoritarie e la sua volontà di riproporsi per un terzo mandato trovano l’opposizione di un ampio spettro politico, compresi molti dei partiti arabo-sciiti, come il movimento di Muqtada al-Sadr e l’ISCI di Ammar al-Hakim, che sembra aver invertito il declino politico a cui era avviato. Una loro alleanza elettorale in opposizione alla lista Dawlat al-Qanun di al-Maliki, renderebbe più difficile il ritorno al governo di quest’ultimo, che sembra aver anche perduto il favore della maggior parte dell’establishment religioso sciita iracheno.

La coalizione secolare, anti-settaria e nazionalista, di Iraqiyya di Iyad Allawi è ormai frammentata, grazie alla capacità di attrazione clientelare del primo ministro; anche le ambizioni politiche di quest’ultimo appaiono fortemente ridimensionate. Nel pulviscolo di movimenti a matrice arabo-sunnita, spesso con forte impronta tribale e locale, emergono i tentativi di riconsolidamento politico dell’attuale presidente del CoRs, Usama al-Nujayfi, e del vice-primo ministro, Saleh al-Mutlaq. L’alleanza, o il sostegno post elezioni, di parte della minoranza sunnita a uno dei principali raggruppamenti elettorali avrà un forte peso politico, soprattutto in caso di un parlamento frammentato e privo di un chiaro vincitore; pertanto, nei prossimi mesi vi sarà un forte attivismo nei confronti di questo bacino elettorale.

Infine, la coalizione curda per quanto più omogena, non è priva di tensioni interne: il declino dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) in seguito alla malattia del presidente della repubblica, Jalal Talabani, rischia di far riemergere le storiche divergenze fra le diverse anime dell’attivismo politico curdo. Il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) del presidente del KRG, Barzani, sembra sempre più orientato a massimizzare i benefici politici e economici dell’autonomia regionale, con un ambizioso programma di sfruttamento (indipendente da Baghdad) delle risorse energetiche locali. A livello nazionale si muove per lo più tatticamente, per contrastare il consolidamento di un “blocco arabo” potenzialmente minaccioso per il KRG. Ma egli deve anche fare i conti con l’emergere di un movimento curdo che ne contesta lo strapotere al nord, Goran, e che si propone come strumento di rinnovamento e di lotta alla corruzione.

Tutto ciò avviene in una fase regionale di forte tensione che si riflette sull’intero Medio Oriente ma, in particolare, sui due paesi maggiormente attraversati dalla polarizzazione sciiti/sunniti. Per certo, lo scontro geopolitico fra gli scomodi vicini dell’Iraq continuerà ad avere pesanti ripercussioni all’interno di un paese ancora incapace, a quasi undici anni dalla caduta di Saddam, di ritrovare un proprio equilibrio identitario.

Riccardo Redaelli, professore associato di Geopolitica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
 
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