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Focus Mediterraneo Allargato n.15
Iraq: una difficile ripresa, aspettando Biden
Francesco Salesio Schiavi
10 febbraio 2021

All’inizio del 2021 l’Iraq si trova ancora fare i conti con le sue fragilità economiche e securitarie, aggravate nell’ultimo anno dalla pandemia da Covid-19 e dalla recrudescenza dello Stato Islamico (IS). L’attuale governo ad interim del primo ministro incaricato Mustafa al-Kadhimi fatica ad avviare le riforme da tempo richieste dai movimenti di piazza e a rispettare le promesse elettorali. Alle incognite interne si sommano quelle relative all’approccio che la nuova presidenza Biden adotterà nei confronti dell’Iraq.

 

Quadro interno

Dal punto di vista sanitario, il tasso d’infezione da coronavirus in Iraq è in calo costante, passato dagli oltre 4.000 nuovi casi giornalieri tra agosto e novembre a meno di 800 nelle prime settimane di gennaio. Sin dall’inizio della pandemia, il paese ha registrato 611.407 contagi accertati e 12.977 decessi per Covid-19, di cui 21.705 casi ancora attivi.[1] Nonostante la diminuzione apparente dei contagi, sono molti i fattori che ancora ostacolano gli sforzi del governo iracheno per frenare la diffusione del virus, e a oggi l’Iraq è male equipaggiato per affrontare un’eventuale seconda ondata. Se da un lato sono gli esperti che dubitano dell’affidabilità dei dati ufficiali legati alla diffusione contagio nel paese, dall’altro il calo dei tassi d’infezione ha contribuito a diffondere nella popolazione un falso senso di sicurezza. Recenti interviste rilasciate al New York Times fanno infatti emergere come, a fronte della diminuzione dei contagi da Covid-19, una larga parte dei cittadini iracheni stia ignorando le precauzioni raccomandate dal governo. Nel corso del 2020, al culmine della pandemia, le autorità irachene avevano imposto la chiusura di scuole, luoghi di culto e attività di ristorazione nel tentativo di diminuire la pressione sul fragile sistema sanitario. Con i numeri in calo e nella speranza di risollevare l’economia (soprattutto quella informale), diversi governatorati hanno progressivamente allentato le restrizioni imposte durante il precedente lockdown. In questo contesto, l’avvio della campagna di vaccinazione (per cui il governo ha stanziato fondi per 100 milioni di dollari) è previsto per il mese di marzo. Baghdad ha già acquistato 1,5 milioni di dosi del vaccino Pfizer/BioNTech e si sta adoperando per l’acquisto dei sistemi di refrigerazione necessari per la loro conservazione. Ciononostante, i dubbi sulle effettive capacità del governo di portare a termine una campagna di vaccinazione su scala nazionale (visti il numero esiguo di ordini effettuati e i noti problemi di affidabilità del circuito elettrico nazionale, che potrebbe compromettere la gestione dei refrigeratori Pfizer) hanno spinto il ministero della Salute iracheno ad autorizzare anche l’uso “emergenziale” dei vaccini delle società AstraZeneca e Sinopharm.[2]

Il 2020 si è rivelato un anno disastroso per l’Iraq dal punto di vista economico. La pandemia e il conseguente calo dei prezzi e della produzione di idrocarburi (i cui ricavi rappresentano oltre il 90% delle entrate e quasi il totale delle esportazioni del paese) hanno infatti ulteriormente aggravato le vulnerabilità economiche dell’Iraq, che si trova ora a fare i conti con una contrazione del Pil dell’11% (secondo stime del Fondo monetario internazionale).[3] Attualmente in discussione in parlamento, il budget statale per il 2021 prevede un bilancio totale di 113,2 miliardi di dollari e un deficit stimato 50,3 miliardi.[4]

In campo energetico, l’Iraq si è impegnato a ridurre la produzione del primo bimestre del 2021 per compensare allo sforamento della sua quota stabilita in sede Opec plus lo scorso anno. Le riduzioni richieste dal cartello petrolifero hanno infatti l’obiettivo di abbassare l’offerta mondiale del greggio e di rafforzare la struttura del mercato innalzando conseguentemente i prezzi. Secondo quanto riferito dalla Somo (l’Organizzazione statale per il commercio petrolifero iracheno), Baghdad s’impegnerà a ridurre entro i 3,6 milioni di barili al giorno la produzione per i mesi di gennaio e febbraio. Sebbene necessaria, una simile riduzione (che vedrà l’export petrolifero iracheno retrocedere ai valori estremamente bassi del primo semestre del 2015) limiterà ulteriormente le rendite a disposizione dello stato, che si trova a fare i conti con un’economia in costante peggioramento. Nel tentativo di limitare la dipendenza di Baghdad dall’esportazione petrolifera, il 13 gennaio il presidente della Repubblica, Barham Salih, ha ratificato l’adesione dell’Iraq agli Accordi di Parigi sul clima, con l’obiettivo ultimo di avviare il paese verso una diversificazione economica che includa anche le energie rinnovabili.

A destare maggior preoccupazione sono però i costi mastodontici del sistema pensionistico e del settore pubblico nazionale, che accoglie il 40% della forza-lavoro irachena. Secondo stime recenti, la spesa media del settore pubblico corrisponde a circa 7 miliardi di dollari al mese (di cui 5 per gli stipendi e 2 per la copertura di costi operativi e forme indirette di sostegno alla popolazione);[5] dall’avvento della pandemia, l’export iracheno è riuscito a provvedere solo alla metà di tale importo, con entrate mensili che non hanno superato i 3,5 miliardi di dollari.[6] Per compensare le perdite causate dal calo dei prezzi del petrolio e coprire le spese dell’ultimo trimestre del 2020 del settore pubblico, il governo ha richiesto un prestito di 25 miliardi di dollari alla Banca centrale irachena. Nel tentativo, inoltre, di ridurre la pressione economica, nel budget per il 2021 l’esecutivo ha introdotto importanti tagli al settore pubblico e ha autorizzato la svalutazione del dinaro iracheno, segnando un deprezzamento del 18,5% sul rapporto dollaro-dinaro.[7] Per quanto inevitabile, una simile soluzione espone l’Iraq al rischio reale di un’inflazione incontrollata se questa non sarà accompagnata da un pacchetto di riforme economiche che possa impedire la paralisi delle importazioni dai cui il paese dipende. A fine gennaio, il ministero delle Finanze iracheno ha avviato trattative con il Fondo monetario internazionale per attivare un prestito di 6 miliardi di dollari. Una volta che il piano di spesa sarà approvato dal parlamento, Baghdad potrà richiedere 2 miliardi di finanziamenti rapidi stanziati dal Fmi per aiutare le economie colpite dal Covid-19 e di altri 4 miliardi in prestiti a tassi agevolati attraverso il programma di sostegno alle riforme governative.[8] Se simili prestiti verranno garantiti e il prezzo del greggio si manterrà ai valori attuali, il processo di esaurimento delle riserve di valuta estera potrebbe rallentare, impedendo così un altro pericoloso round di deprezzamento della valuta.

L’attuale stato di fragilità economica dell’Iraq ha inevitabili riflessioni anche sul piano sociale. Se il governo iracheno non sarà in grado di provvedere agli stipendi dei dipendenti statali nei primi mesi del 2021, si potrebbe assistere a una nuova fase d’instabilità e proteste. Di fronte al complesso scenario socio-economico nazionale, il 19 gennaio il Consiglio dei ministri iracheno ha posticipato al 10 ottobre 2021 la data prevista per le elezioni parlamentari. La decisione avalla la proposta della Commissione elettorale indipendente irachena (Ihec), la quale aveva richiesto al gabinetto maggiore tempo per adottare le misure logistiche e istituzionali necessarie a garantire elezioni “libere ed eque”.

Infine, sul paese è calata nuovamente l’ombra del terrorismo. Giovedì 21 gennaio, due attentatori hanno lanciato un attacco suicida (prontamente rivendicato da IS) che ha causato la morte di 32 persone e il ferimento di oltre un centinaio di iracheni in piazza al-Tayaran, nel centro di Baghdad.[9] Pur rappresentando solo l’ultimo di una serie di attentati che negli scorsi mesi hanno scosso il recente panorama securitario iracheno, l’esplosione di giovedì è una delle più cruente della storia recente irachena. In risposta alla falla nelle forze di sicurezza, il primo ministro al-Kadhimi ha ordinato la rimozione dal loro incarico di cinque alti funzionari, tra cui il sottosegretario agli Interni con delega all’intelligence, il direttore generale di intelligence e antiterrorismo al ministero dell’Interno e il comandante della polizia federale. In questo contesto di instabilità, la proposta di budget presentata al parlamento dal governo prevede un aumento dei fondi riservati alla sicurezza, compreso quello del ministero della Difesa, del ministero dell’Interno e del Servizio antiterrorismo (Cts).

 

Relazioni esterne

In politica estera, continua la strategia del governo iracheno di sottrarre il paese dalla lunga fase di tensioni che ha contraddistinto le recenti relazioni tra gli Stati Uniti e l’Iran, i suoi due partner internazionali principali. In questo contesto, l’insediamento del neo-eletto presidente Joe Biden rappresenta una nuova incognita per Baghdad. Non è ancora chiaro, infatti, quale approccio adotterà la nuova amministrazione statunitense nei confronti dell’Iraq. Nonostante importanti questioni di politica mediorientale (tra cui l’accordo nucleare iraniano, la stabilità del Golfo e le relazioni israelo-palestinesi) siano già state evidenziate dalla nuova amministrazione, l’Iraq risulta finora visibilmente assente. Con simili premesse, molti osservatori ritengono che il silenzio presidenziale sia dovuto a un progressivo slittamento dell’Iraq a un ruolo di secondo piano nell’agenda politica degli Stati Uniti. Da parte sua, il 46° presidente degli Stati Uniti non è estraneo al paese, avendo supervisionato le operazioni e la diplomazia degli Stati Uniti in Iraq durante i due mandati come vice presidente nell’amministrazione Obama. Il presidente iracheno Barham Salih e il primo ministro al-Kadhimi, che si sono prontamente congratulati con Joe Biden dopo l’annuncio della sua vittoria alla Casa Bianca, rimangono cautamente fiduciosi nei confronti di Washington, auspicando che la nuova amministrazione sviluppi una apposita politica irachena, che non consideri l’Iraq come un’appendice della politica nei confronti dell’Iran e che assicuri relazioni bilaterali solide e maggiore stabilità regionale.

Attualmente, gli interessi statunitensi in Iraq si basano principalmente sulla duplice strategia di contenimento della proiezione iraniana nella regione e sull’assistenza agli sforzi iracheni per liberare il paese dalla minaccia di IS. Su quest’ultimo punto, da tempo Washington ha iniziato un graduale disimpegno dall’Iraq, riducendo il numero di basi e di truppe impiegate. L’ultimo passaggio di questo processo è avvenuto il 15 gennaio, quando il Pentagono ha confermato il ritiro di 500 truppe dal contingente statunitense in Iraq (a oggi pari a 2.500 truppe).[10] Se da un lato il ridimensionamento della presenza statunitense dovrebbe riflettere le maggiori capacità raggiunte dalle forze di sicurezza irachene, dall’altro attacchi come quello di al-Tayaran (avvenuto a un solo giorno di distanza dall’ingresso del nuovo presidente alla Casa Bianca) rappresenta un chiaro monito per la nuova amministrazione sulle dinamiche mutevoli della minaccia terroristica e rimarca più che mai le sfide di sicurezza che l’Iraq è ancora chiamato ad affrontare.

Alla pari degli Stati Uniti, anche l’Iran ricopre un ruolo privilegiato nelle relazioni bilaterali con l’Iraq. In occasione del 40° anniversario dallo scoppio della guerra Iran-Iraq, il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein, ha fatto visita a Teheran, dove ha incontrato il presidente iraniano, Hassan Rouhani, e il suo omologo, Javad Zarif. Durante l’incontro, che fa seguito a quello tenutosi a luglio tra l’Ayatollah Khamenei e il primo ministro al-Kadhimi, si è discusso del rafforzamento dei legami politici ed economici tra i due paesi (dall’espansione commerciale attraverso il fiume Shatt al-Arab al collegamento ferroviario tra Bassora e Khorramshahr), così come del ruolo degli Stati Uniti nella regione. Oltre alle questioni securitarie, i recenti incontri bilaterali tra Iraq e Iran hanno riguardato anche le relazioni economiche ed energetiche. Il 13 gennaio, in occasione del quarto vertice iracheno-iraniano per la cooperazione economica, i due paesi hanno siglato un memorandum d’intesa per la cooperazione in ambito economico. Dal marzo 2020 il volume totale delle esportazioni iraniane verso l’Iraq ha raggiunto i 20 milioni di tonnellate, per un valore totale stimato di 5,9 miliardi di dollari. Un simile livello di scambi rende l’Iraq il secondo maggior partner commerciale di Teheran (dopo la Cina).[11] Più problematico invece è il tema dell’energia. L’Iran ha recentemente ridotto le proprie esportazioni energetiche verso l’Iraq, a causa dell’incapacità di quest’ultimo di provvedere ai costi per l’acquisto di elettricità e gas naturale. A fine dicembre le esportazioni di gas verso il vicino iracheno sono state infatti ridotte da 50 milioni di metri cubi a soli cinque, minacciando ulteriori tagli nel caso di mancato pagamento.[12] A oggi, l’Iraq non ha ancora raggiunto l’autosufficienza dal punto di vista di produzione energetica e necessita dell’importazione di gas iraniano per generare elettricità e, in certi periodi dell’anno, anche di parte della fornitura elettrica iraniana (esportazione concessa da Washington verso Baghdad attraverso deroghe periodiche al regime di sanzioni verso l’Iran).

Washington ha, in tempi recenti, garantito all’Iraq sostanziali accordi nel settore energetico e finanziario nel tentativo d’incrementare la produzione interna irachena di elettricità e gas e di ottimizzare l’inserimento dell’Iraq nel mercato energetico regionale. In particolare, nel corso della visita del premier al-Kadhimi a Washington, il presidente Trump aveva sollecitato il governo iracheno a procedere con il collegamento della rete elettrica con l’Arabia Saudita e il Kuwait per ridurre la dipendenza di Baghdad dall’energia iraniana. Un primo passo per l’amministrazione Biden in tal senso potrebbe concentrarsi principalmente nel favorire un piano di supporto infrastrutturale per la costruzione di nuove utenze elettriche irachene o, in alternativa, appoggiare gli sforzi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) per portare elettricità all’Iraq. In tal senso, a dicembre Baghdad e Riyadh hanno firmato un accordo secondo il quale l’Iraq acquisterà 400 megawatt da una rete elettrica passante attraverso l’Arabia Saudita. Questa soluzione integra l’accordo (siglato nel 2019) per la costruzione di una linea di trasmissione per l’importazione di 500 megawatt dal Golfo attraverso il Kuwait, in seguito sospesa a causa della necessità della dilazione dei tempi necessari alla costruzione a causa della pandemia.[13] Nonostante i lunghi tempi previsti per la realizzazione del progetto, è indubbio come la creazione di un network infrastrutturale per lo scambio energetico rappresenti un ulteriore traguardo per il tentativo iracheno di rafforzare la propria integrazione al livello regionale con i propri vicini arabi. A fine novembre, Iraq e Arabia Saudita hanno riaperto il passaggio transfrontaliero di Arar (chiuso dai tempi dell’invasione irachena del Kuwait) con l’obiettivo di rafforzare gli scambi commerciali tra i due paesi.

In linea con la politica di ridefinizione delle relazioni regionali dell’Iraq, il 17 dicembre il premier al-Khadimi si è recato in visita in Turchia, dove ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. In occasione dell’incontro, i due leader hanno discusso l’allargamento della cooperazione commerciale ed economica tra Baghdad e Ankara, la liberalizzazione dei visti fra i due paesi, e la collaborazione nel contrasto al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica e causa di recenti tensioni bilaterali dovute ai frequenti sconfinamenti dell’esercito turco nell’Iraq settentrionale. Parallelamente, è stata discussa la questione idrica, e le due parti hanno raggiunto un’intesa sul raggiungimento di un comune piano d’azione relativo alla gestione delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate.[14]

Non da ultimo, continua il processo di avvicinamento all’Iraq della Cina, come dimostra l’accordo recentemente firmato dalla Somo con la compagnia petrolifera cinese ZenHua Oil. Il contratto, approvato dal governo iracheno, prevede una fornitura quinquennale all’azienda cinese di circa 130.000 barili giornalieri di greggio iracheno, a fronte del pagamento anticipato (il primo di questo genere per Baghdad) di un anno di fornitura, per un valore totale stimato di 2 miliardi di dollari.[15] Infine, degna di nota è stata la dichiarazione del Vaticano che, a dicembre, ha annunciato la volontà di Papa Francesco di visitare l’Iraq il 5-8 marzo 2021. Il Papa ha infatti dichiarato di essere pronto a rompere una pausa di 15 mesi dai viaggi internazionali partendo proprio dalla Repubblica dell’Iraq.[16]

 

[1] Our World in Data, “Iraq: Coronavirus Pandemic Country Profile”, dati aggiornati al 29 gennaio 2021.

[2] “Iraqis Flout Virus Precautions Amid Belief in Immunity: ‘I Live the Lifestyle of 2019”, The New York Times, 20 gennaio 2021.

[3] International Monetary Fund, “Imf Staff Completes 2020 Article IV Mission with Iraq”, 12 dicembre 2020.

[4] S. Zidane, “Iraq’s reform budget heads to parliament”, Foreign Policy, 27 gennaio 2021.

[5] F. Alaaldin e K.M. Pollack, “Iraq’s economic collapse could be Biden’s first foreign-policy headache”, Foreign Policy, 14 dicembre 2020.

[6] “Preliminary oil export figures for August”, iraq-business news, 3 settembre 2020.

[7] “Iraq’s central bank devalues dinar by 22%”, Republicworld.com, 20 dicembre 2020.

[8]Cash-strapped Iraq in talks with IMF on $6 billion loan package, Bloomberg, 24 gennaio 2021.

[9] “Deadly twin suicide attack hits central Baghdad”, Al Jazeera, 21 gennaio 2021.

[10] US Department of Defense, “Acting Secretary Miller Announcement on Afghanistan and Iraq troop levels”, 17 novembre 2020.

[11] “Iran’s exports to Iraq rise seven percent”, The Islamic Republic News Agency, 11 gennaio 2021.

[12] “Iran cuts gas flows to Iraq, threatens further reductions”, Bloomberg, 27 dicembre 2020.

[13] A. Kadhim, Iraq’s energy security strategy: a path to diversity and energy independence, Atlantic Council, dicembre 2020.

[14] “Erdogan e Al-Kadhimi affermano la loro volontà di rafforzare le relazioni turco-irachene”, (Originale Arabo), Asharw Al-Awasat, 18 dicembre 2020.

[15] “Iraq Signs $2b Oil Prepayment Deal with China’s Zenhua Oil”, Worldoil, 3 gennaio 2021.

[16] “Pope Francis to Visit Iraq, First Apostolic Journey in 15 Months”, Vatican News, 7 dicembre 2020.

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