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Commentary

ISI: il “governo ombra” del Pakistan

10 maggio 2013

Non sono soltanto i partiti politici a battersi per quella che l’ex-presidente Pervez Musharraf aveva definito «la madre di tutte le elezioni». La competizione elettorale che segna il passaggio da un governo democratico all’altro vede in campo difatti molti più giocatori di quanti non ne segnalino le liste elettorali. Giocatori più o meno occulti, impegnati a manovrare i risultati di una competizione che, secondo la maggioranza dei cittadini pakistani, sarà la più truccata della travagliata storia nazionale. 

Anzitutto, secondo una macabra battuta che circola in Pakistan, a guidare la Commissione elettorale sarebbe di fatto Hakimullah Mehsud, capo del Tehrik-i-Taliban-i-Pakistan (TTP): i Taliban pakistani stanno di fatto conducendo a suon di bombe una campagna elettorale volta a impedire il voto e la partecipazione alle elezioni di tutti i partiti laici. Mentre però Hakimullah e i suoi giocano allo scoperto, rivendicando ogni singolo attentato, ci sono altri che preferiscono rimanere nell’ombra e agire in silenzio. 

Da quando la campagna elettorale è ufficialmente cominciata, un assordante coltre di silenzio è difatti calata su un’organizzazione che nell’ultimo anno si era fatta notare per il numero di comizi e le folle più o meno oceaniche smosse ogni volta: il Difa-i-Pakistan. Il Concilio per la difesa del Pakistan è un “gruppo di pressione” che riunisce sotto la sua sigla una quarantina tra partiti islamici, gruppi terroristici veri e propri e organizzazioni integraliste, è stato fondato dall’ex-capo dell’Inter-Service Intelligence (ISI): il famoso (o famigerato, dipende dai punti di vista) generale Hamid Gul, che guida l’organizzazione assieme al padre fondatore della Lashkar-i-Toiba Mohammed Hafeez Saeed. L’ISI, spesso definita un vero e proprio “stato dentro lo stato”, è stata fondata nel 1948 per coordinare le funzioni d’intelligence dell’esercito, della marina e dell’aereonautica. È il più potente e il più noto dei tre servizi d’intelligence pakistani, che comprendono anche la Federal Investigation Agency (FIA) e il MI, l’intelligence militare sotto il comando dell’attuale capo dell’esercito, il generale Kayani. 

Per legge l’ISI dovrebbe rispondere al ministro degli Interni, ma di fatto risponde al capo dell'esercito: che, per antica consuetudine, tiene i politici all’oscuro delle strategie e delle azioni dei servizi segreti. Dei rapporti tra ISI e organizzazioni terroristiche varie, dalla suddetta Lashkar-i-Toiba ai Taliban, sono piene le cronache e i rapporti stilati da think-tank e organizzazioni governative e non. Rapporti in cui è scritto nero su bianco che l’ISI, direttamente o indirettamente, «sostiene i terroristi e gli estremisti, a Londra come in Afghanistan e in Iraq». In molti casi si è suggerito addirittura lo scioglimento di quello che da più parti viene definito «il vero governo del Pakistan»: responsabile di omicidi politici, traffico di droga, di armi e di componenti nucleari. La divisione politica dell’ISI è responsabile inoltre, almeno dagli anni Novanta in poi, di aver pesantemente influenzato, con un misto di intimidazioni e lusinghe, i risultati di ogni competizione elettorale. Lo scandalo del Mehrangate, divampato nei mesi scorsi, ha rivelato all’opinione pubblica nomi e cifre pagate dall’ISI per assicurarsi al potere uomini politici da poter manovrare. Diciotto di questi, per inciso, sono attualmente candidati alle elezioni. Elezioni che il generale Kayani si affanna ufficialmente a far apparire trasparenti e democratiche, per quanto è possibile in Pakistan, chiamando l’esercito, sempre ufficialmente, fuori dalla competizione elettorale. 

 E però. Per tornare al Difa-i-Pakistan, creato e sostenuto dai servizi segreti e, in particolare, da quella divisione autonoma e non-ufficiale creata dall’ex-capo dell’ISI, il generale Shuja Pasha – che si occupa di “consigliare” giornalisti troppo intraprendenti –, non è un segreto per nessuno che il gruppo di pressione guidato da Gul e Saeed ha sostenuto apertamente per mesi “il nuovo che avanza” Imran Khan. L’ex-giocatore di cricket protagonista delle cronache rosa e politico di nicchia da moltissimi anni, flirta ormai apertamente con gli integralisti islamici. La sua agenda politica: fine della guerra al terrorismo, abbattimento dei droni americani e rigetto delle minoranze religiose, coincide punto per punto con quella dell’ISI e dell’esercito. Il Pakistan Tehrik-i-Insaf (PTI), il partito di Imran, e la Pakistan Muslim League - Nawaz (PML - N) sono i partiti favoriti alle elezioni, e gli unici a non essere stati vittima di attacchi da parte del Tehrik-i-Taliban. 

Sulla carta Sharif dovrebbe risultare vincente. Sia l’esercito che l’ISI detestano però il buon Nawaz, che verrebbe invece visto di buon occhio sia dagli Usa che dai sauditi per la sua dichiarata intenzione di favorire i colloqui di pace con i Taliban afghani. E da qualche giorno Sharif ha inspiegabilmente cominciato a fare dichiarazioni potenzialmente suicide: intende cacciare Kayani e mettere l’ISI sotto inchiesta per l’attacco a Mumbai del 2008 guadagnandosi una serie di articoli sdegnati (e manovrati) per cui sarebbe il candidato favorito dell’India. Sembra una manovra orchestrata per favorire Imran Khan, che nonostante il sostegno popolare non dovrebbe ottenere seggi sufficienti per formare un governo. Orchestrata con la collaborazione dello stesso Nawaz che, dalle carte del Mehrangate, avrebbe già ottenuto negli anni Novanta qualche milione di rupie dall’ISI. Non resta che guardare e aspettare. Come ha dichiarato di recente un famoso analista pakistano: «C'è un ISI dentro l’ISI ancora più potente e capace di orchestrare ancora molti eventi nel paese».

* Francesca Marino, giornalista freelance
 
vai al Dossier Pakistan: molte ambiguità nell'urna

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