Falchi o colombe?
A partire dal mese prossimo la politica monetaria europea sarà stravolta. Questo è quanto è stato oggi deciso alla riunione del consiglio direttivo della BCE. Dal primo luglio verrà infatti interrotto il Quantitative easing (20 miliardi di euro di acquisto di titoli ancora questo mese) che durava da otto anni. E alla prossima riunione ci sarà il primo rialzo (contenuto, da 25 punti base) dei tassi di interesse dopo 11 anni.
Un annuncio che era dato per scontato di fronte a un’inflazione quattro volte il target del 2% e doppia rispetto al precedente record. Tanto più che la FED si era già mossa da mesi in questa direzione. Quello che si attendeva era invece un'indicazione sull’entità dei futuri rialzi. Che non c’è stata.
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A Francoforte non c’è consenso sul ritmo di questa stretta monetaria. Un aumento dei tassi più “aggressivo”, da 50 punti base a settembre non è escluso “se le prospettive di inflazione dovessero peggiorare”. Potrebbe però far precipitare l’economia europea in recessione. O scatenare il panico del mercato obbligazionario nei paesi mediterranei.
Lo spread tra Btp-Bund sebbene sia salito leggermente fino ai massimi dall’inizio della pandemia, rimane lontano dai livelli di guardia della crisi dell’euro: 220 punti vs i 574 di allora. E l’austerity ha lasciato spazio ai 750 miliardi di euro del Recovery Fund. Ma comunque la BCE, a differenza della FED, non ha annunciato la riduzione del suo bilancio, così da poter contare su una maggior flessibilità come “scudo” contro l'aumento degli spread.
Mal comune…
La BCE si dice fiduciosa che la sua stretta non penalizzerà la crescita. I dati su esportazioni, produzione industriale e disoccupazione (ai minimi dal 1999), restano positivi suggerendo un rallentamento piuttosto che una recessione. Ma di mese in mese si riducono le prospettive di crescita annua: -0,9 punti percentuali rispetto alle previsioni di marzo.
L’Eurozona è però in buona compagnia. Ieri l’OCSE ha ridotto di 1,5 punti percentuali le precedenti previsioni di crescita globale. Così come già fatto dalla Banca Mondiale che lancia l’allarme stagflazione. Causata negli anni ’70 da due principali ingredienti: la crisi delle supply chains che alimentò l'inflazione, e la fine di una politica monetaria altamente accomodante in una fase di prospettive di crescita deboli.
Suonano familiari?