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Il mondo in tasca

Capitol Hill: ferita sempre aperta

10 giugno 2022

Il golpe e l’uva 

Trump sapeva di aver perso le elezioni ma orchestrò un piano per restare al potere. Questa la tesi sostenuta ieri nella prima di sei audizioni pubbliche della commissione che indaga sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Secondo le ricostruzioni presentate, Trump avrebbe ignorato le prove (fornite pure dai suoi più stretti collaboratori) che confutavano le sue affermazioni di frode elettorale e fatto pressioni su funzionari statali affinché annullassero i risultati delle elezioni.  

Infine, avrebbe incoraggiato l'assalto violento al Campidoglio ed è stato descritto come accondiscendente all’ipotesi di una esecuzione del suo stesso vicepresidente. Accuse pesanti da parte di una commissione parlamentare quindi senza valore giuridico. E forse con scarso peso politico, nonostante l’udienza sia stata trasmessa in diretta televisiva. Come per il Watergate mezzo secolo fa... 

 

The Donald(s) 

Trump non fa marcia indietro e ieri ha ribadito sulla sua piattaforma social “Truth” che "quello del 6 gennaio è stato il più grande movimento della storia americana”. La linea ufficiale del Partito Repubblicano non si discosta molto: l’inchiesta sarebbe un tentativo di diffamazione di parte (la commissione è composta da sette democratici e due repubblicani anti-Trump). 

Non sorprende. La maggioranza degli elettori repubblicani concorda sul fatto che le elezioni presidenziali del 2020 siano state falsate. Il sostegno per The Donald resta quindi forte tra l’elettorato Rep, con una preferenza superiore al 70%. Così come è forte la sua presa sul partito: il 64% dei vincitori alle ultime primarie hanno avuto il suo endorsement. E anche i repubblicani con aspirazioni presidenziali lo prendono a modello. 

 

Stop the count 

Nonostante il clamore mediatico dell’inchiesta, i repubblicani rimangono in testa nelle intenzioni di voto per le elezioni di midterm di novembre. Tutto sembra suggerire una loro vittoria. Biden cerca di far pesare i dati positivi sulla disoccupazione (al 3,6%). Ma, di fronte a un’economia che minaccia di finire in recessione, fatica a far breccia nell’elettorato. 

Prova a scaricare su Putin la colpa degli aumenti dei prezzi, ma il 68% degli americani non approva comunque le sue politiche per combattere l’inflazione. E i repubblicani sottolineano come le due invasioni russe in Ucraina siano entrambe avvenute con un democratico alla presidenza. Così la popolarità di “Joe” (40%) risulta la più bassa dai tempi di Ford.   

Forse Trump alla Casa Bianca nel 2024 non è poi un’ipotesi così remota.

 

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