We want your oil
“I produttori di petrolio dovrebbero estrarne di più”. Questa la richiesta di Biden nei giorni della COP26: un paradosso con precise motivazioni politiche. Il prezzo del greggio negli USA è ai massimi da sette anni, e si è tradotto in una impennata nei costi di benzina e bollette.
Non il massimo per la popolarità di un Biden già in forte calo nei sondaggi che si è quindi rivolto all’OPEC. Ma nel vertice di oggi, il cartello dei principali paesi esportatori di greggio, nonostante le pressioni americane, ha confermato l’incremento mensile di “soli” 400mila barili al giorno stabilito a luglio che verosimilmente terrà il petrolio attorno a quota 80 dollari per i prossimi mesi. E così gli USA potrebbero dover ricorrere a soluzioni tutt’altro che environmentally friendly.
Assenti illustri
Per aumentare l’offerta globale di petrolio, Washington sarebbe infatti pronta a mettere in vendita le proprie riserve strategiche. Una mossa non convenzionale, tipicamente riservata a casi di disastri naturali o guerre, che stona rispetto all’obiettivo di ergersi a modello globale della lotta al cambiamento climatico.
Ma i segnali della ambiguità americana arrivano anche dalla COP di Glasgow. Più di 40 paesi hanno concordato di non utilizzare più il carbone per la produzione di energia elettrica nei prossimi 20 anni. Ma tra le firme mancanti oltre ai prevedibili nomi dei principali paesi produttori e consumatori di carbone (Cina, India, Australia) troviamo anche gli Stati Uniti.
Una questione privata
Eppure, a Glasgow qualcosa si muove. Il 90% dei paesi partecipanti ha ora adottato un obiettivo di zero emissioni, contro il 30% di pochi mesi fa. E gli impegni del mondo della finanza fanno ben sperare: 450 gruppi di 45 paesi si sono uniti nella Glasgow Financial Alliance for Net Zero che finanzierà con 130 trilioni di dollari la transizione ecologica mondiale nei prossimi tre decenni.
Le fondazioni di beneficenza dei Rockefeller, di Bezos e di Ikea hanno poi promesso di riempire il buco lasciato dai governi G20 nel fornire i 100 miliardi di aiuti promessi ai paesi meno sviluppati. Di fronte agli stalli della politica, saranno i privati a dover guidare la transizione energetica?