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Il mondo in tasca

Davos: il canto del cigno della globalizzazione?

23 maggio 2022

“We share the same biology, regardless of ideology”

Si è aperto oggi a Davos il World Economic Forum. 50 tra capi di stato e di governo, 250 ministri e più di 2000 imprenditori delle più importanti aziende del mondo tornano a incontrarsi di persona nella cittadina svizzera, a due anni dall’ultima volta. Tra questi non ci sarà nessun esponente russo. Non era mai accaduto dal crollo dell’Unione Sovietica: persino nel 2015, dopo l’annessione della Crimea, Putin era tra gli invitati.

Insomma, neanche Davos, che si autodefinisce il luogo dello scambio di idee aperto a tutti, è immune agli avvenimenti in Ucraina. E si trova pure a dover difendere uno dei suoi principi cardine: l’importanza della globalizzazione.

 

With a little help from my friends

La pandemia prima e la guerra ora hanno provocato un'ondata di politiche isolazioniste e protezioniste. Cina e Giappone sono di fatto chiusi da due anni ai turisti. Dall'inizio del conflitto circa 30 Paesi hanno introdotto restrizioni sul commercio, indebolendo ulteriormente le già fragili catene di approvvigionamento globale.

Ecco perché più di un governo cerca di accorciare le proprie filiere produttive e rilocalizzare investimenti in Paesi considerati alleati, o almeno leali. Il recente incontro del Trade and Technology Council tra USA e UE può essere letto in questo senso. Come un esempio di quel “friendshoring” che va tanto di moda anche nel settore privato: dal 2005 non era mai stato menzionato così tante volte come oggi nelle conferenze con gli investitori.

 

Cronaca di una morte annunciata?

Almeno a guardare i dati sul commercio internazionale la globalizzazione non sembra però essere in così cattiva salute. Valore e volume degli scambi globali sono rispettivamente più alti del 13% e 5% rispetto ai livelli pre-pandemia. Per quanto tutti vogliano il friendshoring, in pochi possono permetterselo.

C’è innanzitutto un limite in termini di dotazioni di risorse naturali: l’Ue dipende dall’estero per la fornitura di 390 beni. E non è facile trovare fornitori amici per alcuni di questi, come il palladio, se metà della produzione mondiale avviene in Russia. I costi per rendersi indipendenti sono poi notevoli, come dimostrano i 50 miliardi di dollari dei piani di USA e UE per sviluppare l’industria dei semiconduttori. Non il massimo per contenere l’inflazione.

Si può realmente fermare la globalizzazione?

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