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Il mondo in tasca

Economia mondiale: boccata di ossigeno

01 Dicembre 2022

Alte aspettative

10%. Questo il livello dell’inflazione dell’Eurozona a novembre. In discesa rispetto al +10,6% di ottobre, ma soprattutto più bassa rispetto a quanto ci si attendeva (+10,4%): una novità dopo mesi di previsioni costantemente sottostimate. A contribuire a questa frenata è soprattutto il calo dei prezzi del gas, che ha più che controbilanciato il leggero aumento dell’inflazione alimentare.

Di fronte a questi numeri positivi, dal consiglio direttivo della BCE del 15 dicembre ci si aspetta ora un aumento dei tassi più contenuto rispetto a quelli passati (50 invece che 75 punti base). Anche perché proprio ieri, sull’altra sponda dell’Atlantico, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha annunciato che rallenterà il ritmo dei rialzi dei tassi. Un messaggio che ha fatto esultare Wall Street (S&P500 ha guadagnato il 3% in un solo giorno). Ma non solo.

Per qualche dollaro in più

I segnali di allentamento della politica monetaria americana vanno a indebolire il dollaro, ora in forte discesa dopo aver toccato i massimi degli ultimi 20 anni. Nel mese di novembre ha perso il 5% rispetto alle altre principali valute: il maggior calo mensile dal settembre 2010. Certo rimane su valori del 10% superiori a quelli di inizio anno, ma questa discesa allevia la pressione sui mercati emergenti.

Un dollaro forte rende infatti più costoso per le economie più fragili servire i propri debiti espressi in questa valuta (vedi lo Sri Lanka). E incentiva i disinvestimenti dai loro fondi obbligazionari. Dai quali nell’ultimo anno sono fuoriusciti ben 85 miliardi di dollari (il record di sempre). Un deflusso interrottosi nelle ultime settimane, proprio in virtù del calo del dollaro. Buone notizie per questi mercati arrivano però anche dalla Cina.

Plot twist

A sostenere il rally di azioni e obbligazioni nei mercati emergenti ha contribuito anche la prospettiva di un allentamento della politica “zero Covid” in Cina. Che pesa come un macigno sull’economia cinese (e quindi mondiale): il 65% della produzione industriale cinese risulta rallentata da quarantene e restrizioni.

Ieri, di fronte a proteste che non accennano a fermarsi, il funzionario responsabile della strategia cinese contro il coronavirus ha però dichiarato che la lotta alla pandemia entra "in una nuova fase" considerando la minor pericolosità della variante Omicron. In alcune zone di Guangzhou, nonostante il numero record di casi, il lockdown sarebbe stato allentato. E si segnalano distretti di Pechino dove è stato autorizzato ai positivi l'isolamento domiciliare piuttosto che la quarantena centralizzata.

Una “quarantena” in meno anche per l’economia mondiale?

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