Giro di boa
Rialzo dei tassi di interesse di 75 punti base (p.b.). È quanto annunciato oggi dalla Banca centrale europea, che per la seconda volta in due mesi agisce al rialzo, accelerando rispetto alla traiettoria prevista solo qualche mese fa.
E così anche questa volta Francoforte non delude i mercati: con l’inflazione in Eurozona in agosto al 9,1%, e quella “core” al +4,3% (il doppio rispetto all’obiettivo della Bce), l’aumento era decisamente nell’aria. Non solo, considerando la liquidità che inonda i mercati da quasi un decennio, la scelta di Lagarde lancia un segnale chiaro: è finito il quantitative easing, è tempo di prosciugare i mercati.
Eppure, la decisione resta dibattuta.
Tra due fuochi
Con l’aumento dei tassi d’interesse, sale anche il costo sopportato dagli stati per rifinanziare il debito pubblico. E una mossa troppo aggressiva rischia di aumentare eccessivamente il costo del credito in Paesi altamente indebitati, come l'Italia (debito pubblico al 153% del Pil). Un'ulteriore stangata alle economiche più fragili in un periodo tutt’altro che semplice.
Per converso, una mossa più contenuta indebolirebbe l'euro, dati i rialzi dei tassi di interesse statunitensi degli ultimi mesi (+125 p.b. da marzo, e altri 75 previsti per settembre). Un tasso di cambio più basso aumenterebbe il costo dell'energia denominata in dollari, alimentando ulteriormente l'inflazione “importata”. Non una grande prospettiva per economie già in affanno.
Fantasmi del passato
E non si parla solo di economie europee. La crisi energetica ha forti ripercussioni anche al di fuori del nostro continente: se la Russia toglie il gas all’Europa, l’Europa lo “ruba” al resto del mondo, spingendo verso la crisi paesi come Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh. Intanto persino l’economia cinese, per cause molto diverse, rallenta.
Così lo spettro di una recessione globale non sembra così distante. Quella recessione globale che, nel 2008-2009, fu solo il prologo per la crisi del debito europea. Certo, stavolta la BCE è più pronta a intervenire e si è dotata di nuovi strumenti, come lo scudo antiframmentazione che mira a evitare che gli stimoli monetari vengano percepiti in maniera disomogenea nei vari Paesi.
Viene però da chiedersi: se la crisi non dovesse toccare paesi periferici, ma l’Italia, lo scudo basterà?