Gioco al rialzo
Ieri la Federal Reserve americana ha deciso di alzare i tassi di interesse di mezzo punto percentuale. Un aumento di tale entità da parte della banca centrale americana non si vedeva dal 2000. Così come era dal 2006 che i tassi non venivano aumentati per due volte consecutive (a marzo era già stato deciso un +0,25%).
Misure straordinarie per tempi straordinari: l’inflazione è volata a marzo all'8,5%, picco degli ultimi 40 anni. E rischia di non fermarsi causa guerra in Ucraina e lockdown cinesi. Come dichiarato dallo stesso presidente della Fed, Jerome Powell è quindi “essenziale abbassarla, agendo in fretta”. Ecco perché ulteriori rialzi di mezzo punto saranno sul tavolo dei due prossimi direttivi a metà giugno e a fine luglio. Ma non è tutto.
Quantitative tightening
La Fed ha anche annunciato l'avvio della riduzione del suo bilancio a partire dal primo giugno. Con i programmi di acquisto titoli che sono stati necessari per resistere alla pandemia, i conti della banca sono passati da 4.000 a 9.000 miliardi di dollari. Una liquidità equivalente a quasi metà del PIL americano, considerata eccessiva nell’attuale contesto economico.
Via libera quindi a tagli, molto più rilevanti e immediati rispetto a quelli post crisi finanziaria del 2008: 47,5 miliardi di dollari al mese, per i prossimi tre mesi, e di 95 miliardi da settembre. Insomma, la Fed è decisa a portare avanti una politica monetaria restrittiva con tutti gli strumenti che ha a disposizione. E neanche l’andamento negativo di Wall Street (-12% per lo S&P 500 da inizio anno) sembra poterle far cambiare idea.
Tempismo perfetto?
Alzando i tassi per contenere i prezzi, la Fed sta scommettendo che la crescita americana sia abbastanza solida da sopportare condizioni monetarie più sfavorevoli senza cadere in recessione. Una scommessa dall’esito non scontato: il PIL americano nel primo trimestre si è ridotto dell’1,4%.
Da una parte quindi il rischio di azzerare il già indebolito rimbalzo post-pandemia, dall'altra quello di trovarsi a breve con un’inflazione troppo alta per essere domata. Per poi essere magari costretti ad alzare i tassi in una fase economica persino più difficile, causa guerra e sanzioni. La BCE sembra preferire l’attesa, malgrado un'inflazione nell’Eurozona non tanto più bassa (7,5% ad aprile). Per questo resta vaga sulla possibilità di un aumento dei suoi tassi a luglio.
Chi avrà ragione?