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Lunedì il renminbi cinese ha toccato il minimo da quasi due anni: una svalutazione maggiore e più rapida delle due crisi precedenti (2015 e 2018). Un crollo certo non inatteso. I rigidi lockdown continuano a ostacolare la produzione nelle maggiori città cinesi, così come le attività nel porto di Shanghai, il principale snodo commerciale del mondo.
Una svalutazione del renminbi era nell’aria, tanto che Xi Jinping aveva provato a giocare d’anticipo, annunciando una raffica di stimoli fiscali e monetari. E mentre la Cina fa i conti con i limiti di un modello economico basato su investimenti continui, anche per molte altre economie emergenti le prospettive si fanno fosche.
Nell’occhio del ciclone
La moneta cinese non è l’unica delle “grandi” a soffrire: anche la Banca centrale indiana ha aumentato i tassi di interesse per la prima volta dal 2018. E molti altri emergenti sono in difficoltà. Ad aprile, l’UNCTAD stimava che 107 Paesi del mondo (più della metà) rischiano di attraversare almeno una di tre crisi: maggiori prezzi del cibo, maggiori prezzi energetici o condizioni finanziarie restrittive. Per 69 di questi, c’è alta probabilità che le tre crisi si presentino insieme.
E certo, la forte crescita dei prezzi delle materie prime (petrolio, ma anche grano) giova ad alcuni paesi esportatori. Ma nella maggior parte dei casi sostiene l’inflazione e amplia i deficit con l’estero. Un mix tossico per economie uscite già martoriate dalla pandemia.
Falchi di nuovo in volo
Intanto l’inflazione preoccupa anche in Occidente. Proprio oggi è arrivata la conferma che la crescita dei prezzi Usa ad aprile resta ai massimi da 40 anni (+8,3% in dodici mesi). Per questo i mercati si aspettano una delle strette monetarie più forti e rapide della storia americana.
Conseguenza? La fuga di capitali dagli emergenti, a cui dunque viene a mancare anche il sostegno degli investitori stranieri. Così lo Sri Lanka è solo la prima tessera del domino a cadere: pagamento dei debiti esteri sospeso e dimissioni del Primo ministro questo lunedì. Intanto il FMI apre negoziati di salvataggio con Egitto e Tunisia, grandi importatori di grano ucraino e russo, e con il Pakistan. E l’Argentina riceve 45 miliardi per evitare l’ennesimo default.
Mentre gli occhi dell’Occidente restano puntati su Kiev, ci stiamo avvicinando all’orlo di un altro precipizio?