Le proteste per la carenza d’acqua, partite dalla provincia del Khuzestan, approdano a Teheran. E il malcontento per la mancanza d’acqua e di energia si trasforma in protesta politica.
In Iran dopo le proteste per il pane, arrivano quelle per l’acqua. Mentre dalla Cina all’Europa si combatte contro alluvioni ed eventi estremi, nella Repubblica islamica il cambiamento climatico porta in dote la peggiore siccità degli ultimi 50 anni e la rete idroelettrica nazionale sta cedendo a causa della mancanza prolungata di piogge, aggravata da decenni di incuria e mancati investimenti. Una situazione drammatica soprattutto nella parte occidentale del paese, spazzata dai venti desertici provenienti dal vicino Iraq che hanno reso aride pianure un tempo fertili. Non è un caso dunque che le proteste siano cominciate proprio nel Khuzestan, una provincia occidentale dove migliaia di dimostranti sono scesi in strada, scandendo slogan contro le autorità, e scontrandosi con le forze dell’ordine. Il bilancio ufficiale, al momento, riferisce di otto morti. Ma la brutalità con cui la polizia ha represso i manifestanti ha allarmato la comunità internazionale e le Nazioni Unite. Se le autorità hanno accusato “criminali e nemici del sistema” per le violenze, sia la guida suprema Ali Khamenei che il presidente uscente Hassan Rouhani hanno sostenuto il diritto dei manifestanti a protestare. I disordini arrivano a un mese dall’insediamento del presidente eletto Ebrahim Raisi, un conservatore noto anche per il ruolo svolto nelle esecuzioni di massa mentre era a capo della magistratura iraniana negli anni ‘80.
Cattiva gestione delle risorse idriche?
Le autorità iraniane attribuiscono la crisi idrica alla siccità, osservando che le precipitazioni nella regione sono diminuite di quasi il 50% nell'ultimo anno. Ma i cittadini del Khuzestan, una provincia che custodisce l’80% delle riserve petrolifere del paese e che ospita un’ampia minoranza della popolazione araba iraniana, lamentano motivi politici dietro l’abbandono e il mancato sviluppo dell’area. Sui social media circolano hashtag in farsi, arabo e inglese come #KhuzestanIsThirsty e #KhuzestanHasNoWater per attirare l’attenzione verso la crisi e le proteste. Ma secondo gli esperti ambientali la carenza d'acqua è anche conseguenza di un’errata pianificazione agricola: nel corso degli ultimi decenni, per far fronte alle sanzioni e alle pressioni dall’estero, le autorità iraniane hanno spinto il paese verso un’economia di resistenza e l’autosufficienza alimentare, promuovendo l’agricoltura e incentivando lo scavo di pozzi profondi, che hanno esaurito le risorse idriche disponibili. Oggi circa il 90% del consumo idrico dell’Iran è impiegato per l’agricoltura. Inoltre, secondo i dati ufficiali, nel paese oggi sorgono 192 dighe, circa 10 volte quelle presenti 40 anni fa. “Le critiche a questa politica infrastrutturale non sono ben accette e vengono ignorate” osserva Nick Kowsar. esperto di energia e studioso della pianificazione idrica iraniana “Come, ad esempio, quando fai notare che non dovresti, in linea di principio, costruire grandi dighe in un paese arido come l'Iran, perché troppa acqua evapora dai serbatoi”.
Il Medio Oriente ha sete e caldo?
Se non bastasse la mancanza d’acqua, ad aggravare la situazione ci sono anche le continue interruzioni di corrente. Un fenomeno comune in molti paesi del Medio Oriente, interessati quest’anno da ondate di caldo record che in diversi paesi hanno superato i 50 gradi celsius. Dal Libano all’Iraq, e della Siria all’Iran, i continui blackout hanno portato gli ospedali a al collasso, lasciato al buio le strade di intere città e creato disagi enormi a decine di migliaia di piccole attività produttive. Chi può permetterselo ricorre ai generatori, che però contribuiscono ad aumentare i livelli di inquinamento delle città, mentre i ricercatori affermano che la carenza di energia nella regione è esacerbata dalla corruzione dilagante. “Il settore energetico è preda di voraci appetiti” spiega Jessica Obeid, del Middle East Institute. “Ci sono così tanti posti lungo la catena di approvvigionamento energetico, che le responsabilità si perdono e i cittadini non possono individuare dove”. E nonostante i disservizi e le continue interruzioni, la maggior parte dei governi della regione continua a sostenere le società di distribuzione, alimentando reti clientelari difficili da estirpare.
Dall’energia alla politica?
Se le ragioni dello spreco, energetico e idrico, vano ricercate nella politica, ecco spiegato perché dal Khuzestan le proteste si sono via via allargate ad altre aree del paese fino a raggiungere Teheran. Nella capitale i manifestanti scesi ieri in piazza hanno scandito slogan perfino contro la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Non proprio un inizio incoraggiante per il prossimo presidente Ebrahim Raisi, esponente dell’ala conservatrice e vicino a Khamenei, che dal 5 agosto in poi sarà chiamato a confrontarsi anche con la crisi sanitaria e quella economica. È uno dei momenti più delicati per la Repubblica Islamica: il 70% della popolazione iraniana ha meno di 40 anni, non ha ricordi della Rivoluzione del 1979 e chiede nuovi diritti e nuove libertà. “Se vuole sopravvivere, il paese deve cambiare il suo modello di sviluppo, deve investire nel settore industriale e dei servizi e diminuire la pressione sull’ambiente” osserva Kaveh Madani, ex vice capo del Dipartimento dell'Ambiente iraniano: “questo significa diversificare l'economia e fare grandi riforme nel settore agricolo. Ma si tratta di interventi molto dolorosi che non puoi fare in sistemi deboli, in cui il malcontento è diffuso o in cui le persone hanno perso fiducia nelle istituzioni”.
Il commento
Di Pejman Abdolmohammadi, ISPI Associate Research Fellow e Università di Trento
“Seppur innescate da eventi diversi, le proteste in Iran si presentano con cadenza ciclica e affondano le loro radici nelle medesime cause: forti diseguaglianze sociali, mancanza di servizi e libertà di espressione, stagnazione economica e assenza di prospettive. Oggi a fare da detonatore sono la crisi sanitaria, unita a quella idrica ed energetica. A moltiplicare il malcontento, però, c’è la percezione di un sistema politico-economico caratterizzato da una corruzione dilagante, preoccupato a garantire la propria sopravvivenza ma poco incline a rispondere alle esigenze dei cittadini. Per questo penso che il malcontento possa continuare a diffondersi in tutto il paese le proteste non si limiteranno al Khuzestan e il malcontento già serpeggia in tutto il paese”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)