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L'elezione di Raisi

Iran: vittoria annunciata

21 giugno 2021

Come previsto Ebrahim Raisi è il nuovo presidente dell’Iran. Eletto al primo turno di un’elezione caratterizzata da un’astensione record. Lo attendono sfide gravose: ricostruire l’economia, superare le sanzioni, riprendere il filo dell’accordo sul nucleare.

 

Come ampiamente previsto alla vigilia del voto, il candidato conservatore Ebrahim Raisi ha vinto le elezioni presidenziali in Iran al primo turno, con il 62% dei consensi. Una vittoria su cui aleggia l’ombra dell’esclusione di altri candidati di spicco, soprattutto tra le fila dei riformisti e dei conservatori pragmatici. Un risultato scontato, come anche l’alto tasso di astensione ai seggi: ha votato meno di un elettore su due e l'affluenza è stata la più bassa di sempre, al 48,8%. Di rito anche le reazioni della prima ora: dalle congratulazioni del presidente russo Vladimir Putin, agli attacchi del neopremier israeliano Naftali Bennett, che ha definito Raisi il presidente “più estremista di sempre”. Ma all’indomani di un’elezione in cui tutto sembrava già scritto, l’avvicendamento ai vertici della Repubblica islamica apre interrogativi sul futuro. Ieri i rappresentanti dei sei paesi impegnati nella trattativa sul nucleare iraniano hanno deciso di sospendere i negoziati in attesa di capire la posizione del nuovo governo a Teheran. I colloqui “non possono proseguire a tempo indefinito” hanno ammonito Francia, Germania e Regno Unito, mentre il consigliere Usa per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha detto che c'è ancora “una lunga strada da fare”.

 

 

L’avanzata dei conservatori?

La vittoria del potente ex capo della magistratura iraniana, sostenuto informalmente anche dall’ayatollah Ali Khamenei, sancisce il passaggio di tutti i rami del governo, elettivi e non, nelle mani dell’ala conservatrice. L’arrivo di Raisi pone fine al dualismo introdotto nell’establishment iraniano dalla presidenza Rouhani, e alla difficile convivenza delle due ‘anime’ della politica iraniana, moderati e conservatori, degli ultimi otto anni. Raisi manterrà il suo incarico fino all’inizio di agosto, quando subentrerà a Rouhani la cui presidenza è stata travolta dall’amministrazione Trump e dalle sanzioni imposte dagli Usa, che hanno privato gli iraniani dei benefici economici promessi in seguito alla firma dell’accordo nucleare del 2015.

Cresciuto nella città nord-orientale di Mashhad, importante centro religioso in cui si trova il santuario dell'Imam Reza, l’ottavo imam sciita, Raisi ha frequentato il seminario di Qom, dove ha studiato con la guida suprema Ali Khamenei. Dopo essere diventato procuratore di diverse giurisdizioni ed aver scalato i ranghi del sistema giudiziario, nel marzo 2016 è stato nominato custode dell'Astan-e Quds Razavi, l'influente santuario dell'Imam Reza, da cui controllava miliardi di dollari di entrate. Candidatosi contro Rouhani nel 2017, aveva perso con il 38% dei voti.

 

Una transizione generazionale?

La questione della successione a Khamenei – per questioni di età a cui si sommano voci sulle condizioni di salute – ha aleggiato su un’elezione cruciale per traghettare la Repubblica verso un cambio generazionale che segnerà l’uscita dalla scena politica della componente rivoluzionaria. Come Khamenei, anche Raisi indossa un turbante nero per indicare che è un ‘sayyed’, discendente diretto del profeta Maometto. Il suo nome circola con insistenza come prossima guida suprema del paese. In questo senso – osserva Nicola Pedde – la scelta di Raisi sembra rispondere ad una doppia necessità: “Da un lato serve a rafforzare una scelta presidenziale che garantisca alla componente conservatrice un candidato forte e sicuro, pienamente sintonizzato – almeno oggi – con il contesto di appartenenza. D’altro canto, rappresenta anche un'opportunità per rafforzare la credibilità politica e istituzionale della persona che – si ritiene – potrebbe rappresentare la scelta più concreta per un’eventuale successione ad Ali Khamenei, facilitando il futuro processo di selezione da parte dell'Assemblea dei Esperti”. Con la sua vittoria la ‘linea dura’ torna all’apice del potere e questo – scrive Barbara Slavin – “rischia di complicare il dialogo con la comunità internazionale”. I conservatori sperano invece che porti unità e pace al popolo e all’Iran, dopo anni di aspri scontri. 

 

Blindare l’accordo sul nucleare?

Nella sua prima conferenza stampa dopo il voto, il presidente eletto ha dichiarato di non vedere “nessun ostacolo alla ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita” se questa si mostrerà disposta a fermare immediatamente il suo intervento in Yemen, e che la priorità della politica estera iraniana sarà “di migliorare i legami con i vicini arabi del Golfo”. Allo stesso modo diplomatici e osservatori affermano che “è improbabile che l’ascesa di Raisi alteri la posizione negoziale dell’Iran nei colloqui per rilanciare l'accordo nucleare”. Questo perché al di là delle tradizionali divergenze tra i blocchi del potere iraniano, Raisi si troverà a guidare un paese la cui priorità interna è rilanciare l’economia. Negli ultimi mesi il rial, la moneta iraniana, è crollata rispetto al dollaro e l’aumento dell’inflazione interna ha fatto schizzare i prezzi dei generi alimentari di base. A fare precipitare ulteriormente la situazione è stato il Covid, che ha colpito l'Iran più di ogni altro paese mediorientale, con un bilancio che supera gli 80.000 morti. Eppure il rilancio dell’economia rischia di rivelarsi una missione impossibile se Teheran non riprenderà a vendere petrolio all’estero, bypassando il regime di sanzioni. Per questo tra le principali preoccupazioni dei negoziatori impegnati a Vienna c’è quella di blindare un nuovo accordo sul nucleare. “Per i conservatori – secondo il New York Times – è un’opportunità unica. Se l’accordo viene raggiunto, il nuovo governo conservatore guidato da Raisi può intestarsi il merito della ripresa economica, rafforzando la sua tesi secondo cui ci voleva la linea dura per resistere a Washington e riportare gli Stati Uniti sulle loro posizioni”.

 

Il commento

Di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow e coordinatrice scientifica Rome MED Dialogues

La Repubblica islamica ora parla con una voce sola. La vicinanza ideologica di Ebrahim Raisi con la Guida Suprema apre le porte a un ricompattamento delle due ali dello stato iraniano, quella repubblicana e quella islamica, e alla riaffermazione del conservatorismo tradizionalista. Tutto ciò è la reazione a quanto accaduto in questi anni: le sanzioni statunitensi, gli omicidi mirati di Soleimani e Fakhrizadeh, i sabotaggi alle centrali nucleari. La Repubblica islamica si sente sotto attacco e sente la necessità di serrare i ranghi per garantire la sopravvivenza del sistema.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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ISPI Associate Research Fellow

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