Mare nero
Sì dell’Ungheria a un embargo sul petrolio russo. Ma solo quello che arriva via mare. Questa la controproposta fatta ieri dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che di fatto si traduce in una esenzione totale dall’embargo per quei paesi, come l’Ungheria, che ricevono il petrolio russo praticamente solo tramite oleodotti.
Insomma, una provocazione che ritarda ulteriormente l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni europee, presentato da von der Leyen ormai più di sette giorni fa. E dire che la Commissione le sta provando tutte: deroga all’embargo fino a fine 2024 (2 anni addizionali rispetto agli altri Stati Membri), fondi per costruire nuovi oleodotti e aggiornare le raffinerie. Ma a Orbán non sembra bastare.
Produzione a picco
La linea dura di Budapest punta a scoraggiare qualsiasi futuro tentativo di imporre un embargo anche sul gas russo. Ma anche a spremere il più possibile le concessioni di Bruxelles. Per il suo sì, Orbán avrebbe infatti chiesto 3 miliardi di euro, ma vorrebbe soprattutto i 7 miliardi del Pnrr ungherese, attualmente bloccati dalla Commissione per violazioni dello stato di diritto.
Embargo o no, la produzione russa di greggio non se la passa comunque bene: meno 900mila barili al giorno ad aprile, che a maggio potrebbero aumentare fino a 1,5 milioni. Per poi raddoppiare ancora entro luglio – ma solo se l’embargo dovesse diventare realtà. Così nel 2022 la produzione russa di petrolio scenderebbe sotto i 10 milioni di barili al giorno: il livello più basso dal 2004.
Un mare di soldi
Per colpire la Russia dove più fa male, sulle sue esportazioni di energia, la Commissione sta preparando una nuova versione del suo piano RePowerEU. Agli Stati Membri sarà richiesto di accelerare la loro transizione verde: alzando dal 40 al 45% il target di energia pulita nel mix energetico entro il 2030, e dal 9 al 13% quello di riduzione dei consumi energetici sempre nei prossimi 8 anni.
Tutto questo avrà però un costo non indifferente per i Paesi europei: la Commissione stessa stima una spesa aggiuntiva per 195 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. Da sommare ai 670 miliardi già previsti dal piano iniziale.
A fronte di queste cifre, sicuri che i 3 miliardi richiesti dall’Ungheria siano poi così tanti?