Tutti per uno?
Dopo il carbone, il petrolio. Stamattina von der Leyen ha presentato al Parlamento Ue quello che, se approvato dai governi dei 27, diventerà il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Oltre all'esclusione dal circuito finanziario Swift di altre tre banche russe (tra cui Sberbank, la più grande del paese), è prevista una graduale riduzione delle importazioni di greggio russo.
L’obiettivo è l’embargo totale: del greggio entro sei mesi, dei prodotti lavorati (benzina, diesel, ecc.) entro nove. Con possibili esenzioni per Ungheria e Slovacchia, ma che anche Bulgaria e Repubblica Ceca vorrebbero.
Funzionerà?
Tra i due litiganti...
Negli ultimi due mesi, la domanda occidentale di petrolio russo è in netto calo: circa un quarto dei 4,7 milioni di barili al giorno importati dall’UE potrebbe essersi già volatilizzato (e ben due terzi in Germania). Ma la scomparsa di 1 milione di barili al giorno da un mercato già “assetato” di greggio significa anche prezzi al barile oltre i 100 dollari.
Così, pur di pagare meno, i grandi importatori del mondo guardano proprio a Mosca. In Cina le raffinerie indipendenti starebbero silenziosamente acquistando una parte dei barili invenduti, a forte sconto. E se a Pechino sembrano temere le sanzioni occidentali (e infatti evitano di pubblicizzare gli accordi con i russi) lo stesso non si può dire per un altro grande Paese asiatico: l’India.
Eppur si muove?
Dai porti del Baltico e del Mar Nero fino all’Oceano Indiano, il viaggio è lungo. Uno dei motivi per cui New Delhi non è mai stata una grande acquirente di petrolio russo. Negli ultimi due mesi l’India ha però acquistato più del doppio del petrolio russo importato in tutto il 2021.
Nonostante tutto, Mosca fa ancora molta fatica a trovare acquirenti alternativi. Perché talvolta chiede pagamenti in rubli (come agli europei sul gas) o non vuole vendere a sconti eccessivi. Il problema per il Cremlino è chiaro: se tutto continuasse ad andare come oggi, i mancati ricavi russi sul petrolio arriverebbero a un valore vicino al 5% del PIL.
Troppo per un’economia russa che tra costi bellici e impatto delle precedenti sanzioni è già data in calo dell’8,5%. Quanto a lungo potrà resistere di questo passo?