In Sudafrica l’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma accende la rivolta. Militari schierati per sedare violenze e saccheggi.
Il governo del Sudafrica ha dispiegato l’esercito in due regioni del paese epicentro di violenze e saccheggi in seguito all’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma. Finora, secondo la stampa locale, nei peggiori disordini mai registrati nel paese dalla fine dell’apartheid si registrano oltre 30 morti e cinquecento arresti. Circa 2.500 soldati sono stati inviati nelle strade delle due province più densamente popolate del paese, quella del Gauteng, dove si trova Johannesburg, polo economico del paese, e del KwaZulu-Natal, la provincia di cui Zuma è originario e roccaforte del suo consenso politico. Qui la polizia locale è stata sopraffatta da folle di persone che hanno messo a ferro e fuoco le strade cittadine, saccheggiando negozi e devastando ogni cosa. “Negli ultimi giorni e notti abbiamo assistito ad atti di violenza mai visti nella storia della nostra democrazia”, ha detto il presidente Cyril Ramaphosa in un discorso alla nazione trasmesso dalla tv di stato, in cui ha invitato alla calma e annunciato il dispiegamento dei militari.
Zuma, da ex combattente a detenuto?
Le proteste nelle due provincie del paese sono esplose dopo che giovedì sera Jacob Zuma si è consegnato alla polizia prima che scattasse nei sui confronti un ordine di cattura: l’ex presidente – alla guida del paese fino al 2018 – era stato condannato tre giorni prima dalla Corte Suprema del Sudafrica a 15 mesi di carcere per oltraggio, dopo aver ignorato diversi ordini a testimoniare in un’inchiesta per corruzione durante i suoi nove anni al potere. Ma ci sono molte altre vicende giudiziarie in cui Zuma risulta coinvolto e che attendono di arrivare in aula. In particolare quella che accusa l’ex presidente di aver creato un sistema di corruzione e di aver contribuito allo state capture, “cattura dello stato”, per favorire investitori stranieri come i fratelli Gupta, due imprenditori di origine indiana, consentendogli di ammassare enormi ricchezze.
È la prima volta che un ex presidente viene incarcerato nel Sudafrica post-apartheid. La condanna – accolta da molti come una vittoria dello stato di diritto nella travagliata storia del Sudafrica – è considerata anche un successo politico di Ramaphosa, alla guida dell'African National Congress dal 2017. Se per numerosi osservatori l’incarcerazione di Zuma rafforzerà l’ala moderata e pragmatica del partito di governo, minando in modo significativo le correnti e la burocrazia fedele all'ex leader, i sostenitori di Zuma affermano che è vittima di una caccia alle streghe orchestrata dai suoi oppositori. L’ex combattente anti-apartheid, oggi 79enne, rimane popolare tra molti sudafricani delle fasce più povere.
Alle radici del malcontento?
I disordini attecchiscono in un Sudafrica già alle prese con problemi economici e sociali. Con 2,1 milioni di contagi e 63.500 morti, la ‘Rainbow Nation’ è uno degli stati africani più colpiti dall’epidemia di Coronavirus. Nella provincia del Gauteng nell'ultima settimana, le vittime sono salite del 57%, al punto che c'è il rischio concreto di non trovare più bare a sufficienza. Un’emergenza che ha acuito difficoltà preesistenti, come la mancanza di servizi e un tasso di disoccupazione che in seguito alla contrazione del Pil (-7% nel 2020) è salito al livello record del 32,6%. Il tutto in un paese che – secondo dati della Banca Mondiale – registra il tasso di diseguaglianza economica più alto al mondo. Disuguaglianza che è stata spesso presa di mira dai politici populisti e che oggi potrebbe alimentare nuove esplosioni di violenza, in modo particolare nelle township alla periferia di Johannesburg come Soweto. Come se non bastasse, col protrarsi dei giorni, il timore condiviso da molti è che i disordini possano sfociare in violenze su base etnica. Più volte nel corso della sua carriera politica Jacob Zuma ha fatto leva sul suo essere uno Zulu, il più grande gruppo etnico del Sudafrica, e i suoi sostenitori a volte indossano magliette “100% Zuluboy”. D’altro canto L'ANC ha un rapporto complicato con il popolo Zulu. Prima della fine dell’apartheid, i sostenitori dell’Inkatha Freedom Party, un partito nazionalista Zulu, hanno combattuto scontri sanguinosi con i sostenitori dell'ANC proprio nel KwaZulu-Natal e nel Gauteng.
La nuova via di Ramaphosa?
Le rivolte in Sudafrica – sebbene circoscritte alle due provincie più popolose – riflettono i contorni di problemi sociali più grandi, determinati dalla povertà e dalle eredità velenose dell'apartheid. Nel paese il 10% della popolazione – a larga maggioranza bianca – detiene il 93% della ricchezza nazionale; dal 2011 il rand si è dimezzato sul dollaro e le agenzie di rating hanno declassato a spazzatura il credito sovrano sudafricano. Ancora oggi, tre decenni dopo la fine del regime di segregazione, i sudafricani svantaggiati, in particolare i neri, detengono meno beni, hanno meno competenze, guadagnano salari più bassi e hanno maggiori probabilità di essere disoccupati. Di questo panorama l’ANC e gli eredi di Nelson Mandela, alla guida del Sudafrica per 27 anni, portano enormi responsabilità. La storia di Zuma è emblematica di questa deriva e segna la fine delle illusioni per molti sudafricani. Oggi alla guida del paese c’è Cyril Ramaphosa, figura vicina a Nelson Mandela, con un passato da sindacalista e In seguito da imprenditore di successo, che ha ricoperto la carica di vicepresidente di Zuma dal 2014.
Ramaphosa sta tentando di raggiungere un difficile equilibrio, tra la volontà di sradicare la corruzione e il rischio di scatenare una crisi nell’ANC, dove l’ex presidente ha ancora diversi sostenitori. Molto, non solo per gli equilibri interni al partito, dipenderà dall’epilogo della vicenda del suo ex leader, la cui parabola potrà forse dimostrare che, al momento del bisogno, il Sudafrica ha dato prova di possedere i giusti anticorpi. In gioco c’è il futuro e la democrazia della prima potenza del continente.
Il commento
Di Rocco Ronza, ISPI Associate Research Fellow e Università Cattolica
"Ramaphosa, che ha evitato finora di dichiarare lo stato di emergenza, ha denunciato il coinvolgimento nei saccheggi del crimine organizzato, deciso a sfruttare la frustrazione per le restrizioni per la nuova ondata pandemica. Zuma, impegnato in un ricorso, tace, ma sembra il catalizzatore perfetto degli eventi. Da un lato la sua provincia, il KwaZulu-Natal, e il Gauteng, in cui è consistente la presenza zulu, sono stati teatro di tutte le violenze più gravi nella storia recente del paese. Dall’altro Zuma, rappresentato in Occidente come il tipico big man corrotto e dispotico, agli occhi della popolazione più povera incarna ancora la protesta contro l’ala moderata, occidentalizzante e business-friendly dell’ANC, di cui sono espressione sia il suo predecessore Mbeki sia lo stesso Ramaphosa".
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)