Uscita d’emergenza
10 milioni: sono gli attraversamenti della frontiera ucraina dall’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, secondo i dati rilasciati ieri dall'agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR). In pochi mesi il numero di ucraini e ucraine fuggiti dal conflitto ha già superato quello registrato nelle maggiori crisi migratorie del dopoguerra: quella siriana (6,8 milioni di rifugiati), venezuelana (4,7 milioni) e afghana (2,7 milioni).
Poiché il governo ucraino continua a limitare gli spostamenti degli uomini, a migrare sono soprattutto donne, bambini e anziani. Intanto, mentre la guerra si concentra sempre più nella regione orientale del Donbass, in molti stanno già scegliendo la via del ritorno.
Ma non abbastanza.
Ritorno al passato
Tornare a casa è un’opzione non sempre percorribile, anzi. UNHCR ha recentemente annunciato che il numero di rifugiati e sfollati nel mondo quest’anno supererà i 100 milioni. Insomma, 1 persona su 78 nel mondo ha dovuto lasciare la propria casa e non vi ha ancora fatto ritorno. Si scappa dalla guerra e dalle persecuzioni, ma anche dalla povertà estrema e dal cambiamento climatico.
Si scappa, soprattutto, da crisi che stanno diventando sempre più “protratte”: lunghe e irrisolvibili. Così il numero mondiali di rifugiati (cioè di chi oltre ad aver abbandonato la propria casa ha anche lasciato il proprio Paese), che dalla fine della guerra fredda era andato riducendosi, nel 2015 è tornato ai livelli del 1990 (20 milioni) e oggi supera i 27 milioni.
Incudine e martello
Insomma, movimenti migratori che non svaniranno nel breve periodo. Al contrario: tra il rallentamento dell’economia mondiale, il perdurare dei conflitti e il surriscaldamento del pianeta il numero di persone indotte ad abbandonare il Paese natio è destinato ad aumentare.
Ma proprio lo spettro di un rallentamento economico, o addirittura di una recessione in Europa, spaventa quei governi che inizialmente hanno accolto gli ucraini in fuga a braccia aperte. Nei Paesi Ue il peso delle sanzioni (e soprattutto delle controsanzioni russe) aggrava un quadro già complicato dalle necessità di ripresa post-pandemia.
In Francia si è votato ad aprile, e gli elettori non hanno premiato Macron. In Ungheria ha invece stravinto Orbán, non certo un sostenitore delle “porte aperte”. In Italia le elezioni sono alle porte. Quanto ancora resisterà la solidarietà europea?