Grand Tour
Ieri Thierry Breton era a Madrid per presentare al Primo ministro spagnolo Pedro Sánchez la sua nuova proposta: il Clean Tech Act. Dopo Varsavia, Bruxelles e Parigi, la capitale spagnola è la quarta tappa del commissario europeo per il mercato interno, impegnato nel tentativo di convincere i paesi europei a fare fronte comune contro i sussidi Usa contenuti nell’Inflation Reduction Act (IRA).
Fra la riduzione dei costi dei farmaci per i pensionati e l'aumento della spesa per le centrali nucleari, il pacchetto da $369 miliardi firmato da Biden lo scorso agosto contiene soprattutto sostanziosi sussidi all’industria americana “verde”. Misure che, più che a ridurre l’inflazione, sembrano puntare a catalizzare investimenti in settori produttivi critici.
Anche se a scapito degli alleati europei.
Perdiamo pezzi?
Sulla carta, i sussidi all’industria verde proposti dall'amministrazione americana sarebbero i benvenuti. Ancora oggi, gli Usa hanno un mercato “verde” poco sviluppato rispetto al potenziale: per esempio, nel 2021 in Ue sono stati immatricolati oltre 2 milioni di veicoli elettrici, negli Usa meno di 1 milione. E l’anno scorso le emissioni di gas serra americane sono cresciute ancora, allontanandosi molto dagli obiettivi al 2030 presi a Parigi nel 2015.
Ma i sussidi americani verranno concessi a condizioni ben precise: sulla base della provenienza geografica delle componenti (Stati Uniti o al massimo paesi con all’attivo accordi di libero scambio con Washington, come Canada e Messico) o dell’assemblaggio dei veicoli (negli Usa). Due requisiti che, spingendo i nuovi investimenti verso gli Usa, penalizzano le imprese europee.
AAA consenso cercasi
Così in Europa si cerca una risposta abbastanza forte da scoraggiare i disinvestimenti, ma senza provocare una guerra commerciale. Un equilibrio delicato. La proposta della Commissione, che Ursula von der Leyen dovrebbe presentare a Davos la prossima settimana, prevederebbe di creare di un fondo europeo simile all’IRA americano.
Un’opzione che pare gradita dalla Germania ma invisa ai Paesi nordici, tradizionalmente più diffidenti degli interventi “dirigisti” della mano pubblica nel mercato. Per questo si continua a sperare, forse vanamente, che Washington inserisca clausole che penalizzino meno le imprese europee anche in assenza di un accordo di libero scambio tra Usa e Ue.
Chissà cosa penserà oggi chi, nel 2016, aveva esultato quando Trump aveva fatto fallire il TTIP.