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Si è chiuso oggi il Summit per la Democrazia indetto da Biden. Due giorni di incontri virtuali tra 110 leader mondiali per tracciare un'agenda collettiva incentrata su lotta alla corruzione, sfida all’autocrazia e promozione dei diritti umani. L’evento era uno degli appuntamenti cardine dell’agenda di Biden, che vorrebbe renderlo annuale per rilanciare il ruolo degli Stati Uniti come paladini della democrazia.
Non a caso gli USA hanno annunciato circa mezzo miliardo di dollari per sostenere la libertà dei media e garantire l’integrità delle elezioni a livello globale. Ma più degli impegni economici (che bisognerà far approvare dal Congresso) a far notizia (di un summit passato in sordina) è stata la lista dei paesi invitati.
Chi non è democrazia...
Il 30% dei paesi presenti al summit è etichettato come non democratico o solo parzialmente democratico dai principali indici. Mentre alle scontate assenze di Cina e Russia si aggiungono quelle meno facilmente spiegabili dei leader democraticamente eletti di Bolivia e Bangladesh.
Manca anche l’Ungheria, autodichiaratasi “democrazia illiberale”, ma c’è la Polonia, il cui governo sembra essersi avviato sulla stessa china di Budapest. Varsavia però è anche un partner strategico per gli USA di fronte alle crescenti pressioni russe (tra cui la recente mobilitazione di truppe al confine con l’Ucraina). Insomma, la scelta dei partecipanti sembra essere dettata più dagli interessi geopolitici dell’America che da un giudizio “oggettivo” sullo stato della democrazia in ciascun paese.
… scagli la prima pietra
Oltre a snobbare Pechino, al summit Washington ha invitato alcuni funzionari di Taiwan. Anche per questo, settimana scorsa la Cina ha indetto un proprio "dialogo” sulla democrazia. Politici e studiosi provenienti da 120 paesi hanno discusso del sistema politico cinese, celebrato come una forma peculiare di democrazia, migliore di quella occidentale in quanto più efficiente.
Difficilmente i manifestanti di Hong Kong sarebbero d’accordo, ma la narrazione tocca un nervo scoperto quando denuncia le difficoltà del sistema democratico americano. È passato quasi un anno dalle vicende di Capitol Hill. Un anno contraddistinto dalla paralisi politica del Congresso, mentre 19 stati varano leggi potenzialmente dannose per l’accesso al voto delle fasce più povere della popolazione.
La democrazia americana è veramente nella posizione di salvare la democrazia nel mondo?