Firmato l’accordo per i confini marittimi con il Libano. Il premier Lapid esulta ma a pochi giorni dal voto la partita con Netanyahu è aperta.
A pochi giorni dalle elezioni legislative in Israele, le quinte in appena quattro anni, il premier Yair Lapid si intesta la firma di un accordo storico che, dice, “cambierà la storia dei rapporti con il Libano”. L’intesa è quella relativa ai confini marittimi che apre la strada allo sfruttamento dei giacimenti di gas off-shore nel tratto di mare conteso, ma secondo il premier tra le righe del documento, c’è qualcosa che va persino oltre. “Questo è un successo politico. Non capita tutti i giorni che uno stato nemico riconosca Israele, con un accordo scritto, di fronte alla comunità internazionale”, ha sottolineato il premier. Poco prima, il presidente della Repubblica libanese Michel Aoun aveva firmato a Beirut parte dei documenti necessari per formalizzare l’accordo. Raggiunta attraverso negoziati indiretti mediati da Stati Uniti e Onu, l’intesa consentirà a Israele di sfruttare l’enorme giacimento sottomarino di gas di Karish mentre il Libano potrà iniziare le prospezioni di quello di Kana, gestito dalla Total con partecipazione dell’Eni. Intanto, in Cisgiordania prosegue a pieno ritmo l’operazione “Break the Wave” avviata lo scorso aprile, contro le milizie palestinesi, che ha portato all’uccisione di sei miliziani, a Nablus. L’obiettivo di Israele è la Tana del Leone, il gruppo ritenuto responsabile di un’ondata di attacchi armati che hanno provocato 19 morti in Cisgiordania tra coloni e militari. Sia Lapid che il ministro della Difesa Benny Gantz usano il pugno di ferro anche per dimostrare fermezza all’opinione pubblica in vista del voto, ma dall’inizio dell’anno tra scontri e rastrellamenti sono morti almeno 125 palestinesi e oltre duemila sono stati arrestati.
Verso un nuovo stallo?
È in questo contesto che il prossimo primo di novembre Israele torna ai seggi nella speranza di eleggere un governo solido che possa reggere un’intera legislatura. Per formare una maggioranza però servono 61 seggi alla Knesset, il parlamento israeliano, e secondo i sondaggi – a pochi giorni dal voto – ancora una volta nessuna delle tre grandi coalizioni avrà i numeri per governare. Né quella dell’ex premier Benjamin Netanyahu, né quella di centro di Yair Lapid, premier uscente, né quella vicina all’ex generale Benny Gantz. Tuttavia, qualche colpo di scena potrebbe ancora stravolgere le carte in tavola. Come sempre, anche questa volta Netanyahu è il favorito; le proiezioni attribuiscono al Likud, il suo partito, 31 seggi, che unitamente a quelli dei suoi alleati arriverebbero a 60. Tanti, ma non abbastanza per tornare ad essere capo del governo e quindi veder sospesi i numerosi processi per corruzione e frode ancora attivi a suo carico. Se Bibi gode del sostegno dei suoi elettori, infatti, gran parte degli altri partiti lo ha isolato in una sorta di ‘cordone sanitario’ rifiutandosi di appoggiarlo per formare un governo. I partiti avranno quasi tre mesi per mettere insieme una nuova coalizione. Se falliscono, il paese dovrà tornare al voto all'inizio del prossimo anno per la sesta volta. Oltre a costare milioni di shekel, le elezioni e l’instabilità politica di questi anni hanno esaurito gli israeliani erodendo la loro fiducia nelle istituzioni democratiche del paese.
Dipende tutto dall’affluenza?
In definitiva, molti osservatori concordano sul fatto che il prossimo primo ministro israeliano potrebbe essere deciso da coloro che non andranno a votare martedì prossimo. Il sistema proporzionale in vigore nel paese, infatti, rende l'affluenza ai seggi cruciale. E non solo perché al leader del partito che ottiene più voti viene solitamente chiesto di formare un esecutivo, ma perché spesso i partiti più piccoli sono l’ago della bilancia delle coalizioni che governano. Perché ciò avvenga tuttavia, i partiti minori devono ottenere abbastanza voti per entrare in parlamento. Yair Lapid ne è fin troppo consapevole. E così da settimane si rivolge soprattutto agli elettori arabo-israeliani, che probabilmente non voteranno per lui, ma che recandosi in massa ai seggi sottrarrebbero voti a Netanyahu e ai suoi alleati. Per il leader di Yesh Atid, che con 23 seggi si presenta come il secondo favorito nella competizione elettorale, l’unica possibilità di raggiungere i 61 seggi sarebbe in un’eventuale per quanto remota alleanza con i partiti arabi. Allo stesso tempo, in una tornata in cui punta a ottenere il massimo risultato, il premier uscente deve fare attenzione a non cannibalizzare i partiti più piccoli della sua coalizione, pericolosamente vicini alla soglia di sbarramento.
Estrema destra ago della bilancia?
La vera sorpresa della nuova tornata elettorale rischia di rivelarsi l’alleanza di due formazioni dell’ultradestra: il Religious Zionism di Bezalel Smotrich, un religioso ultraortodosso noto per le sue posizioni omofobe e misogine, e Potere ebraico di Itamar Ben Gvir. Quest’ultimo, considerato l’astro nascente della destra ultranazionalista, risulta molto popolare tra i giovani, sia ultraortodossi che coloni di nuova generazione. Più volte condannato per incitamento al razzismo, già esponente di organizzazioni fuorilegge ed estremiste, le sue idee gli sono valse l’esenzione dal servizio militare per ‘incompatibilità’. In un video durante gli scontri a Gerusalemme Est, Ben Gvir è stato ripreso con una pistola in pugno mentre incita gli agenti a sparare sugli abitanti palestinesi del quartiere di Sheikh Jarrah. “Con l'ascesa di Ben Gvir e Smotrich – osserva David Horowitz – Israele rischia una catastrofica caduta verso l’estremismo”. Eppure, sondaggi alla mano, Religious Zionism sembra proiettata ad ottenere fino a 13 seggi in parlamento, diventando la terza coalizione in parlamento. Un risultato enorme per un volto, quello di Ben Gvir, relativamente nuovo nella scena politica israeliana ma che da domani potrebbe rivelarsi un alleato cruciale per la formazione del governo, in un paese che vira sempre più verso l’estrema destra.
Il commento
Di Mattia Serra, ISPI MENA Centre
“A cinque giorni dalle elezioni in Israele, la corsa è ancora aperta. I sondaggi delle ultime settimane forniscono l’immagine di un paese diviso e di una partita che si giocherà fino all’ultimo voto. Se la polarizzazione attorno alla figura dell’ex premier Benjamin Netanyahu rimane l’elemento di continuità rispetto alla scorsa tornata, l’ascesa dell’ultradestra religiosa sembra essere la preoccupante novità di queste elezioni. Con la coalizione guidata dal primo ministro Yair Lapid data a pochi seggi di distanza da quella di Netanyahu, gli elettori arabo-israeliani potrebbero essere nuovamente l’ago della bilancia. Disillusi dall’esperienza di governo del partito Ra’am, potrebbero però disertare le urne, spianando così la strada all’esecutivo più a destra della storia di Israele”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.