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Focus Mediterraneo allargato n.17

Israele è entrato nell’era post-Netanyahu

Anna Maria Bagaini
28 settembre 2021

Israele si affaccia su questo ultimo trimestre del 2021 cercando di lasciarsi alle spalle una crisi multidimensionale: sanitaria, economica, sociale e governativa. La formazione di un nuovo governo a giugno scorso, fa sperare in un superamento dell’impasse politica degli ultimi due anni che permetta di affrontare tematiche importanti per la sicurezza e la stabilità dello stato. I nodi che il nuovo esecutivo dovrà tentare di sciogliere non riguardano solo la gestione della quarta ondata di coronavirus o i rinnovati negoziati sul nucleare tra Iran e Stati Uniti, ma anche il bisogno interno di rafforzare istituzioni e il tessuto sociale, affiancato alla necessità di riconsolidare alleanze cruciali con Washington, Amman e Il Cairo.

Quadro interno

Gli ultimi tre mesi sono stati intensi per la vita politica israeliana, caratterizzati dall’elezione del nuovo presidente Isaac Herzog e dalla formazione del nuovo governo, guidato da Naftali Bennett (in rotazione con Yair Lapid).

Il governo Bennett-Lapid è sostenuto da otto dei tredici partiti che hanno vinto seggi alle elezioni del 23 marzo, per un totale previsto di 61 voti nella Knesset (composta da 120 membri): C’è Futuro (17 seggi), Blu e Bianco (8), Yisrael Beytenu (7), Partito Laburista (7), Destra (6 dei suoi 7 parlamentari), Nuova Speranza (6), Meretz (6) e Lista Araba Unita (4).[1]

La coalizione rappresenta un mix di partiti senza precedenti, da destra (Destra, Nuova Speranza e Yisrael Beytenu) a centro (C’è Futuro e Blu e Bianco), a sinistra (Partito Laburista e Meretz), oltre al partito islamico conservatore Lista Araba Unita. I loro leader, che si sono uniti in opposizione a Benyamin Netanyahu, hanno promesso di lavorare attraverso il consenso per sanare le spaccature nella società israeliana, senza superare però le proprie linee rosse ideologiche.

Nel frattempo, il bipartitismo ha vinto anche nelle elezioni presidenziali israeliane: Isaac Herzog, ex presidente dell'Agenzia ebraica, moderato di centro-sinistra, è riuscito a raccogliere il sostegno di 87 su 120 deputati. Il nuovo presidente succede all’uscente Reuven Rivlin che è stato una importante figura unificante in questi anni e che si è sempre espresso a favore dell’inclusione di tutte le parti della società israeliana. A sua volta Isaac Herzog potrebbe diventare una figura chiave per l'opinione pubblica israeliana nei prossimi anni. Tradizionalmente, il presidente cerca di rimanere politicamente neutrale ed evita di favorire una parte o l'altra, ma alla luce della crisi politica di lunga durata in corso, Herzog può permettersi di prendere iniziative nel tentativo di impedire la caduta del governo e di favorire il compromesso tra i membri del governo di coalizione.

La prima tempesta per il nuovo governo è subito arrivata a luglio, quando Israele ha nominato un team interministeriale per valutare i rapporti pubblicati da un'indagine condotta da Forbidden Stories e Amnesty International[2], secondo cui il software Pegasus dell’Nso Group sarebbe stato acquisito da governi autoritari come arma spyware per hackerare smartphone appartenenti a giornalisti, oppositori politici e attivisti per i diritti umani in tutto il mondo (circa 180 casi). La correlazione tra l'elenco dei clienti di Nso e lo sviluppo delle relazioni diplomatiche di Israele con questi paesi è al centro della bufera e sembra che lo stato israeliano abbia lavorato in modo proattivo per far sì che le aziende israeliane di armi cibernetiche, in primis Nso, operassero in questi paesi, nonostante i loro record problematici in materia di democrazia e diritti umani. Israele sta ora indagando sulle accuse di un massiccio uso improprio della tecnologia spyware e le ricadute del caso Pegasus sono state un test importante per il ministro della Difesa Benny Gantz che ha dovuto gestire le crisi diplomatiche che ne sono scaturite. Intanto, il sottocomitato per l'intelligence della commissione per gli Affari esteri e la Difesa della Knesset, dovrebbe ritrovarsi per discutere la politica israeliana sulle esportazioni cibernetiche.

Sul fronte dei successi del nuovo establishment invece vi è l’approvazione tanto attesa del bilancio statale 2021-22 nella sua prima lettura. Il 2 settembre la Knesset ha infatti concordato i quattro disegni di legge separati che compongono il pacchetto legislativo che regola il bilancio statale; si tratta di un obiettivo importante per la coalizione perché, non solo pone fine all’assenza di un budget per Israele, ma anche perché ha scongiurato la caduta del governo stesso (la mancata approvazione del bilancio era infatti una clausola per lo scioglimento della coalizione).

Il bilancio statale biennale include riforme radicali delle certificazioni kosher[3], dell'industria agricola[4] e cambiamenti considerevoli alle politiche di importazione; questi sono interventi che sono stati attesi per anni, ma che non hanno mai potuto prendere forma a causa della resistenza di gruppi industriali o varie fazioni politiche.

Il budget prevede di allocare 432,3 miliardi di shekel (Nis) per quest'anno e altri 452,5 miliardi di shekel per il 2022, insieme a un tetto del debito del 3% che dovrebbe salire al 3,5% l'anno prossimo. Il budget più consistente va al ministero della Difesa, con 73,3 miliardi di shekel, insieme a 70 miliardi di shekel per l'istruzione. La salute rimarrà a 44,8 miliardi di shekel.

In sottofondo permane la gestione della pandemia da Covid-19, infatti Israele si trova ad affrontare una quarta ondata di coronavirus nella sua variante delta. Le statistiche diffuse dal ministero della Salute in agosto sono state motivo di particolare preoccupazione e hanno richiesto misure di controllo da parte del governo sulla diffusione del virus; prima tra tutte, la ripresa della campagna vaccinale che ha iniziato la somministrazione di una terza dose di vaccino.

Anche in questo caso la gestione della pandemia diventa teatro principale dello scontro politico: nella scorsa campagna elettorale, Bennett aveva presentato la principale opposizione alla gestione di Benjamin Netanyahu della crisi del coronavirus, guadagnando grande popolarità (ha persino creato un governo ombra sulla gestione del Covid-19 e ha scritto un opuscolo, "Come battere una pandemia”). Ora Netanyahu ha colto l’occasione per restituire il favore al primo ministro, chiamando il Ceo di Pfizer Albert Bourla di nascosto a Bennett, per discutere appunto della terza dose, e mettendo in imbarazzo il premier pubblicizzando la chiamata effettuata.

Relazioni esterne

In politica estera il governo Bennett-Lapid sta costruendo la sua agenda diplomatica e il tema più sfidante è senza dubbio il tentativo statunitense di riaprire i colloqui sull’accordo nucleare con l’Iran (si veda Focus paese Iran). La posizione ufficiale del nuovo esecutivo non sembra si stia discostando dalla linea tenuta dall'ex primo ministro Benjamin Netanyahu, ma c’è una differenza fondamentale: mentre Netanyahu aveva combattuto pubblicamente contro l'accordo formulato dal presidente Barack Obama, il governo Bennett-Lapid vorrebbe lavorare con l'amministrazione Biden per migliorare la posizione di Israele, soprattutto alla luce di alcuni cambiamenti avvenuti sul campo che hanno sollevato molteplici domande, quali: Israele è in grado di influenzare la politica degli Stati Uniti sul programma nucleare iraniano? È ancora fattibile un’opzione militare israeliana indipendente nei confronti del programma nucleare iraniano? Gli Stati Uniti e Israele possono concordare un piano d'azione congiunto nel caso in cui l'Iran violi i termini del suo rinnovato accordo nucleare con le potenze mondiali? Ma soprattutto, come sottolineato da Lapid e Gantz, Israele deve evitare a tutti i costi gli errori commessi a suo tempo da Netanyahu entrando in uno scontro pubblico con gli americani sulla questione nucleare iraniana; Israele può esprimere critiche su un ritorno all’accordo e persino una forte opposizione, ma una campagna frontale contro Biden sarebbe un errore fatale. Anche nello scenario peggiore di un ritorno allo stesso identico accordo che il presidente Barack Obama aveva firmato con l’Iran, Israele farebbe meglio a cercare di raggiungere un accordo separato con l’amministrazione americana che lo risarcisca e stabilisca corsi d’azione futuri.

Questo è stato uno dei temi discussi il 27 di agosto scorso durante il primo incontro tra il presidente Biden e il primo ministro Bennett, nel quale si è parlato non solo dell’Iran, ma anche della questione palestinese, della pandemia e dell’inclusione di Israele nel Visa Waiver Program. Nonostante le loro differenze politiche, entrambi i leader hanno mostrato la volontà di ripristinare e rafforzare un legame bilaterale che ha mostrato segni di tensione.[5]

Ma, nonostante questo avvicinamento tra le due posizioni, è emersa un’altra possibile minaccia per le relazioni israelo-americane, ovvero la Cina. Israele ha individuato questo paese come un potenziale mercato di riferimento per le vendite di sistemi d'arma avanzati ma, negli anni, due importanti accordi sono stati bloccati dalle preoccupazioni e dalle obiezioni americane.[6] Per quanto riguarda gli investimenti cinesi in Israele, si sono concentrati sulle infrastrutture, come per esempio l’impianto di desalinizzazione dell'acqua a Soreq, il porto di Haifa e il sistema di metropolitana leggera di Tel Aviv. Il contratto di desalinizzazione è stato infine vinto da una società israeliana, sulla società cinese, dopo che gli Stati Uniti hanno espresso il proprio disappunto.

Nell'ultimo anno le relazioni sino-israeliane si sono gradualmente raffreddate: prima è arrivata la partnership strategica di 25 anni e 400 miliardi di dollari che la Cina ha stretto con l'Iran, poi è arrivata la recente presa di posizione su Gaza in sede al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Se si collegano questi episodi con la tangibile pressione degli Stati Uniti su Israele per ridimensionare le relazioni economiche con la Cina e i legami in espansione di Israele con l'India (rivale della Cina), emerge il quadro di una relazione che si sta contraendo. Il dilemma per Israele consiste nel non essere costretto a fare una scelta tra Stati Uniti e Cina che, in termini di importanza per Israele sono essenzialmente asimmetrici: la Cina è una superpotenza in ascesa, gli Stati Uniti sono un pilastro della sicurezza di Israele. Ma più la rivalità tra Stati Uniti e Cina diventa radicata e diffusa, più aumentano le probabilità che Israele si possa trovare a dover scegliere quale relazione favorire.

Nel loro colloquio il presidente Biden e il primo ministro Bennet hanno ribadito l’importanza delle partnership di Israele con Egitto e Giordania, cruciali per la stabilità regionale. Non è quindi un caso se il nuovo governo Bennett-Lapid si sia mosso per ristabilire i rapporti con questi due attori non appena insediato, in particolare sul fronte giordano. Il primo ministro ha incontrato il re Abdullah all'inizio, aggiornando l’accordo per la fornitura di acqua tra i due paesi.[7] Secondo fonti diplomatiche, Israele sta pianificando una lunga lista di incontri con il regno hashemita per riabilitare i rapporti e ripristinare diversi aspetti della cooperazione. Questi gesti arrivano dopo anni di scarsa comunicazione tra il primo ministro israeliano e il re giordano. Per entrambi gli stati è di vitale importanza la solidità dell'accordo di pace del 1994: per Israele dal punto di vista della sicurezza nazionale, per la Giordania perché dipende da Israele in molti aspetti significativi, come per esempio l’approvvigionamento di acqua e la cooperazione militare. Alcuni analisti hanno a lungo sostenuto come sia il potere israeliano l'unico deterrente ai tentativi di forze radicali come lo Stato islamico (IS) o altri elementi sovversivi di spodestare ed espellere la famiglia hashemita dalla Giordania.[8]

Per quanto riguarda l’Egitto, il 13 settembre si è tenuto al Cairo il primo incontro tra Bennett e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Si tratta della prima visita di un primo ministro israeliano in Egitto da oltre un decennio. Durante il vertice, ritenuto positivo da entrambe le parti, si è discusso di una lunga lista di argomenti cruciali per i due paesi e per la stabilità della regione, tra cui hanno spiccato la mediazione israeliana nella crisi tra Egitto ed Etiopia per la diga sul fiume Nilo e l’assistenza egiziana per raggiungere un accordo a lungo termine con la Striscia di Gaza. A fare da volano alle relazioni israelo-egiziane, vi sarebbe anche la preoccupazione del Cairo di rinsaldare i propri legami con Washington; in tale senso, la collaborazione con Israele su più fronti si spera possa essere accolta positivamente dagli americani e invertire così il trend attuale. Il sito web Politico[9] ha riferito infatti che il governo americano congelerà il 10% dei suoi aiuti militari annuali all’Egitto alla luce delle preoccupazioni sui diritti umani. Resta da vedere se la delusione egiziana influenzerà la buona volontà che al-Sisi dimostrerà negli sforzi verso un accordo con Gaza, il problema più spinoso per Israele.

Sul versante palestinese, infatti, Bennett ha mantenuto la sua promessa a Biden di migliorare le condizioni dei palestinesi e ridurre le tensioni politiche. Il 29 agosto il ministro della Difesa israeliano Gantz ha incontrato il presidente palestinese Mahmoud Abbas a Ramallah; questo è il primo incontro di alto livello tra le due parti in oltre un decennio e riflette appunto la linea che Bennett ha presentato alla Casa Bianca: gesti di buona volontà verso i palestinesi e manovre economiche per rafforzare l’Autorità palestinese. L’interesse del nuovo governo a rafforzare l’Autorità palestinese serve a prevenire lo scoppio di violenze in Cisgiordania e a indebolire Hamas. Ciò spiega perché è stato il ministro della Difesa a essere inviato a Ramallah, mentre Bennett e il ministro degli Esteri Yair Lapid non hanno in programma di incontrare Abbas. In realtà però questo incontro è stato fonte di tensioni tra Bennett e Gantz, accusato di aver richiamato l’attenzione sull’incontro, cercando di creare l'impressione che oltre a questioni economiche e di sicurezza, lui e Abbas avessero discusso di questioni diplomatiche e politiche. Il governo vuole assicurarsi che il presidente palestinese mantenga il controllo dell'apparato di sicurezza in Cisgiordania e, come parte della sua strategia in corso di “contenimento del conflitto” è interessato ad aiutare finanziariamente l’Autorità palestinese.

L'obiettivo principale di Gantz, quindi, è stato stabilire il meccanismo con cui il Qatar trasferirà gli aiuti alla Striscia di Gaza per garantire che il denaro raggiunga i beneficiari palestinesi bisognosi piuttosto che Hamas, come successo in passato.  Nella speranza di coinvolgere Abbas nel piano, Gantz ha portato con sé un impressionante pacchetto di benefit, tra cui: prestiti da 500 milioni di shekel (155 milioni di dollari) e permessi di costruzione nell’area C. Inoltre, Israele ha annunciato una serie di quelli che ha definito "passi civili" per alleviare le condizioni dei palestinesi, inclusa l'espansione della zona di pesca vicino a Gaza; permettendo ad altri 5.000 commercianti palestinesi di operare in Israele; e consentendo l’ingresso di più materiali da costruzione e altri 1,3 miliardi di galloni d’acqua a Gaza.

Questi colloqui non sembrano però aver migliorato la situazione politica del presidente palestinese, la cui popolarità e legittimità sono in declino in Cisgiordania a seguito del rinvio delle elezioni del maggio scorso e dell'uccisione da parte dei servizi di sicurezza del critico dell’Autorità palestinese Nizar Banat a giugno. Sul fronte gazawi, rimane in vigore il cessate-il-fuoco tra Israele e Hamas, iniziato il 21 maggio a seguito di 11 giorni di combattimenti. Tuttavia, Hamas è tornata a organizzare manifestazioni violente e a lanciare palloni incendiari dal confine; Yahya Sinwar, il leader dell'organizzazione a Gaza, vuole imporre concessioni a Israele senza pagare un prezzo pesante. Funzionari di Hamas e della Jihad islamica hanno affermato che le richieste delle fazioni si concentrano su questioni sia politiche sia umanitarie. Questa conclusione rivela quindi come l’operazione di maggio condotta dall’esercito israeliano non abbia raggiunto alcun obiettivo specifico. Vi è quindi il rischio di una ripresa dei combattimenti e Bennett deve essere consapevole della possibilità che l’audacia di Hamas possa trascinarlo in un’altra operazione militare in un momento in cui il suo governo non è ancora stabile.

[1] The Knesset, (https://main.knesset.gov.il/EN/mk/government/Pages/governments.aspx?govId=36)

[2]Amnesty International, (https://www.amnesty.org/en/latest/research/2021/07/forensic-methodology-report-how-to-catch-nso-groups-pegasus/)

[3] Il sistema statale di certificazioni kosher è stato un monopolio chiuso a lungo protetto dai partiti haredi Shas ed Ebraismo Unito della Torah, diventando così un terreno fertile per la corruzione e una fonte di frustrazione infinita per le industrie alimentari e dell'ospitalità israeliane. La certificazione garantisce che la struttura offre un servizio che rispetta le regole alimentari e non della kashrut.

[4] La nuova riforma indebolirebbe costantemente le restrizioni sulle quote di importazione sui prodotti agricoli e semplificherebbe i processi tramite l’adozione di standard europei per molte categorie di prodotti.

[5] Readout of President Joseph R. Biden, Jr.’s Meeting with Prime Minister Naftali Bennett of Israel, 27 agosto 2021, The White House, Statements and Releases, ( https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2021/08/27/readout-of-president-joseph-r-biden-jr-s-meeting-with-prime-minister-naftali-bennett-of-israel/)

[6] La vendita dei radar Phalcon di allerta aerea nel 2000 e l'accordo sui droni armati Harpy del 2005 sono stati appunto annullati.

[7] Bennett ha comunicato al re che Israele venderà al regno hashemita più acqua della quota prevista dall'accordo di pace bilaterale del 1994. La Giordania ha bisogno dell'accordo per far fronte a una consistente carenza d'acqua.

[8] B. Caspit, “New Israeli government on mission to rehabilitate ties with Jordan”, Al-Monitor, 20 luglio 2021.

[9] N. Toosi, “Biden to withhold, restrict some military aid to Egypt”, Politico, 13 settembre 2021.

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Anna Maria Bagaini
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