“L’Accordo del secolo di Donald Trump è la truffa del secolo”: non si è fatta attendere la replica palestinese al piano di pace per il Medio Oriente presentato ieri alla Casa Bianca. Con il passare delle ore, arrivano le reazioni da tutto il mondo.
Una proposta irricevibile. Una truffa ai danni di un intero popolo. Così il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha definito il piano di pace presentato ieri alla Casa Bianca da Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Proteste e manifestazioni di protesta sono in corso da ieri per le strade di Gaza e della Cisgiordania. “La città santa non è in vendita” ha stigmatizzato Abbas, in riferimento ai 50 miliardi di dollari di investimenti previsti per i palestinesi nel documento, che definisce Gerusalemme “capitale indivisa dello stato ebraico”. I palestinesi non solo soli – ripete – ma dai paesi arabi arrivano i primi distinguo: Egitto ed Emirati Arabi Uniti invitano a valutare la proposta, mentre la Giordania mette in guardia da un’annessione unilaterale della Valle del Giordano. A livello regionale, le condanne più dure arrivano da Turchia e Iran mentre il segretario Onu Antonio Guterres prende le distanze e ricorda che “ogni soluzione al conflitto deve passare per le risoluzioni del Consiglio di sicurezza”. A nome dell’Unione Europea, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Joseph Borrel, prende tempo e si riserva di “studiare accuratamente il piano” mentre da Londra, il segretario di stato del Commonwealth Dominic Raab parla di “una proposta seria, frutto di sforzi e ragionamenti ponderati”.
Ultimatum o ultima chance?
Questi i punti principali del piano di pace di Donald Trump, che lo ha definito “l’ultima possibilità” per i palestinesi di raggiungere la soluzione dei due stati:
Anche i coloni contrari?
Sul fronte israeliano però c'è che si oppone: Yesha Council, il consiglio delle colonie ebraiche, si è espresso contro il piano Trump, sostenendo che non accetterà mai l’esistenza di uno Stato palestinese, anche se demilitarizzato. "Non possiamo acconsentire a un piano che includa la formazione di uno Stato palestinese che costituirà una minaccia per lo Stato d'Israele e una minaccia più grande per il futuro", ha affermato David Alhayani, leader dello Yesha Council, esortando Netanyahu a respingere il piano. Un 'no' che pesa, considerando che minaccia di spaccare la coalizione della destra israeliana a meno di un mese dal voto del 2 marzo.
Annessione unilaterale?
Intanto Netanyahu ha annunciato che il suo governo procederà con l’annessione degli insediamenti. Una parte del piano - questa - che vede d'accordo tutti i partiti della destra israeliana. “Per anni la comunità internazionale ci ha minacciato di sanzioni, in caso avessimo applicato la legge israeliana nei territori della Cisgiordania” ha detto Netanyahu, che aggiunge: “Da oggi, con il riconoscimento degli Stati Uniti, non sarà più così”. Il premier israeliano ha spiegato che l'applicazione della sovranità avverrà in due fasi: dopo il voto alla prossima riunione di gabinetto, la legge israeliana verrà applicata alla Valle del Giordano, al Mar Morto settentrionale e a tutti gli insediamenti della Cisgiordania. Successivamente si procederà in tutti i territori circostanti. Gli insediamenti – illegali secondo il diritto internazionale – rappresentano circa il 30% dell’intero territorio della Cisgiordania.
E il mondo arabo islamico?
Alla presentazione del piano a Washington erano presenti le delegazioni di tre soli paesi arabi: Oman, Bahrein ed Emirati. Trump li ha ringraziati per “l’eccezionale lavoro svolto” ma nessuno dei tre ha formalmente riconosciuto il proprio sostegno al piano. Come fa notare il New York Times, l’annuncio del piano “è stato accolto dal silenzio delle capitali arabe”. Se Egitto ed Emirati hanno invitato i palestinesi a valutare bene la proposta, che “ripristina tutti i diritti legittimi del popolo palestinese attraverso la creazione di uno stato indipendente”, Iran e Turchia lo hanno bollato “il piano della vergogna” che è destinato a fallire. “Gerusalemme è sacra per i musulmani e non sarà mai ceduta” ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyep Erdogan. Una dura condanna è stata espressa anche dalla Giordania, che ha denunciato “l’annessione unilaterale dei territori palestinesi” da parte di Israele. “Un piano vergognoso” lo ha definito il partito sciita libanese Hezbollah, che si spinge oltre: “Non avrebbe mai potuto essere concepito – senza la complicità e il tradimento di alcune capitali arabe”.
Il dilemma di Ramallah?
Nel presentare il piano di pace, il presidente Trump ha ostentato fiducia nel fatto che i paesi arabi avranno un ruolo chiave per il suo successo. Ma nessuno degli alleati degli Stati Uniti nella regione ha finora formalmente approvato l’accordo che, tra le altre cose, accetta di riconoscere Gerusalemme, la terza città santa per i musulmani dopo Mecca e Medina, come capitale dello stato ebraico. E se alcune capitali arabe tacciono e altre nicchiano, Ramallah non è mai stata così sola. Il timore della leadership palestinese – come sottolinea Daoud Kuttab su Al Monitor – è che al di là del dono elettorale elargito da Trump al suo alleato, un piano così dettagliato possa diventare il nuovo punto di riferimento. Un superamento unilaterale di Oslo, da decenni unica road map per la pace.
Il commento
di Giuseppe Dentice, Associate research fellow Area mena, ISPI
“Di fatto il piano Trump accoglie le richieste israeliane, ignorando tutte le istanze palestinesi e costruendo una narrativa che individua tutte le responsabilità del successo o meno dell’iniziativa solo verso una parte. Non a caso il presidente USA ha parlato di ultima opportunità per la pace da con perdere solo in chiave palestinese.
“Una posizione che certifica per Washington anche la fine del gioco da honest-broker – sebbene non sia mai stato un attore perfettamente imparziale – per divenire principale azionista e sponsor in tale processo”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)