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Medio Oriente

Israele, Emirati e Bahrein: l’accordo di Trump

15 settembre 2020

Israele, Emirati e Bahrein firmano oggi alla Casa Bianca un “accordo storico”, come lo chiama Trump. Si formalizza la normalizzazione delle relazioni tra i paesi, e si riequilibrano i rapporti di forza in Medio Oriente, che il presidente USA sfrutta sempre più in campagna elettorale.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ospita oggi a Washington il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu e i ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e del Bahrein. La cerimonia alla Casa Bianca sugella quanto concordato tra Tel Aviv e Abu Dhabi, sempre con la mediazione statunitense, lo scorso 13 agosto: la normalizzazione dei rapporti tra lo stato ebraico e gli emiratini, a cui si è poi aggiunto il regno del Bahrein, piccolo arcipelago del Golfo. L’accordo sancisce così l’avvio di relazioni diplomatiche ufficiali portando a 4 gli stati del Medio Oriente che riconoscono Israele, dopo l’Egitto (1979) e la Giordania (1994). In cambio, Netanyahu tiene in stand by l’annessione dei territori in Cisgiordania, come sancito dal “piano del secolo”. Una firma “storica” – come ama presentarla Trump – che avrà valore soprattutto per gli scambi commerciali e gli investimenti nella regione, ma che rischia di scardinare i già fragili equilibri geopolitici mediorientali. In cima alla lista di chi “ha già vinto”, grazie all’accordo, c’è di sicuro il nome del presidente americano, che ambisce a un ruolo di peacemaker mondiale. Ruolo che sta cavalcando in previsione delle presidenziali del 3 novembre – come già dimostrato col dossier balcanico tra Kosovo e Serbia – e che gli è recentemente valsa la candidatura al Nobel per la pace.


Asse regionale contro l’Iran?

Oltre alle ricadute commerciali, l’accordo di oggi porterà in dote un aiuto a Israele a diminuire il suo isolamento nella regione. Per il premier Benjamin Netanyahu si tratta di una doppia vittoria. Mentre il suo paese si avvia – primo caso al mondo – a un secondo lockdown per combattere la pandemia da coronavirus, e con l’avvicinarsi del processo che lo vede accusato di corruzione, l’astro del premier israeliano brilla in politica estera, grazie all’allargamento dell’asse regionale contro l’Iran. Un nemico comune ad Abu Dhabi, e al Bahrein, paese retto da una monarchia sunnita ma dalla popolazione a maggioranza sciita, che Manama teme possa rivelarsi una quinta colonna di Teheran.

 

Palestina sempre più isolata?

Il minor isolamento di Israele sembra controbilanciarsi con l’aumento di quello della Palestina, e il naufragio definitivo della soluzione dei due stati. Alla luce degli eventi, il primo ministro palestinese Mohammed Shtayeh ha definito quella di oggi una “giornata nera” per la storia delle nazioni arabe e ha chiesto al presidente Mahmoud Abbas di riconsiderare le relazioni tra l’Autorità Palestinese e la Lega Araba, accusata di inerzia e tradimento. Il congelamento, forse solo temporaneo, del progetto israeliano di annessione dei territori in Cisgiordania non basta alla leadership palestinese, la cui causa – finora unica moneta di scambio per un riconoscimento di Israele da parte dei paesi arabi – perde smalto e attualità. Uno scenario che sembra ora sempre più inverosimile: la solidarietà internazionale per la causa palestinese si fa più debole, mentre si rafforzano gli assi contrapposti a livello regionale.

 

Trump, paciere internazionale?

La cerimonia di oggi avviene nella settimana in cui ricorre il 27esimo anniversario degli Accordi di Oslo del 1993, quando il presidente USA Bill Clinton mediò la pace – successivamente naufragata – tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Yasser Arafat. Una tempistica forse casuale ma ciò non toglie che il presidente Trump tenterà di presentare quello di oggi come successo diplomatico della sua amministrazione, mentre si entra nella fase finale di una campagna elettorale che al momento lo vede sfavorito per una rielezione alla Casa Bianca. Dopo la mediazione del “non-accordo” della settimana scorsa tra Kosovo e Serbia – che ha favorito, anche in quel caso, quasi esclusivamente Israele – Trump risfodera nuovamente la veste di paciere delle relazioni internazionali, enfaticamente indossata a partire dal suo “piano del secolo” per la questione israelo-palestinese. La mancata attuazione di quel piano, per ora solo posticipato, sembra esser stata convertita in una serie di accordi bilaterali, o trilaterali, come nel caso di oggi. Una carta, accompagnata dal jolly della nomination al Nobel, che il presidente Trump si giocherà in vista del 3 novembre, uno spartiacque per il futuro degli Stati Uniti ma anche per quello del Medio Oriente.

 

Il commento

Di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow

"Sebbene sia stato presentato in questo modo, quello firmato oggi non è un accordo di pace: in primo luogo perché i paesi in questione non sono mai stati formalmente in guerra; in secondo luogo perché non coinvolgendo la componente palestinese esso non rappresenta un avanzamento del processo di pace. È semmai la ratificazione dell’esistente, l’ufficializzazione di relazioni in corso da anni a livello non ufficiale. A fare da catalizzatore dell’allineamento in questi anni è stata una comune percezione dell’Iran come principale minaccia strategica, particolarmente forte nel caso di Israele."

 

*** 

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

 

 

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