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Commentary

Israele: i rischi della nuova legge sullo stato-nazione

Anna Maria Bagaini
28 luglio 2018

La Knesset del 18 luglio 2018 ha approvato la legge che, per la prima volta nella storia di Israele, definisce ufficialmente lo stato come "la casa nazionale del popolo ebraico". I membri del parlamento hanno approvato il disegno di legge con 62 voti favorevoli, 55 contrari e due astenuti.

La legislazione approvata è diventata una delle Basic Laws, leggi fondamentali, che, come una costituzione, guidano il sistema legale di Israele e, come sostengono i fautori del “nation-state bill”, ristabilirebbe un equilibrio tra il carattere ebraico e il carattere democratico dello stato. I critici, tuttavia, affermano che la legge risulterebbe discriminatoria nei confronti dei cittadini arabi di Israele e delle altre comunità minoritarie.

L'ebraismo, considerato dai padri fondatori come elemento fondante della nazione, è già menzionato in tutte le leggi del paese scandendo molti aspetti della vita privata e pubblica (incluso il matrimonio); mentre le 11 leggi fondamentali esistenti riguardavano principalmente istituzioni statali come la Knesset, i tribunali e il governo, la “Basic Law: Human Dignity and Liberty” definisce il carattere democratico di Israele (ripetendo fondamentalmente il contenuto della Dichiarazione di Indipendenza del 1948).

Il progetto di legge è stato presentato inizialmente dal membro della Knesset del partito Likud Avi Dichter nel 2014, ma, a fronte delle numerose critiche, era stato archiviato, superando la sua prima lettura alla Knesset solo nello scorso maggio. Il progetto di legge che il parlamento ha votato è però fondamentalmente diverso dalla versione che la coalizione di Netanyahu aveva cercato di avanzare in precedenza: inizialmente infatti, il disegno di legge intendeva limitare significativamente la discrezionalità delle decisioni della Corte Suprema, cercando di far prevalere il principio dell’ebraicità dello stato rispetto al criterio di democraticità. Nel testo recentemente approvato invece non vi è traccia di tale punto.

Chiamata “The Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People”, essa definisce in modo quasi-costituzionale, un insieme di valori che stabiliscono Israele come patria storica della nazione ebraica. La legge include anche clausole che dichiarano una "Gerusalemme unita" quale capitale di Israele e che sottolineano l'importanza dello "sviluppo degli insediamenti ebraici come valore nazionale".

Controverso anche il passaggio che individua l'ebraico come "la lingua dello stato", assegnandogli priorità rispetto all'arabo (a cui viene attribuito uno "status speciale"), riconosciuto per decenni come lingua ufficiale accanto a quella ebraica.

La definizione dello status di Israele come stato ebraico è stata sempre  oggetto di un intenso dibattito tra le diverse componenti della società e della politica ebraica, in quanto strettamente legata alla definizione identitaria dello stato stesso. Sembrerebbe che, in questo momento storico, alcuni partiti politici israeliani percepiscano sotto attacco in particolare uno dei principi fondanti di Israele, in quanto stato per gli ebrei: la minaccia arriverebbe dall'alto tasso di natalità degli arabi israeliani, nonché dalle possibili alternative alla “two-state solution” che potrebbero sfidare la maggioranza ebraica di Israele, stimolando la necessità di rinforzare l'ebraicità di Israele, ribadendola con una legge.

Inoltre, negli ultimi anni, la questione di Israele come stato ebraico è diventata sempre più punto chiave della controversia chiave tra Israele e i palestinesi; infatti, il premier Benjamin Netanyahu ha ripetutamente insistito sul fatto che l’Autorità Nazionale Palestinese riconosca il carattere ebraico dello stato, come requisito di un futuro accordo di pace definitivo. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha costantemente ribadito che i palestinesi hanno da tempo riconosciuto lo Stato di Israele, mettendo un punto alle ulteriori aspettative del primo ministro israeliano.

Ma l’approvazione di questa Basic Law è altrettanto importante perché ridefinisce simbolicamente (e non solo) i rapporti tra le diverse componenti della società israeliana, in particolar modo con i cittadini arabi, i quali percepiscono questa legge come un ulteriore peggioramento del loro status: infatti, gli arabi israeliani rappresentano circa il 20% dei nove milioni di abitanti del paese, hanno diritti uguali ai sensi della legge, ma hanno sempre espresso il proprio disagio nel percepire di essere trattati come cittadini di seconda classe quando si tratta di accesso a servizi quali istruzione e sanità. Le associazioni e le ONG in difesa dei diritti civili hanno denunciato pesantemente la legge, descrivendola come discriminatoria e razzista.

A sostegno delle critiche verso questa legge è intervenuto il presidente Reuven Rivlin tramite una lettera indirizzata ai membri della Knesset, nella quale afferma come tale norma "potrebbe danneggiare il popolo ebraico, gli ebrei di tutto il mondo e lo Stato di Israele, venendo persino usata come arma dai nostri nemici". I timori di Rivlin si sono concentrati sulle modalità in cui, alcune clausole contenute nel testo potrebbero spezzare i "delicati principi costituzionali" di Israele e vanificando gli sforzi compiuti dai precedenti legislatori per prevenire la discriminazione delle minoranze.

Il leader della Zionist Union, Avi Gabbay, ha scritto su Twitter sostenendo la posizione del presidente, definendolo "statista onesto che non ha dimenticato i valori su cui è stato fondato lo stato".

Le proteste più furiose durante il dibattito alla Knesset sono state espresse dai deputati appartenenti alle formazioni politiche arabe: Jamal Zahalka, membro della Joint Arab List, ha strappato il testo di legge, mentre il suo collega di partito Ahmad Tibi ha affermato: "Dichiaro con stupore e dolore la morte della democrazia ... I funerali si terranno oggi durante la seduta plenaria". Tzipi Livni (Zionist Union) si è unita alle critiche, esprimendo le perplessità dell’opposizione in merito ai motivi reali dell’approvazione della legge.

Per contro, il primo ministro Netanyahu ha espresso la sua soddisfazione e quella dei suoi collaboratori: "Abbiamo sancito nella legge il principio fondamentale della nostra esistenza, Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico, che rispetta i diritti individuali di tutti i suoi cittadini. Questo è il nostro stato - lo stato ebraico." Una solitaria voce di dissenso si è levata però dal Likud, quella del deputato Benny Begin (che si è astenuto insieme a Orly Levy-Abekasis, lista indipendente), affermando che: “La legge non è quello che si aspettava dal suo partito” avvertendo che potrebbe aumentare le tensioni sociali e rafforzare il nazionalismo estremo.

A qualche giorno di distanza dalla sua approvazione, sembrerebbe che il “nation-state bill” stia ottenendo gli effetti paventati dallo stesso Benny Begin, riaccendendo un dibattito interno (mai sopito) tra le diverse anime di Israele per la definizione identitaria dello stato e per la conseguente determinazione dell’equilibrio tra l’ebraicità e la democraticità dello stato, proporzione fondamentale per comprendere come Israele intenderà impostare le relazioni con i principali interlocutori regionali e internazionali.

 

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI

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ISPI senior advisor

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AUTORI

Anna Maria Bagaini
Università Cattolica del Sacro Cuore

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