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Il voto

Israele: la rivincita di Netanyahu

02 novembre 2022

La più alta affluenza ai seggi da decenni consegna a Netanyahu le chiavi per il ritorno al potere. Successo dell’ultradestra religiosa.

Dei tanti soprannomi che gli hanno affibbiato in 20 anni di ribalta, “il Mago” è forse quello più indovinato. E la sua più grande ‘magia’ Benjamin Netanyahu l’ha fatta uscire dalle urne, che lo riportano al centro della scena politica israeliana dopo appena un anno di opposizione. A scrutinio ormai completato, il suo partito, il Likud, risulta di gran lunga il più votato, mentre la coalizione di destra ottiene 65 seggi su120, quattro in più di quelli necessari per formare una maggioranza di governo. Yesh Atid, il partito centrista del primo ministro uscente Yair Lapid arriva secondo con 25 seggi, mentre il cartello elettorale di estrema destra formato da Potere Ebraico e dal Partito Sionista Religioso conquista un inedito terzo posto con 15 seggi. Un risultato clamoroso, considerato che le due formazioni fino alle scorse elezioni erano ai margini della vita politica e potevano contare su pochissimi parlamentari, mentre da domani potranno rivendicare il ruolo di ‘ago della bilancia’di una nuova maggioranza. “Siamo vicini a una grande vittoria” ha detto Netanyahu ai suoi sostenitori riuniti a Gerusalemme. Dopo una notte di conteggi e colpi di scena, spetta ora al presidente Isaac Herzog avviare le consultazioni: il nome in cima alla lista è ancora una volta quello del premier più longevo della storia di Israele.

Referendum su Netanyahu?

Come per le quattro precedenti elezioni dal 2019 ad oggi, anche il voto di ieri è stato un referendum su Benjamin Netanyahu. L’ex premier vince le elezioni nonostante i processi per frode e corruzione in cui è imputato e che ora – grazie ad un nuovo incarico istituzionale – potrebbero essere sospesi. Unità nazionale, il nuovo partito del ministro della Difesa Benny Gantz, che alcuni anni fa aveva sfidato Netanyahu con il suo partito ‘Blu e Bianco’, ha ottenuto 12 seggi. Ma a favorire il successo del blocco di destra è stata la cattiva performance dei partiti arabi che tra disillusione e divisioni hanno in parte sprecato il voto dei cittadini palestinesi di Israele, che pur costituendo il 20% della popolazione israeliana faticano a trovare rappresentanza sulla scena politica. Il partito Tajammo/Balad, sceso in campo da solo, mancherà per pochi voti l’ingresso in Parlamento. E se i partiti arabi hanno di che avvilirsi anche la sinistra non ride: il Partito Laburista ha ottenuto 4 seggi, la sinistra di Meretz non entrerà in parlamento. Il risultato – osservano oggi diversi commentatori – potrebbe portare al governo più a destra della storia di Israele. Le premesse non sono incoraggianti: a un giornalista di Channel 11 che gli ha chiesto cosa rispondesse alla sinistra e agli arabi che si dicono preoccupati per l’ascesa del suo partito, Itzhak Waserlauf, esponente del partito di Ben-Gvir ha risposto sena mezzi termini: “Dovrebbero continuare a preoccuparsi”. 

 

Ha vinto l’affluenza?

A prescindere dai risultati, il dato più eclatante di questa tornata è stato comunque quello dell'affluenza: ha votato oltre il 71% degli elettori, il dato più alto dal 1999 e di sei punti superiore alle elezioni dello scorso anno. Consci dell'impasse politica che paralizza il paese, tutti i partiti avevano ripetutamente invitato gli elettori a recarsi ai seggi. Ma ad intestarsi il successo di un’affluenza record è senz’altro Itmar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Potere ebraico, che ha convinto a recarsi ai seggi chi in precedenza non aveva votato e che ha saputo attrarre i voti di chi in passato aveva sostenuto altri partiti di destra, come Yamina dell’ex premier Naftali Bennett e New Hope dell’ex alleato di Bibi Gideon Sa’ar. A dirlo sono i numeri: il Likud di Netanyahu con i suoi 33 seggi è più che altro una conferma, mentre Yesh Atid pur avendo ottenuto il miglior risultato di sempre ha‘rubato’ai partiti di sinistra Labor e Meretz e non è riuscita ad attirare nuovi consensi. La veranovità è rappresentata dalla voce che più si è sentita durante la campagna elettorale, capace di sovrastare persino quella di Netanyahu. È quella dell’ultradestra religiosa che – da domani – presenterà il conto al premier in pectore.

 

Bibi ostaggio della destra?

Ora che i risultati sono più o meno definiti (il risultato finale è atteso per venerdì) bisognerà vedere se la coalizione di destra si trasformerà in maggioranza di governo e quali concessioni il premier sarà disposto a fare in fase di negoziato. Ben-Gvir ha già svelato le sue carte e ha detto che vorrà tenere per sé il ministero della Pubblica sicurezza, mentre il suo alleato Bazel Smotrich vorrebbe la Difesa. Sono ministeri importanti ovunque, ma in particolar modo in uno stato come Israele, soprattutto se concessi a chi, come Ben Gvir, è stato accusato 46 volte per fomentazione di disordini, vandalismo, istigazione al razzismo e sostegno a una organizzazione terroristica, e condannato otto volte, e che ha più volte esortato le forze dell’ordine a sparare ai manifestanti palestinesi dentro Israele e in Cisgiordania. Ma considerato il fatto che i due schieramenti si sono detti pronti a depenalizzare la frode e ad aiutare Netanyahu a fronteggiare i suoi numerosi guai con la giustizia, non è detto che non ottengano ciò che chiedono. Una situazione che desta preoccupazione anche all'estero e che ha portato un funzionario dell’amministrazione americana di Joe Biden a dire al quotidiano conservatore Israel Hayom che Ben-Gvir è “una persona che non vogliamo vedere al governo”. Se fosse attuato – riferisce Axios – “il boicottaggio di un ministro israeliano da parte degli Stati Uniti rappresenterebbe uno sviluppo senza precedenti nelle relazioni bilaterali”.

 

***

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications.

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