In Israele si è accesa la miccia di una Terza Intifada? | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • CONTATTI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary
In Israele si è accesa la miccia di una Terza Intifada?
03 luglio 2014

Da Gerusalemme

Due molle pronte a scattare. Una israeliana, l'altra palestinese. Due molle pronte a scattare, una contro l'altra. Sempre che non si inceppino. La tensione che si respira a Gerusalemme è anomala. La Spianata delle Moschee è stata chiusa per ragioni di ordine pubblico. Nella Città vecchia il numero di poliziotti, militari e responsabili della sicurezza (in borghese) è aumentato a dismisura e all'improvviso. Gli scontri del pomeriggio a Shufat (Gerusalemme est) - a seguito del ritrovamento del cadavere di Mohammed Abu Khdair, giovane palestinese, ucciso non si sa come - hanno generato un'eco di nervosismo che ha coinvolto anche gli stranieri. «È la terza Intifada», dicono i camerieri ai turisti, i quali corrono a rifugiarsi in hotel. È troppo presto per fare previsioni. Tuttavia è evidente che le cose possono davvero peggiorare. A sera la città è mezza vuota. Le moschee sono chiuse. I musulmani, invece di celebrare in strada la rottura notturna del digiuno, di precetto del Ramadan, restano in casa. Così pure i turisti, protetti dalle siepi dell'American Colony.

Ma le molle che possono scattare, o incepparsi per prime sono quelle politiche. Governo israeliano, Autorità palestinese (Anp), Hamas, non c'è protagonista di questa ennesima crisi che non rischi di essere screditato. Netanyahu potrebbe infatti decidere per un intervento militare a Gaza, contro Hamas. In reazione alla morte dei tre giovani di Hebron. E quindi intensificando nuovamente un conflitto che da sempre cuoce a fuoco lento. Oppure potrebbe scegliere la strada della "moderazione". Vale a dire dando l'ok a nuovi insediamenti in Cisgiordania. In questo caso a danno dell'Anp. Sarebbe anch'essa una provocazione, ma se non altro si eviterebbero morti e feriti. Forse. Il problema è che il via Netanyahu non può darlo finché non è chiaro chi abbia ucciso Khdair. È infatti qui che la molla israeliana può incepparsi. Perché se gli inquirenti dicono che il giovane è morto a seguito di un regolamento di conti interno alla criminalità organizzata, oppure è stato eliminato perché omosessuale - due tra le tante ipotesi - c'è il rischio che la piazza palestinese li accusi di aver manipolato il caso in proprio favore, non volendo ammettere che invece Khdair è stato ucciso da israeliani fanatici. Se invece é così, e cioè che la morte del palestinese è una vendetta ricollegabile al dramma di Hebron, la cosa è davvero grave. Si tratterebbe di un preoccupante episodio di giustizia sommaria di piazza. Vorrebbe dire che, in seno all'opinione pubblica israeliana - nota per essere spesso più lungimirante dei propri rappresentanti politici - starebbe fermentando un humus di estremismo, incontrollabile da parte del governo. Significherebbe che Netanyahu è screditato agli occhi dei suoi stessi elettori. Del resto non è necessario essere a Gerusalemme per percepire le provocazioni e gli strali vendicativi lanciati sui social network da alcuni membri di Bnei Akiva, movimento sionista di portata mondiale. Forse quella vendetta di cui chiedono soddisfazione pochi ebrei è un fenomeno isolato. Tuttavia Haaretz mette in guardia dal non sottovalutare la situazione. E a pensarci bene, la molla israeliana è già inceppata. Morto Khdair, a prescindere da qualunque sia stata la causa, un intervento del governo Netanyahu passerebbe ormai come smisurato. Agli occhi dei palestinesi quanto dell'Occidente.

D'altra parte sul versante palestinese nessuno può permettersi di ridere dei problemi in casa del nemico. L'Anp di Abu Mazen conferma la sua caduta libera in termini di gradimento interno, di credibilità diplomatica e soprattutto in qualità di soggetto mediatore nelle crisi e di prevenzione di sequestri di civili innocenti. I morti di Hebron sono di responsabilità dell'Anp, che avrebbe dovuto evitarne il rapimento e l'uccisione. L'Anp si picca di essere una vera e propria forza di governo, con a disposizione un apparato di sicurezza. È evidente che la macchina dello stato dell'Anp questa volta - e non solo questa volta - non ha funzionato per nulla.

E Hamas? Quella del movimento islamico è la seconda molla pronta a scattare, come pure a rischio d'inceppamento. La minaccia di "aprire le porte dell'inferno", come ha detto il portavoce di Hamas, Sami Abu Zurhi, nel caso di guerra da parte d'Israele, va presa seriamente. Tante sono le tensioni che si sono accumulate nell'arcipelago dei movimenti e delle milizie palestinesi, che nessuno può prevedere quale sarebbe la reazione a un "Piombo fuso Secondo Atto". Tuttavia, Hamas non può lavarsi le mani del sangue di Hebron. Dal momento che millanta di controllare tutti i gruppi armati, milizie, cellule e unità combattenti (e terroristiche) palestinesi, la reazione di Khaled Meshal e compagni è irricevibile. «Noi non lo sapevamo», dicono loro. Ma questo Hamas non può affermarlo. Perché delle due l'una. O controlla tutti, e allora sa che a Hebron c'è qualche agent provocateur che sequestra minorenni israeliani e poi li uccide. Oppure c'è qualche cane sciolto che Hamas non riesce a tenere a bada e che innesca micce di conflitto tra Israele e i Territori. 

A sera, timori, suggestioni, teorie e dubbi non trovano soddisfazione. E nemmeno vengono confutati. Nei vicoli vicini alla Città vecchia un gruppo di ragazzini si diverte a far esplodere un raudo sotto una macchina. Dietro l'angolo i poliziotti israeliani potrebbero scambiare il botto per un'esplosione. Non c'è un adulto, una persona di buon senso che potrebbe farli smettere? C'è qualcuno che dica ai bambini che non si scherza con il fuoco?

Antonio Picasso, giornalista freelance

Ti potrebbero interessare anche:

Dai sommergibili ai barchini: la battaglia navale in Medio Oriente
Guido Olimpio
Corriere della Sera
Israele: un’altra crisi
Marocco e Israele: distensione in Medio Oriente
La normalizzazione in Medio Oriente
Pace “fredda” in Medio Oriente
Un’altra pace senza pace?
Ugo Tramballi
ISPI

Tags

Israele Benjamin Netanyahu Anp Hamas Intifada attentati
Versione stampabile
Download PDF

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157