Apparentemente, è il più ignorato degli attesi protagonisti del caos mediorientale. I qaidisti di Jabhat al-Nusra non lo menzionano mai; nei proclami dello Stato Islamico è molto più citata la conquista di Roma che la “liberazione” di Gerusalemme; Bashar al-Assad ha ormai altri problemi, ed è scomparso dalla retorica e dalla propaganda arabe che per oltre mezzo secolo lo avevano usato per raccogliere facili consensi popolari. Ma della Grande Guerra per la conquista del Levante, Israele resta il convitato di pietra.
La geografia non può mentire. Giusto oltre il confine del Sinai, a sud d’Israele, le autorità egiziane non riescono a eliminare l’autoproclamata versione locale del Califfato islamico. Accanto c’è Gaza nella quale Hamas sta lentamente diventando il nemico col quale trattare una tregua, sia pure per interposto Qatar: nel sud della Striscia si segnala una crescente attività salafita che già contende il consenso ad Hamas. Prima o poi, nel vuoto di una ricostruzione inesistente e di una situazione economica sempre più disperata, potrebbe avere successo.
I confini settentrionali d’Israele sono ancora più caldi. Hezbollah è ora impegnato nella guerra civile in Siria e sulle montagne libanesi. La milizia del partito sciita è altrove ma nel suo heartland, il confine meridionale con Israele, gli arsenali sono pieni di missili tenuti da parte per Israele: la loro gittata può andare oltre Tel Aviv. Accanto c’è la Siria. Nella regione del Golan Jabhat al-Nusra controlla più villaggi e posizioni strategiche dell’esercito di Bashar al-Assad. I qaidisti sono a due chilometri dal confine e se non vi arrivano è solo perché Israele ha implicitamente creato una zona cuscinetto che al-Nusra si guarda dal violare. E come ai tempi delle invasioni barbariche nell’impero romano, dietro le milizie qaidiste premono quelle di IS.
Israele vigila. È molto probabile che i suoi servizi segreti conoscano la situazione sul campo in Siria più di americani, russi e iraniani. Intanto però alla categoria minacce, il pericolo numero uno resta quello di sempre, da molto prima che all’orizzonte apparissero qaidisti e IS: Iran/Hezbollah, intendendo che se esistono i secondi è perché servono agli iraniani. Per il vertice politico e della sicurezza nazionale israeliana le altre minacce sono indicate nella generica classificazione di “arcipelago islamista”: si tratti di al-Qaida, del Califfato o di qualsiasi altra milizia jihadista. Con al-Nusra in Siria gli israeliani hanno una trattativa informale per far funzionare una specie di reciproca neutralità. A volte i guerriglieri feriti vengono ricoverati negli ospedali militari del nord d’Israele. In ogni caso sia i qaidisti sia il Califfato hanno altre priorità, il “nemico sionista” è un lontano avversario della loro jihad che ha come obiettivi gli sciiti e le minoranze del mosaico religioso ed etnico del Levante.
Nella guerra civile siriana che in qualche modo coinvolge il Libano, Israele interviene solo chirurgicamente: bombarda quando siriani e iraniani tentano di rifornire Hezbollah con missili terra-aria capaci di alterare la superiorità strategica della sua aviazione. Sa che ora nel sud del Libano Hezbollah non ha forze terrestri sufficienti per riprendere la guerra rimasta in sospeso dal 2006. Ma gli israeliani sono ugualmente preoccupati perché nel conflitto civile siriano in difesa del regime di Bashar al-Assad, Hezbollah sta acquisendo nuove esperienze militari ed è stato rifornito dagli iraniani di armi più potenti e sofisticate del suo antico arsenale. Combattendo per il regime siriano, gli sciiti libanesi stanno combattendo per la loro sopravvivenza politica e militare. Ma queste nuove capacità potrebbero un giorno essere usate sullo storico fronte israeliano.
A dispetto di ciò che potrebbe far presumere il caos attorno alle sue frontiere, dal punto di vista della sicurezza, Israele è in una condizione quasi ideale. Non è un paradosso: è realpolitik. Le priorità regionali di arabi e iraniani hanno anche reso superflua la questione palestinese nelle equazioni dei suoi vertici politici e militari. Hamas è militarmente debole e l’Autorità palestinese di Ramallah è politicamente irrilevante. Ma gli israeliani sanno per esperienza che nella regione ogni status quo è sempre a tempo determinato.