Italia-Europa: quando la politica "estera" non basta | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary

Italia-Europa: quando la politica "estera" non basta

Antonio Villafranca
10 luglio 2013

Parlare di politica “estera” italiana nei confronti dell’Ue rischia di essere quanto meno fuorviante. Moltissime politiche che tradizionalmente vengono considerate “nazionali” – come ad esempio le politiche di bilancio – sono ormai strettamente vincolate (se non addirittura imposte) nelle loro procedure, tempistiche e finalità dalle Istituzioni di Bruxelles. Le relazioni con l’Ue sono talmente strette e variegate che non possono esaurirsi all’interno di un tradizionale schema di politica estera; per quanto si possa provare, quest’ultimo risulterà sempre troppo angusto per accoglierne la complessità. La crisi economica ha reso tale processo ancora più intenso e invasivo. Infatti negli ultimi anni sono state fissate nuove regole – soprattutto in tema di governance economica – che prima dello scoppio della crisi sarebbero state bollate come mere illusioni. La vera sfida per ciascun paese membro è quella di riuscire a essere incisivi nel processo che porta alla definizione di queste regole, utilizzando uno schema decisamente più partecipato, flessibile ed innovativo di quello normalmente utilizzato per la politica estera. Da questo punto di vista il successo o meno di uno stato europeo dipenderà sempre più dalla sua capacità di far convergere su questo nuovo schema una serie di input e preferenze nazionali che vengono raccolte non solo da vari ambiti decisionali (da quello fiscale a quello energetico, da quello industriale a quello dell’istruzione), ma anche da diversi livelli di governo (data ad esempio l’importanza per le Regioni italiane delle politiche e dei fondi europei). 

Per forza di cose, soprattutto nell’ultimo anno la presa di coscienza di tutto ciò è stata notevole anche in Italia. La questione della credibilità in Europa e nel resto del mondo è divenuta un punto centrale della politica economica italiana, nella consapevolezza che ogni recupero in tal senso si trasforma in forza contrattuale relativamente maggiore a Bruxelles e, ancora più concretamente, in una riduzione dello spread tra i titoli italiani e i Bund tedeschi. In quest’ottica va letta l’accettazione delle politiche di austerity imposte dalla visione tedesca mediante il Six Pack, il Fiscal Compact e, più recentemente, il Two Pack. L’urgenza legata al riacquisto di credibilità non ha riguardato ovviamente solo l’Italia al punto che tutti i paesi europei con poche eccezioni (come la Gran Bretagna e la Repubblica Ceca in merito al Fiscal Compact) hanno adottato queste misure. Ma proprio l’urgenza ha fatto sì che queste venissero prese non solo senza un disegno preciso su cosa chiedere in cambio, ma anche senza una cornice più ampia entro cui inserire tale disegno. In questo senso l’introduzione dei fondi salva-stati – lo European Financial Stability Facility prima e lo European Stability Mechanism dopo – è stata dettata proprio dall’urgenza e non tanto dalla identificazione di uno schema solidaristico europeo entro cui inserire tali fondi. Allo stesso modo possono leggersi le pur importantissime iniziative della BCE, come il LTRO, che non hanno però sciolto il nodo essenziale della revisione dei poteri e degli obiettivi della BCE stessa. Volendo generalizzare ancor di più, si è accettata l’austerity senza aver avuto il tempo e la possibilità di inserirla all’interno di un modello capace di indicare il suo contributo al ritorno alla crescita. Il risultato, questo sì in una tradizionale logica di politica estera, è che dopo lo scoppio della crisi ci si è trovati a dover riconoscere l’accresciuto potere tedesco e le sue ricette di politica economica. Ma soprattutto si è dovuto accettare che tale potere si traducesse in una leadership tedesca intermittente, capace di risultare chiara e netta quando si tratta di rigore di bilancio, opaca quando si tratta di meccanismi solidaristici (basti pensare alla recente posizione tedesca di limitare a non oltre 60 miliardi di euro la capacità dello EMS di ricapitalizzare direttamente le banche) e pressoché assente quando si tratta di indicare nuovi sentieri di crescita (stante l’inconsistenza del Growth Compact e la portata limitata dei fondi ottenuti, anche grazie alle pressioni italiane, dalla rinegoziazione del bilancio Ue a fine giugno). 

Dinamiche simili possono rinvenirsi anche fuori dal campo economico. Lo sviluppo del Servizio Europeo per l’Azione esterna (SEAE) non è riuscito finora a garantire l’attesa maggiore efficienza all’attività diplomatica europea, nonostante i recenti successi nelle relazioni fra Serbia e Kosovo, nell’impulso a una serie di riforme in Birmania e nel coordinamento delle operazioni anti-pirateria in Somalia. 

Ma se veramente la fase più critica della crisi è stata superata, si aprono finalmente nuovi spazi per un’azione italiana più incisiva, soprattutto se improntata ad una visione della propria politica “estera” in Europa più lungimirante ed inclusiva.

In questo senso andranno lette le posizione che l’Italia dovrà prendere in merito ad alcune questioni chiave. 

È ad esempio interesse italiano che l’attuale negoziazione sull’unione bancaria vada in porto e che si spinga ben oltre la supervisione comune affidata alla BCE, individuando un percorso e una tempistica chiara anche in merito alle regole comuni di risoluzione delle crisi bancarie e alla garanzia dei depositi. È infatti fondamentale per un investitore extra-Ue sapere che il suo deposito verrà garantito allo stesso modo in ogni paese membro, e che non si verificheranno più casi come quello cipriota.

Un’altra questione chiave è rappresentata dalla “Transatlantic Trade and Investment Partnership” la cui negoziazione è stata appena avviata con il governo Usa. Non si può pensare che sia funzionale all’interesse nazionale il favorire questo o quel settore (come nel caso dell’audiovisivo su cui nei mesi scorsi si è già esposta la Francia e, in misura minore, anche l’Italia), quando è chiaro che il contributo che tale accordo può dare alle prospettive di crescita dell’Italia e dell’Ue nel suo complesso dipende proprio dalla portata dell’accordo stesso. 

Ma ciò su cui maggiormente si misurerà il successo dell’azione italiana nei prossimi mesi è il rilancio dell’integrazione politica ed economica in Europa. Sarebbe necessario che l’Italia avesse una chiara posizione in merito e che, facendo perno su tale posizione, riuscisse ad aggregare il consenso di altri paesi partner. A tal fine, il punto di partenza potrebbe essere rappresentato dalle proposte già avanzate dalla Commissione europea (“Per una più piena un’unione monetaria”) e dai 4 presidenti (Eurogruppo, Ue, Commissione, BCE) nei mesi scorsi. Ma bisognerebbe anche avere il coraggio di spingersi oltre e far emergere alcune incongruenze che al momento non vengono sufficientemente ponderate. Tra queste c’è anzitutto la questione del referendum inglese sulla membership europea promesso dal premier Cameron. Qualunque sia l’esito di questo referendum – se mai si farà – rimane il problema della pressante richiesta del “rimpatrio” di alcune competenze da Bruxelles proveniente anche da altri paesi che non adottano l’Euro. Si pone inoltre il problema dell’adesione all’Ue di nuovi paesi, come la Serbia e la Turchia, di cui l’Italia è da sempre un grande sponsor.  

Questioni sulle quali sarebbe bene che la posizione italiana si fondasse sul riconoscimento che l’ulteriore salto in avanti nel processo di integrazione europea potrebbe risultare utile, ma irrealizzabile per l’intera Ue (a 28, 30 o più paesi), mentre risulta assolutamente necessario per l’Eurozona per fare sì che la moneta unica funzioni a pieno regime. In sintesi, dunque, se davvero la fase più acuta della crisi – e con essa anche il periodo delle decisioni d’urgenza – sarà passata nei prossimi mesi, le occasioni per l’Italia per tornare a essere propositiva e perseguire al meglio il proprio interesse nazionale non mancheranno, nella consapevolezza che ormai le questioni europee vanno viste sempre più come questioni di vera e propria politica “interna”.

Antonio Villafranca, ISPI Senior Research Fellow
Vai al Dossier: Politica estera italiana: credibilità e influenza in tempo di crisi

Ti potrebbero interessare anche:

Vertice Nato: il baratto
UE: clima d'intesa
Nato:il vertice della svolta
Vertice NATO: l'alleanza mostra il fianco (sud)?
Cosa resterà di questo G7? Il Summit in 5 highlights
Davide Tentori
ISPI
,
Matteo Villa
ISPI
,
Antonio Villafranca
ISPI
Mosca e la guerra d'attesa all'Occidente
Ugo Tramballi
ISPI Senior Advisor

Tags

Italia Europa Crisi unione bancaria Politica estera titoli di stato Bce politica economica
Versione stampabile
Download PDF

Autori

Antonio Villafranca
Senior Research Fellow

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157