Che differenza corre tra un politico e un tecnico? Meglio, tra la politica fatta da un politico e quella fatta da un tecnico? Come spessissimo capita, dipende da dove guardi. A prima vista: un politico è uno che pensa per prima cosa alle possibili conseguenze elettorali del suo operato. Di contro, un tecnico che fa politica compie la scelta che gli pare più appropriata senza curarsi delle ricadute elettorali.
Tralasciamo le figure intermedie, che pure esistono e teniamoci ai tipi puri. In realtà, il tipo puro di politico, compie scelte finalizzate al consenso elettorale, ma ha comunque in testa qualcosa. Ha una visione del mondo, ha dei valori, nutre le sue brave passioni, ha interessi che tutela, e che deve contentare per cavarne benefici elettorali – o risorse finanziarie funzionali a essi – ma anche perché quello è il suo mondo e quello in cui crede. Non solo, ma un politico minimamente responsabile ha dei tecnici che lo consigliano. Le scelte che gli tocca compiere non sono semplici e qualche competenza gli serve. Se guardiamo nella testa di un tecnico, solo in parte troveremo cose diverse. Il suo mondo è di regola più circoscritto di quello di un politico. E diverse sono le sue frequentazioni. Un politico frequenta altri politici, oppure frequenta gli iscritti al suo partito, o i suoi elettori. Un tecnico frequenta altri tecnici. Uno studioso altri studiosi. Uno studioso di economia, impegnato nel dibattito pubblico, interagisce magari con gli imprenditori o coi banchieri più che un politico e con uno spirito un po’ diverso. Se però andiamo al sodo, quando si affrontano i problemi del governo, quella che con un po’ di approssimazione possiamo definire la “scienza del governo” di cui si avvalgono l’uno e l’altro è più o meno la stessa. Tutto sta a come questa scienza si combina con la personalità di ciascuno – tecnico o politico che sia – e con le urgenze elettorali che condizionano il politico, ma non il tecnico.
Proviamo ad applicare questo schema. La scienza del governo applicata dagli ultimi tre governi della Repubblica – Prodi, Berlusconi, Monti – è più o meno la stessa. Riduzione delle spese, risanamento finanziario, privatizzazioni e compagnia cantando. A sovrastare la ricetta c’è una comune ortodossia neoliberale, che ha rimpiazzato la vecchia ortodossia keynesiano-welfarista, che tuttavia non esclude la possibilità di variare, e parecchio, l’applicazione della ricetta.
A far variare le ricette sono ovviamente le figure dei tre leader: diversi per temperamento, cultura e valori. Diversi in ragione degli interessi di riferimento e degli schieramenti che li sostengono. Prodi e Berlusconi si rivolgevano a bacini elettorali diversissimi, mentre Monti di bacino elettorale non ne ha. In compenso, ha una maggioranza, a dir poco anomala, ma che ha le sue brave urgenze elettorali. Possiamo aggiungere ancora che se Prodi e Berlusconi sono tra loro più prossimi in quanto sono a lungo andare diventati dei politici, Berlusconi e Monti sono più vicini sul piano delle frequentazioni. Berlusconi ha ancora interessi imprenditoriali e non lo nasconde, Monti è stato a lungo il rettore dell’ateneo degli imprenditori, è stato nel Cda della Fiat, è stato commissario europeo alla concorrenza, è ben connesso ai milieux bancari e via di seguito. Rivelatore è quanto lui stesso ha detto in Parlamento, rivolgendosi al centrodestra: «il mio governo sta facendo le cose che voi avreste dovuto fare.
Se al momento di operare la differenza fondamentale sta solo nel dosaggio della ricetta, la distanza siderale che nei pubblici umori separa i politici dai tecnici, si ridimensiona non poco. Perché allora i politici hanno abdicato a favore di un tecnico? La risposta è complessa, ma non complicata. I politici non riuscivano più a governare. La maggioranza di Berlusconi si era sbriciolata e mancava una maggioranza alternativa. La cosa più ovvia sarebbe stata quella di andare a votare: o per rinsaldare la maggioranza sbriciolata, o per costituirne una nuova. Il pesante assedio con cui l’Italia è stata stretta dai mercati – sulle cui ragioni molto ci sarebbe da riflettere – hanno scoraggiato il ricorso alle urne. Si è dovuto approntare una soluzione di emergenza.
In altri tempi – chi ricorda i governi balneari o di tregua del buon tempo andato? – si sarebbe cercato un politico un po’ fuori dai giochi. Stavolta non è stato possibile per almeno tre ragioni. La prima è che la democrazia bipolare ha infuocato i rapporti tra le forze politiche. Non c’erano le condizioni di una tregua politica e di un governo di grande coalizione. La seconda ragione è che l’azione del governo Berlusconi è stata infelice come non mai. Non sarà colpa sua, ma il governo ha sottostimato la crisi che incombeva sul paese. Comunque, nei tre suoi tre anni di governo il discredito della politica è cresciuto considerevolmente. Se il governo meritasse tale discredito, se lo meritasse tutta la politica, facendo di tutta l’erba un fascio, se il discredito è stato strumentalmente eccitato, è difficile stabilirlo con certezza. A promuovere l’eccitazione generalizzata del discredito potrebbe anche esser stato chi puntava a un governo senza vincoli elettorali, che assumesse drastiche misure di risanamento. Ognuno si faccia la propria idea. Sta di fatto che un governo tecnico faceva parecchio comodo alla politica stessa.
È questa la terza ragione. Le scelte di governo da assumere, alla luce dell’ortodossia di cui sopra, comunque la rigiri, sono oggi molto scomode. Causa il suo discredito, la politica non può far valere la sua risorsa fondamentale che è il consenso. Perché dunque non passare, provvisoriamente, la mano? Elettoralmente per i politici questa è la mossa più conveniente.
Se poi il dosaggio dei tecnici avrà più successo di quello dei politici, anche questo non è dato sapere. Né sappiamo se l’azione dei tecnici risanerà pure la politica. Quello che sappiamo è che i tecnici sono molto più politici di quanto non pretenda la loro reputazione. Ossia anch’essi, a modo loro, fanno politica. E la fanno da un pezzo. Non sembravano far politica, ad esempio, i tecnici che con i loro interventi nel dibattito pubblico alimentavano il discredito nei confronti dei politici?