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Commentary

Italia: terminal naturale a Ovest della rete di scambi Europa-Cina

Ettore Sequi
21 luglio 2017

Quando, nell’autunno del 2013, il Presidente Xi Jinping ha lanciato per la prima volta l’idea di costruire una nuova “via della seta” tra Cina e Europa (nota come OBOR - One Belt One Road prima e come BRI - Belt and Road Initiative poi) molti ritenevano che si trattasse di poco più di un esercizio intellettuale. Eppure, a distanza di meno di quattro anni, gli effetti economici e geopolitici di questo nuovo e ambizioso progetto sono già ben visibili. Le statistiche ufficiali cinesi ci dicono che il commercio totale tra la Cina e i Paesi dell’area BRI ha superato i 3 miliardi di dollari nel periodo 2014-2016. Al tempo stesso, gli investimenti infrastrutturali e logistici di Pechino lungo la nuova via della seta hanno superato i 50 miliardi di dollari USA, creando circa 180.000 nuovi posti di lavoro.

 

Il Mediterraneo torna al centro delle rotte marittime

In questi anni l’impatto della BRI è stato altrettanto dirompente sulla geografia delle rotte commerciali. Il miglioramento dei collegamenti tra due aree del mondo fortemente export-oriented è diventata una necessità improcrastrinabile, in termini sia di rotte terrestri (ancora relativamente poco sviluppate, ma vantaggiose in termini di tempi e di costi), sia di rotte marittime (allo stato attuale oltre il 90% dell’interscambio commerciale tra Europa e Cina avviene via mare). Per raggiungere tale obiettivo gli operatori cinesi hanno, da un lato, investito massicciamente su collegamenti e infrastrutture già esistenti (in Italia, ad esempio, COSCO ha acquistato nel 2016 il 49% delle quote di APT terminal a Vado Ligure) e, dall’altro, hanno aperto nuove rotte. I grandi investimenti effettuati da COSCO nel Pireo a partire dal 2010 hanno reso il porto greco uno dei primi a livello mondiale per crescita dei volumi di movimentazione delle merci, rafforzando l’importanza del Mediterraneo non soltanto come regione di transito, ma anche come punto di destinazione finale. Secondo le stime cinesi, il numero di navi portacontainer nel Mediterraneo è aumentato di oltre il 20% negli ultimi cinque anni: un dato destinato a salire, anche in considerazione della crescente presenza cinese in Africa sub-sahariana e nell’area MENA. In  tale regione, l’interscambio cinese, realizzato quasi esclusivamente via mare, è più che decuplicato nel periodo 2001-2015, raggiungendo quasi 258 miliardi di dollari (che potrebbero salire a circa 300 nel 2020). La rotta mediterranea risulta, inoltre, avvantaggiata rispetto alle altre dal raddoppio del Canale di Suez e dal fenomeno del "gigantismo navale". Le navi di grandi dimensioni, in continuo aumento sul mercato cinese, necessitano infatti di molteplici scali lungo il percorso, un’opzione molto complicata da perseguire lungo le tratte del Pacifico.

 

Il potenziale per l’Italia

Un Mediterraneo al centro dei nuovi collegamenti tra Europa e Cina schiude evidentemente enormi opportunità per il nostro Paese. Il potenziale che il progetto BRI offre all’Italia (e che, viceversa, l’Italia offre alla strategia lanciata dalla Cina) è emerso chiaramente in occasione della partecipazione del Presidente Gentiloni al “Belt and Road Forum for International Cooperation”, l’importante summit mondiale svoltosi a Pechino il 14-15 maggio scorsi alla presenza di più di trenta capi di Stato e di Governo. In ideale linea di continuità con la visita di Stato che il Presidente Mattarella ha effettuato in Cina lo scorso febbraio, la presenza del Presidente del Consiglio al forum ha testimoniato agli occhi dei cinesi la nostra determinazione a proporci come partner di primo piano nella realizzazione della BRI. Determinazione dimostrata anche dalla qualità e dal numero dei delegati italiani, tra i quali vi erano rappresentanti di diversi ministeri (per il MISE era presente il Sottosegretario Scalfarotto), di imprese, università e istituti di ricerca. Durante il forum il Presidente Gentiloni ha messo in risalto il ruolo centrale che il nostro Paese è in grado di svolgere nella BRI: situata al centro del Mediterraneo, dotata di eccellenti porti e infrastrutture, collegata ai principali corridoi europei tramite le sue efficienti reti stradali e ferroviarie, riconosciuta come seconda base manifatturiera d’Europa e Paese leader nell’innovazione tecnologica, l’Italia è il terminale occidentale naturale della “nuova Via della Seta”. Un ulteriore punto di forza che possiamo vantare è il primato nei tempi di sdoganamento delle merci: l’Italia è infatti riconosciuta dalle statistiche della Banca Mondiale come primo Paese UE per efficienza doganale. Già a partire dal 2013, con la creazione della Free Trade Zone di Shanghai, i cinesi hanno dimostrato la loro determinazione a introdurre misure per rendere più efficienti le loro procedure doganali, replicando le migliori prassi impiegate internazionalmente. L’istituzione di uno “sportello unico doganale” entro il 2017, preannunciata lo scorso maggio dal Consiglio di Stato, rappresenterà un ulteriore tassello di questa strategia per l’abbattimento dei costi delle operazioni di import-export. La Cina ha mostrato già da tempo interesse a sviluppare una collaborazione con l’Italia in questo ambito: ne è stata concreta testimonianza la conclusione di gemellaggi tra le autorità doganali di alcuni dei principali porti italiani e cinesi (Ningbo, Tianjin e i porti liguri).

 

Italia chiama Cina

La Belt and Road Initiative aspira a essere una piattaforma di interconnettività di dimensione quasi globale, lungo la quale la Cina intende costruire una rete di relazioni privilegiate con i Paesi coinvolti. Secondo i piani di Pechino tali relazioni non dovranno limitarsi solo alla sfera economico-commerciale, ma abbracciare anche le relazioni culturali e gli scambi “people-to-people”. Del resto, è proprio questa la “Via della Seta della conoscenza” tratteggiata dal Presidente Mattarella in occasione della sua visita di Stato in Cina lo scorso febbraio. 

La costruzione della Nuova Via della Seta è già iniziata: il progetto andrà avanti, con o senza di noi. Restarne esclusi significherebbe andare contro la storia e contro i nostri stessi interessi economici. Settecento anni dopo Marco Polo, è tempo che la Via della Seta torni a passare per il suo storico approdo: l’Italia.

 

Ettore Sequi, ambasciatore d'Italia nella Repubblica popolare cinese

 

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Ettore Sequi
Ambasciatore d'Italia a Pechino

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