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Commentary

Italia: una politica estera “presidenziale”

18 marzo 2010

Per la politica estera italiana la vittoria elettorale del centro-destra nelle elezioni del 2008 è stata una sorta di mini-restaurazione. Il governo ha corretto le “deviazioni” del governo Prodi là dove il ministro degli Esteri Massimo D’Alema si era maggiormente distinto dalla linea perseguita nella legislatura precedente, vale a dire nel campo dei rapporti con il mondo arabo-musulmano, e ha dovuto tenere conto della vittoria di Barack Obama nelle elezioni presidenziali americane. Ma i mutamenti, tutto sommato, sono più formali che sostanziali: un po’ più di enfasi nelle dichiarazioni di amicizia e solidarietà verso lo Stato d’Israele, un po’ meno di entusiasmo per il processo d’integrazione europea. Per l’Italia, come per la maggior parte delle democrazie occidentali, i margini di cambiamento, da un governo all’altro, sono piuttosto limitati. Per necessità o pigrizia nessun governo è disposto a rimettere in discussioni le principali scelte della politica estera italiana. 

La maggiore differenza è Berlusconi e tiene allo stile piuttosto che alla sostanza. Ancora più di quanto fosse accaduto nel suo precedente governo, il presidente del Consiglio dà l’impressione di ritenere che le questioni importanti, per la politica estera italiana, siano quelle in cui può svolgere una funzione personale e dominare la scena; e che siano molto meno importanti, d’altro canto, quelle in cui le circostanze non gli consentono di avere un ruolo visibile. Ha coltivato il rapporto con la Libia di Gheddafi, con la Russia di Putin, con la Turchia di Erdogan e con l’Israele di Netanyahu perché l’Italia può discutere con questi paesi (soprattutto con i primi tre) questioni pratiche, concrete di cui è possibile illustrare i risultati alla pubblica opinione. Contano molto meno, invece, le questioni che richiedono pazienti trattative, lunghi negoziati e il continuo cesello della diplomazia multilaterale. È questa probabilmente la ragione per cui l’Italia può sembrare assente, anche se l’impressione è certamente esagerata, nelle istituzioni dell’Unione europea, della Nato, dell’Onu, vale a dire in tutte le sedi in cui la diplomazia, come Somerset Maugham diceva del genio, è un esercizio di lunga pazienza. Non credo che Berlusconi abbia, come la Lega, un forte pregiudizio anti-europeo. Credo piuttosto che l’Europa susciti in lui, quando deve partecipare alle sue riunioni, sentimenti di noia e di fastidio. 

Se cercassimo di trasporre su un grafico l’andamento della politica estera italiana nel 2009, quindi, constateremmo che la linea è generalmente piatta, ma registra di tanto in tanto un’improvvisa impennata. Sono le occasioni in cui Berlusconi è personalmente impegnato e, per di più, si diverte.

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