Muore Jiang Zemin, il leader della Cina post-1989
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Muore il leader che traghettò il paese dopo Tienanmen

Jiang Zemin e la Cina post-1989

Guido Samarani
30 novembre 2022

Il mese di giugno 1989 fu senza dubbio il periodo più importante nella carriera politica di Jiang Zemin (1926-2022): nei giorni 23 e 24, infatti, poche settimane dopo la repressione di Tian’anmen, il quarto plenum del Comitato centrale (Cc) del Partito comunista cinese (Pcc) lo elesse alla carica di Segretario generale del partito, in sostituzione di Zhao Ziyang; e pochi mesi dopo, nel corso del quinto plenum, Jiang divenne il Presidente della Commissione militare del partito. Furono i primi passi di colui che sarebbe diventato il leader della “terza generazione” del Pcc (dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping), guidando la Cina sino al 2002.

Ecco come la recente Breve storia del Pcc, pubblicata nel 2021, riporta alcuni passaggi del discorso di Jiang nel corso del quarto plenum (p. 270):

“La leadership centrale ha visto una serie di cambiamenti per quanto riguarda le persone, ma la linea e le politiche base che il partito ha seguito a partire dal terzo plenum [dicembre 1978] restano immutate e bisogna continuare a seguirle. Su questo punto fondamentale vorrei fare due precisazioni: primo, applicheremo in modo risoluto e fermo tali politiche; secondo, le applicheremo pienamente.”

 

Da esperto di ingegneria a sindaco di Shanghai

Il percorso politico di Jiang era iniziato poco dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese (Rpc), in quanto fedele membro del partito nonché esperto nel campo dell’ingegneria elettrica, dopo che alla fine degli anni Quaranta si era laureato presso l’Università Jiaotong di Shanghai. Agli inizi del 1954 venne infatti chiamato nella capitale, da Shanghai dove lavorava e viveva con la famiglia, al fine di contribuire alla costituzione del nuovo Ministero numero uno di costruzioni meccaniche e, in seguito, a Changchun, nel cuore dell’impegno cinese per l’edificazione dell’industria pesante. Di quel periodo fu altresì il primo viaggio all’estero, a Mosca, per un periodo di formazione in campo industriale.

Con i primi anni Sessanta, la rottura delle relazioni sino-sovietiche portò alla crisi di molti progetti industriali e Jiang venne destinato nel 1962 a fare ritorno a Shanghai in qualità di vicedirettore di un istituto di ricerca nel campo dell’ingegneria elettrica. Qui rimase per circa tre anni, venendo trasferito agli inizi della Rivoluzione Culturale a Wuhan, dove divenne anche il responsabile del partito nell’ambito dell’Istituto di ricerca sull’energia termica. A quanto risulta, Jiang Zemin fu sfiorato dagli eventi politici di quegli anni e già nel 1970 poté fare ritorno a Pechino lavorando nell’ufficio per le relazioni estere dello stesso ministero in cui aveva mosso i primi passi nel 1954.

Dopo la morte di Mao e il ritorno al potere di Deng Xiaoping, egli – come sottolinea B. Gilley (p. 69 segg.) – cominciò ad essere sempre più un “burocrate dilettante e specialista di partito”: con gli anni Ottanta entrò a far parte del Cc e nella seconda parte del decennio divenne via via Vice Segretario e poi Segretario del Pcc di Shanghai; nel 1987 entrò a far parte del Politburo. Nei primi anni Ottanta fu altresì Vice Ministro e poi Ministro dell’Industria elettronica e tra il 1985 e il 1988 guidò in qualità di Sindaco la municipalità di Shanghai.

 

Stabilità interna, primato della politica e controllo di stato

Nei circa 13 anni in cui guidò il partito e il paese, Jiang Zemin si pose innanzitutto l’obiettivo di ripristinare la stabilità politica messa a dura prova dalle manifestazioni e proteste studentesche e popolari della primavera 1989, mantenendo poi sostanzialmente aperto il percorso delle riforme economiche e dell’apertura verso il mondo esterno. Le crisi sociali ed inflazionistiche della seconda parte degli anni Ottanta, a cui si aggiunsero il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, spinsero tuttavia la leadership comunista verso un grande rafforzamento degli elementi di stabilità politico-ideologica anche a scapito del processo di riforma economica, sino al celebre Viaggio al Sud di Deng Xiaoping del 1992 che portò al rilancio di tale processo. In questi anni, come sottolinea ancora Gilley (p. 334): “Egli si dimostrò l’uomo giusto al momento giusto per farsi carico degli obiettivi: riforme economiche e prudenza politica scorrevano nelle sue vene”.

L’ultimo decennio circa della sua gestione del potere, ed in particolare gli anni che seguono la morte di Deng nel 1997, furono segnati dallo sforzo di Jiang Zemin di emanciparsi per vari aspetti dalla “tutela politica” di Deng Xiaoping e di affermare in modo incontestabile la propria autorità quale indiscusso leader. Di questi anni fu in particolare la costruzione e formulazione del “Pensiero di Jiang Zemin”, con l’obiettivo essenziale di contrastare quel senso di “perdita della moralità” e di “disintegrazione dei valori tradizionali” che, a parere di molti storici del periodo, sembrava aleggiare sempre più nell’animo di molte famiglie cinesi, benché apparentemente occultato dal richiamo ad “arricchirsi”. I primi contorni di tale pensiero furono tratteggiati nell’autunno del 1995 dalla campagna per “porre attenzione alla politica” (jiang zhengzhi): per Jiang, ciò significava soprattutto fare in modo che il partito lavorasse meglio, assicurando un alto livello ideologico per tutti i quadri, meno corruzione e meno litigi tra potere centrale e poteri periferici. Nei mesi ed anni seguenti, anche in risposta a dubbi e perplessità sul reale significato di tale campagna, Jiang ebbe modo di chiarire che “porre attenzione alla politica” non voleva dire lasciare da parte lo sviluppo economico; semmai, ciò che occorreva cambiare era un certo approccio economicistico che in nome della crescita aveva oscurato l’importanza della politica e dell’ideologia.

Un altro tema centrale in questi anni nell’agenda politica di Jiang fu la rinascita di quella che veniva comunemente definita come “cultura spirituale”, con particolare attenzione al rinvigorimento delle arti tradizionali, alla definizione di linee guida aggiornate per il settore artistico e culturale, ed al controllo dei media. E poi anche il ruolo del patriottismo, alimentato proprio nel 1997 dal ritorno di Hong Kong alla sovranità cinese.

 

Il Pensiero delle Tre Rappresentanze

Il XV Congresso del Pcc, tenutosi nel 1997, sancì ufficialmente l’adozione della “filosofia politica” di Jiang, incentrata sul rapporto e convivenza tra controllo dello stato e promozione di quello sviluppo economico-sociale che era ritenuto vitale per la “modernizzazione della Cina”. Tre anni dopo, nel 2000, durante un viaggio nella provincia del Guangdong, Jiang espose per la prima volta quello che sarebbe stato definito come “Il Pensiero delle Tre Rappresentanze” (sange daibiao): a suo parere, l’esperienza che si doveva trarre dalla storia del Pcc era che il sostegno del popolo al partito era dovuto al fatto che questi rappresentava le forze produttive avanzate del paese, l’orientamento della cultura avanzata e gli interessi fondamentali della stragrande maggioranza del popolo cinese.

Nel suo discorso al XVI Congresso del 2002, durante il quale il Pensiero delle Tre Rappresentanze venne inserito nello Statuto del partito e venne ufficializzata l’ascesa di Hu Jintao in quanto rappresentante della “quarta generazione”, Jiang Zemin non mancò di sottolineare ancora una volta con forza come se la Cina voleva aprire efficacemente la nuova fase della costruzione del “socialismo con caratteristiche cinesi” era indispensabile tenere alta la bandiera della Teoria di Deng Xiaoping e aderire al Pensiero delle Tre Rappresentanze.

 

Riferimenti bibliografici

Gilley, Tiger on the Brink. Jiang Zemin and China’s New Elite, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1998

Zhongguo Gongchandang jianshi (Breve storia del Pcc), Beijing, Zhonggong dangshi chubanshe-Renmin chubanshe, 2021

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AUTORI

Guido Samarani
Università Ca' Foscari

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