Negli ultimi mesi il fronte del jihad è sembrato ridefinirsi attraverso nuove direttrici: dall’Iraq alla Siria verso l’Egitto e la Libia, attraversando il deserto dell’Algeria e del Mali sino all’Africa occidentale, confermando la tendenza all’irradiamento delle formazioni radicali islamiche in Africa e ribadendo la trasformazione della fascia sahelo–sudanese immediatamente a sud del Sahara in una regione di instabilità e insicurezza. Alla luce di questo, il Sahara ha acquisito una nuova centralità geopolitica: se già dal 2013 l’attenzione si era focalizzata sul Mali e sull’intervento internazionale contro le formazioni radicali islamiche e secessioniste che ne avevano occupato il nord, l’attentato di Grand–Bassam (Costa d’Avorio) del 13 marzo scorso sembra rivelare un ulteriore passo avanti nella strategia dei gruppi terroristici. La concomitante rivendicazione di Aqim e al–Mourabitoun pare offrire una duplice chiave di lettura: da una parte, una nuova frontiera geopolitica della minaccia, con organizzazioni capaci di operare in luoghi sensibili ma storicamente distanti dalle tradizionali aree d'azione; dall’altra, la possibilità di una convergenza tra i numerosi gruppi (compreso Boko Haram), ora pronti a collaborare in una nuova e fluida convergenza tattica.