Nelle scorse ore è stata lanciata una vasta operazione di polizia, coordinata dalla Procura di Torino, con arresti e perquisizioni nei confronti di appartenenti agli ambienti dell´estremismo jihadista nel nord Italia.
In particolare, a Torino agenti della DIGOS hanno arrestato El Madhi Halili, ventitreenne con origini marocchine, ma nato e cresciuto in Italia. Halili è un soggetto ben noto all’antiterrorismo italiano. Il 25 marzo 2015 era già stato arrestato nel Torinese. Il giovane aveva redatto e diffuso on-line la prima pubblicazione organica in italiano a favore del sedicente Califfato. Il documento, intitolato “Lo Stato Islamico: una realtà che vorrebbe comunicarti”, aveva dichiaratamente lo scopo di presentare in modo sistematico la missione e le attività dell’organizzazione jihadista. Nelle sue parole, “ho deciso di scrivere questo testo per cercare di presentare in modo riassuntivo una realtà di cui si parla molto: lo Stato Islamico, qualcosa che tutti conoscono tramite i media accusatori, ma non tramite i media degli accusati (quelli dello Stato Islamico appunto). In questo testo ho riportato alcune parti delle riviste ufficiali dello Stato Islamico aggiungendo foto dei servizi da loro offerti ai cittadini, ampliando il tutto con alcune informazioni che ho raccolto comunicando con i Mujahidin stessi ed alcuni cittadini”.
Come in altri prodotti di propaganda jihadista, l’autore chiedeva inizialmente al lettore di sospendere il proprio giudizio, per avviare poi un’operazione di contro-informazione.
Il documento, di 64 pagine, scritto con un discreto italiano, spaziava dall’introduzione ai fondamenti ideologici dell’organizzazione all’esaltazione dell’applicazione (radicale) della Shari’a nel territorio del Califfato ai presunti servizi offerti ai cittadini e consumatori e culminava con un incitamento a sostenere fattivamente il gruppo jihadista e a trasferirsi, in particolare, nel territorio sotto il suo controllo.[1]
Com’è stato notato dagli stessi inquirenti, con una manovra indiretta, il documento non si concentrava sulle attività violente e terroristiche del gruppo armato, ma preferiva mettere in risalto le attività “statuali” del Califfato, presentando l’immagine di una sorta di utopia realizzata, guidata da criteri di giustizia e in pieno accordo con la volontà divina.
Halili non può essere certamente considerato come un vero e proprio portavoce dello Stato Islamico, chiamato a diffondere la propaganda ufficiale dell’organizzazione (ben nota per la sua raffinatezza e vastità);[2] né tantomeno appare come un ideologo, in grado di plasmare la visione politica e religiosa dell’organizzazione.
Nondimeno il suo ruolo merita attenzione: è infatti riuscito a presentare in forma sintetica e in lingua italiana una visione potenzialmente seducente dell’organizzazione di al-Baghdadi. Sforzo tanto più rilevante se si considera che nella propaganda ufficiale dello Stato Islamico, prodotta direttamente dall’organizzazione, i riferimenti testuali all’Italia e, in particolare, alla città di Roma sono frequenti (per quanto prevalentemente con una valenza simbolica),[3] ma mancano pubblicazioni o prodotti di rilievo in lingua italiana o che abbiano come protagonisti militanti italiani.
Vale la pena di notare che nell’interrogatorio davanti al Pubblico Ministero, Halili aveva poi ammesso di essere l’autore del documento, ma aveva cercato di difendersi negando di avere aderito al contenuto del messaggio finale del testo, a supporto appunto del Califfato.
Nel 2015 l’arresto di Halili era parte di una più ampia indagine, denominata “Balkan Connection”, coordinata dalla Procura di Brescia. Contemporaneamente a Halili era stato infatti arrestato Elvis Elezi, ventenne di origine albanese, residente nella medesima cittadina del Torinese. Elvis, insieme allo zio Alban Elezi (arrestato lo stesso giorno nel paese di origine), era accusato di aver facilitato il trasferimento in Siria nel 2013 di Anas El Abboubi, noto foreign fighter jihadista di origine marocchina residente in provincia di Brescia.[4]
Halili era stato quindi oggetto di una sentenza di patteggiamento, da parte dal Tribunale di Torino, alla pena di due anni di reclusione con sospensione condizionale, per istigazione a delinquere con finalità di terrorismo.
Evidentemente, nonostante la condanna, il percorso di radicalizzazione del giovane non si è arrestato, ma, al contrario, si è proseguito. Facendo oggi il proprio ingresso in Questura a Torino, ha ostentatamente dichiarato: «Sono fiero di andare in carcere per Allah».
Come evidenziato oggi dal Questore del capoluogo piemontese, Halili si era informato sull'utilizzo di un coltello e stava studiando come preparare un camion per compiere eventuali attentati, pur non avendo individuato obiettivi specifici da colpire. Secondo gli inquirenti, l’arresto è scattato proprio per evitare “un salto di qualità operativa”.
I mezzi di un possibile attacco sono quindi quelli resi tristemente noti da numerosi attacchi jihadisti in Occidente:[5] non armi da fuoco e ordigni esplosivi, ma comuni armi da taglio o semplici veicoli.
In altri termini, il processo di radicalizzazione apparentemente stava progredendo gradualmente da una dimensione “cognitiva”, ancora a livello di parole, a una dimensione “comportamentale”, relativa a fatti, come la pianificazione appunto di un attacco.
Si noti che, avendo acquisito la cittadinanza italiana, Halili non sarebbe comunque potuto essere oggetto di provvedimento di espulsione dal territorio nazionale per ragioni di sicurezza dello Stato; una misura, di carattere preventivo, che è stata utilizzata sempre più frequentemente dalle autorità italiane, specialmente a partire dal 2015.
In conclusione, l’arresto del giovane El Madhi Halili in Piemonte, avvenuto a poche ore dall’arresto dell’imam Abdel Rahman in Puglia, mostra come la minaccia potenziale rimanga elevata anche in Italia.